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Indagine su un sistema che si diffonde a macchia d’olio!


 

Intorno a noi – per strada, nei treni, nei ristoranti, negli aeroporti, sulle spiagge – c’è gente incollata al cellulare, che fa e riceve telefonate professionali: ascolta informazioni, prende e trasmette decisioni, comunica consulenze, compra e vende merci, assume e licenzia persone, intrattiene pubbliche relazioni, intreccia lobby.

D’altra parte, in un paese come il nostro, dove ogni dodici persone (bambini e vecchi compresi) vi è un’impresa e dove le imprese sbucano come funghi, incentivate dallo Stato, dai mass media, dalle ambizioni familiari, molti neoimprenditori non hanno i capitali sufficienti ad impiantare sedi con tante stanze quanti sono i soci e gli impiegati. Ricorrono perciò a un piccolo ufficio d’appoggio, dove una segretaria smista la corrispondenza e le telefonate, tiene i libri aziendali, predispone le riunioni saltuarie. I soci, intanto, se ne stanno a lavorare in casa o battono il mercato con la loro auto, comunicando tra loro con telefonino e posta elettronica, in attesa che le due cose coincidano. Tutti questi moderni lavoratori, armati di computer e di cellulare, telelavorano senza accorgersi di essere dei telelavoratori.

Alla base di questa grande rivoluzione esistenziale, che rimescola le carte del lavoro e del tempo libero facendone un tutt’uno dove è difficile dire quando finisce l’uno e quando inizia l’altro, vi sono le nuove tecnologie, la globalizzazione, la scolarizzazione di massa. Nell’epoca postindustriale, l’elettronica, i nuovi materiali, le fibre ottiche, i laser hanno conferito alle macchine una duttilità, un’intelligenza, una domesticità ignota ai grandi opifici manifatturieri dell’epoca industriale. Oggi è possibile delegare all’automazione e all’informatica migliaia di mansioni faticose, rumorose, pericolose che prima inchiodavano il lavoratore a tempi precisi e a luoghi separati dalle abitazioni. Solo un numero decrescente di mansioni – dalle catene di montaggio metalmeccaniche ai Call center telefonici – restano di natura parcellizzata, fisica, ripetitiva, che richiede un luogo preciso e un tempo preciso per l’esecuzione. Nella maggior parte dei casi si tratta di lavori inumani, non ancora automatizzati ma fortemente e fortunatamente minacciati dalla progressiva automazione, che prima o poi li trasferirà ai robot, liberandone gli operatori in carne ed ossa.

Le restanti mansioni sono di natura intellettuale e richiedono duttilità, flessibilità, intelligenza, professionalità, creatività squisitamente umane. Alcune di esse (come, ad esempio, quelle chirurgiche o infermieristiche) richiedono la compresenza fisica di tutti i soggetti implicati. Altre consentono una parziale separazione tra l’attore e il destinatario (come quando il prete predica per radio o l’artista recita in televisione). Altre, invece, non richiedono alcuna interazione tangibile tra i vari soggetti implicati, possono essere prestate a distanza e sono abbastanza indifferenti al tempo in cui vengono eseguite. Così, ad esempio, è del tutto inutile che un giornalista si rechi in ufficio per scrivere un articolo o un professore si rechi all’università per preparare una lezione. Basta che l’uno spedisca alla redazione, per posta elettronica e in tempo utile, il suo articolo; o che l’altro sia pronto a istruire i suoi alunni quando scocca l’ora della lezione.

I lavori di natura prevalentemente fisica, parcellizzata, ripetitiva, come quello del minatore o del tornitore, richiedono mezzi di produzione (la miniera, il tornio, ecc.) pesanti, ingombranti, fragorosi, nettamente separati dalla mente del lavoratore. Quando suona la sirena di fine turno, il lavoratore abbandona il suo luogo di lavoro e si separa dai suoi strumenti di produzione. Anche se volesse, non potrebbe continuare a lavorare durante il tempo libero.

Per essi l’orario di lavoro, la separazione tra casa e ufficio, tutto l’inutile rituale dei controlli all’entrata e all’uscita delle aziende appartengono a una liturgia obsoleta, inutile, costosa, sadica, demotivante che serve solo a ridurre il senso di appartenenza dei professionisti nei confronti dell’impresa, a demotivarli, ad assicurare i posti di lavoro a un esercito controproducente di guardiani, di contabili e di addetti al personale.

