L’abbandono della casa coniugale, cioè quando uno dei coniugi se ne va senza il consenso dell’altro o senza un motivo valido, è una situazione frequente nelle crisi di coppia, soprattutto quando i litigi rendono difficile la convivenza. Si tratta, però, di una decisione da non prendere alla leggera perché può avere conseguenze sia dal punto di vista civile (ad esempio per la separazione) sia, in alcuni casi, anche penale.
Quando è consentito andarsene da casa
Il nostro ordinamento prevede che il coniuge possa allontanarsi dalla casa solo in circostanze specifiche: ad esempio quando è stata presentata domanda di separazione, annullamento o divorzio (art. 146 codice civile); in situazioni di forte tensione tra i coniugi e clima di disaffezione (Cass. 3 febbraio 2022 n. 3426) o situazioni di fatto incompatibili con la convivenza, o abbandono che segue una situazione già intollerabile (Cass. 23 giugno 2020 n. 12241, Cass. 15 gennaio 2020 n. 648, Cass. 28 maggio 2019 n. 14591, Cass. 23 aprile 2019 n. 11162, Cass. 15 dicembre 2016 n. 25966).
La giurisprudenza più recente conferma che l’allontanamento senza giusta causa viola uno dei doveri fondamentali del matrimonio, quello della coabitazione, e può portare all’“addebito” della separazione, cioè far perdere alcuni diritti (come l’assegno di mantenimento). Tuttavia, se chi se ne va riesce a dimostrare che la situazione era già intollerabile o che l’allontanamento era giustificato (per esempio per violenze, gravi litigi o già avviata procedura di separazione), allora non scatta l’addebito. L’onere della prova, però, è a carico di chi si allontana dalla casa familiare: tocca a lui dimostrare che c’erano validi motivi per farlo e che la crisi non è stata causata dal suo comportamento, ma che già esisteva prima.
Addebito della separazione: quando scatta
Secondo la Cassazione, l’addebito non dipende solo dal fatto che uno dei coniugi abbia violato i suoi doveri (come quello di coabitazione), ma occorre provare che questa violazione ha causato la crisi matrimoniale, cioè che l’allontanamento è la causa, e non la conseguenza, della rottura tra i coniugi. Se invece il rapporto era già compromesso in modo grave e irreparabile, anche se uno dei coniugi lascia la casa, non può essere considerato responsabile della fine del matrimonio.
Quando ha rilevanza penale l’abbandono del tetto coniugale?
Oggi il reato di “abbandono del tetto coniugale” non esiste più nel nostro codice penale come reato autonomo. Tuttavia, chi se ne va da casa può commettere un reato se lascia il coniuge o i figli in stato di abbandono materiale o morale, cioè se si sottrae agli obblighi di assistenza previsti dall’art. 570 del codice penale. Per configurare questo reato, però, non basta l’allontanamento in sé: il giudice deve verificare se davvero chi è rimasto sia stato privato del sostegno necessario, e se chi è andato via lo abbia fatto senza un valido motivo. Se invece l’allontanamento è giustificato (ad esempio per motivi di sicurezza, salute, lavoro o perché è già iniziata la separazione), non si rischia alcuna responsabilità penale.
Invece, chi lascia la casa soltanto per seguire una nuova relazione sentimentale, e smette di provvedere alle necessità dell’altro coniuge o dei figli, può essere perseguito penalmente.
Erminia Acri-Avvocato

Erminia Acri, iscritta all’Albo degli Avvocati del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Cosenza, Patrocinante in Cassazione, esercita la professione di avvocato in materia di diritto civile, diritto del lavoro e previdenza, diritto amministrativo (abilitazione all’esercizio della professione di avvocato conseguita in data 05/05/1998). Consulente legale dell’Inas-Cisl, sede di Cosenza. Attività di docenza, in materia di Diritto di Famiglia, c/o Scuola di Specializzazione in Psicoterapia ad Indirizzo Dinamico (SFPID) – Roma. Iscritta all’Albo dei Giornalisti- Elenco pubblicisti dal 01/07/2006. Responsabile “Area informativa” Progetto SOS Alzheimer On Line
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