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Pensieri, emozioni, stati d’animo di adolescenti (gli alunni dell’IIS “Lucrezia della Valle” di Cosenza) dedicati ai propri nonni, “testimoni del passato, garanzia del presente ed eredi del futuro” attraverso una intervista immaginata: “Cosa avresti voluto chiedere e cosa ti saresti voluto sentire rispondere?

D: Nonna…posso intervistarti un attimo?

R: Certo, che domande vuoi farmi?

D: Quando sei nata?

R: Sono nata l’11 Giugno del 1945, proprio alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Eravamo tutti in difficoltà e tutte le città erano distrutte dai bombardamenti; c’era tanta povertà, ma, nonostante ciò, la gente cercava di ricostruire la propria vita.

D: Com’era la tua vita da piccola?

R: Eh… era semplice, ma dura. Ci si alzava quando fuori era ancora buio, si faceva colazione con quello che c’era. Molto spesso si faceva l’uovo sbattuto, ce lo preparavamo da soli: si prendeva un uovo fresco, un cucchiaio di zucchero e si mescolava forte forte con la forchetta fino a farlo diventare chiaro e spumoso. Ognuno dei figli si sbatteva il suo; era quello il nostro “cappuccino”… altro che al bar!

D: E la scuola ti piaceva?

R: Mah, non tanto. Avevo voglia di imparare, ma c’era paura. I maestri erano tosti, mica come adesso! Avevano la bacchetta di legno sulla cattedra e se ti distraevi o facevi una sciocchezza… te la davano sulle mani, senza tanti complimenti. Una volta mi permisi di dare una risposta in dialetto e il maestro mi fece scrivere cento volte sul mio quaderno “Non si parla in dialetto”! Mi vergognai tantissimo!

D: Che brutto! Sarà stato anche stancante farlo, vero? Invece dopo la scuola?

R: Si moltissimo, per questo faccio fatica a dimenticarlo! Beh dopo scuola si correva a casa ad aiutare la mamma. Ma ricordo anche che, ogni tanto, quando c’erano  belle giornate, dopo pranzo ci mettevamo seduti fuori in cortile tutti i fratelli a chiacchierare e a giocare, facendoci anche qualche dispetto.

D: E il tuo primo lavoro?

R: A 13 anni. Per aiutare la mia mamma e il mio papà, in quel periodo, consegnavo latte e uova alle case del paese. Avevo la cesta di vimini e mi facevo tutto il giro, anche sotto la pioggia. Ricordo che una volta scivolai su una pietra e mi si rovesciò tutto il latte. Tornai a casa piangendo con il ginocchio sbucciato; non piangevo tanto per la caduta presa, ma per i sensi di colpa che avevo per aver fatto cadere del latte, proprio in quel periodo molto delicato per noi. Per fortuna, però, arrivata a casa lo dissi a mamma e lei mi tranquillizzò, medicandomi la ferita. Fu dolcissima, ma quel maledetto alcol bruciava tantissimo sulla mia pelle! D’altronde, avevamo solo quello…

D: E per divertirvi, cosa facevate?

R: Si giocava in strada! A nascondino, a campana, si saltava con la corda. Niente giochi costosi: videogiochi, telefono o tablet… ma tante risate con giochi semplici e improvvisati; ci bastavano anche una pallina o quattro sassi.

D: Ti manca qualcosa di quei tempi?

R: Sì, certo, mi mancano le persone, la semplicità delle cose. In virtù del fatto che tutti si conoscevano, bastava poco per essere felici. Ora si fa tutto velocemente e spesso ci si dimentica di vivere ogni istante. In quei tempi, le giornate sembravano infinite… sarà che erano anche molto stancanti, ci si svegliava presto, ma sembrava di viverle di più! La gente ormai corre sempre, non ha tempo per niente. Una volta si parlava di più, ci si aiutava senza stare a pensarci troppo.

D: E cosa invece non ti manca per niente?

R: La fatica, la schiena che faceva male, l’inverno senza riscaldamento, l’acqua presa sempre a quella fontana in cima a quella salita, il bucato lavato a mano con quell’acqua gelida che usavamo anche per lavarci… Però tutta quella fatica mi ha insegnato a resistere.

D: Secondo te noi giovani siamo molto diversi?

R: Siete diversi, sì. Ma non è colpa vostra: è il mondo che è cambiato. Avete tante opportunità e ogni cosa con il progresso è stata resa più semplice; tuttavia, c’è qualcosa che voi non avete: le amicizie VERE. Noi eravamo sempre assieme agli amici del paese, tutti vicini di casa, e avevamo creato una comitiva; condividevamo tutto, anche quel  poco che avevamo. Voi, invece, tra tutte le cose che avete da fare, sembra che non riusciate a coltivare le vostre di amicizie, quelle vere che durano nel tempo. Però voi siete anche svegli, sapete tante cose. Dovete solo imparare a dare più valore alle cose semplici!

D: Se potessi tornare indietro, lo faresti?

R: Magari per un giorno, per rivedere i miei genitori e rivivere qualche giorno da adolescente…ma non tornerei indietro per sempre. Ogni età ha la sua bellezza. Ora il mio piacere è stare con voi, con la mia famiglia. Sono contenta di essere la vostra radice!

Grazie nonna. Mi hai fatto quasi piangere…

R: Ma no, non c’è bisogno! Queste cose sono importanti e le devi imparare. Sono felice che tu mi abbia rivolto queste domande. Ora vieni…andiamo un po’ in cortile!

Vincenzo (17 anni)

A cura di Maria Felicita Blasi

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