Insomma, il lavoro ha cambiato anima e corpo. Le tecnologie dell’informazione, con una potenza e una pervasività inversamente proporzionali al loro volume e al loro costo, riescono a insinuarsi ovunque e a scardinare i vincoli di tempo e di spazio che ci eravamo abituati a rispettare, ormai automaticamente, introiettandoli fino a farne i nostri bioritmi naturali.

Per un numero ancora enorme, ma decrescente, di lavoratori postindustriali, questi vincoli sono ancora rigidi, ineluttabili, persino sacri come ineluttabili erano per gli operai dell’industria i ritmi meccanici della catena di montaggio e come sacri erano per i contadini i ritmi naturali delle stagioni e della procreazione.


Quali sono i principali ostacoli che caparbiamente si frappongono alla diffusione del telelavoro anche là dove sarebbe possibile e conveniente? Un tempo si poteva dimostrare che i costi per la trasmissione di informazioni tra casa e azienda erano così alti da scoraggiare qualsiasi esperimento del genere.

Dieci anni fa, questo era vero.

Oggi, grazie a Internet, non lo è più. Ormai l’ostacolo economico è caduto: il telelavoro non solo riduce i costi ma eleva i guadagni. Inoltre, Intranet e Internet, che erano tecnologicamente primitivi, oggi richiedono tempi brevissimi per i collegamenti e offrono sufficiente affidabilità sia per la tenuta delle linee, sia per la qualità delle trasmissioni. Mentre le tecnologie hanno migliorato e ridotto i loro prezzi, è cresciuto il numero di lavoratori addomesticati al computer, all’informatica, alla telefonia mobile. Insomma, non esistono più alibi di natura tecnica ed economica.

Non esistono nemmeno alibi di natura giuridica e contrattuale. I sindacati italiani non si sono mai opposti al telelavoro e in alcuni casi lo hanno addirittura rivendicato. Comunque, gli argini che essi oppongono alle decisioni aziendali sono ormai resistibili da parte padronale; gli scioperi appartengono all’archeologia industriale; le aziende, col coltello dalla parte del manico, conquistano di giorno in giorno libertà e si consentono persino arbìtri impensabili solo qualche anno fa; sotto la minaccia dei licenziamenti, i lavoratori sono costretti a subire qualsiasi innovazione organizzativa pur di non perdere il posto. Non esistono, in fine, alibi di natura organizzativa: non c’è manuale, non c’è consulente, non c’è presidente, non c’è manager che non invochi termini salvifici come flessibilità, snellezza, autonomia, creatività, decentramento, competenze, obiettivi, deleghe, new economy, virtualità.

Ma, allora, perché il telelavoro non si diffonde con grande rapidità?

Considerato pure i problemi di traffico infernale con biblici spostamenti quotidiani tra casa e lavoro. Perché ciò che viene temuto più della stessa concorrenza è che la cultura aziendale possa diluirsi nella cultura sociale, che lavoro e vita possano mescolarsi in una mistura creativa ed esuberante dove la produzione di ricchezza, la produzione di sapere, la produzione di allegria e la produzione di senso si intreccino e si confondano superando, finalmente, la separazione alienante tra i diversi mondi vitali in cui transitiamo.

Oggi le cose sono cambiate e il telelavoro si dimostra ormai maturo. In Europa, i telelavoratori raggiungono i nove milioni (per due terzi si tratta di telelavoratori abituali, per il resto di persone che utilizzano il telelavoro in maniera occasionale), mentre negli Stati Uniti si avvicinano ai 16 milioni. E’ esploso, anche nel vecchio continente, il fenomeno della Net Economy: prodotti sempre più immateriali vengono inventati, grazie al telelavoro, ovunque nel mondo e venduti in rete tramite l’E – Commerce. Pagati con carta di credito e spediti da corrieri che permettono, grazie a Internet, di controllare ove si trovi in quel momento ciò che stiamo attendendo. La Net Economy ha decretato la fine del telelavoro come oggetto di sperimentazione – a volte principalmente tecnologica – pensato per cogliere improbabili occasioni di risparmio per le aziende o per soddisfare esigenze immediate – spesso individuali, rare volte collettive – dei lavoratori. Le prime esperienze di telelavoro, svolte da pionieri che non sapremo mai ringraziare abbastanza, erano ispirate e supportate da una generica “vocazione ambientalista” e da altrettanti generici studi teorici sui benefici del telelavoro, le attività telelavorabili, le entusiastiche previsioni di sviluppo, peraltro spesso contraddette alla prova dei fatti!