Pubblicato su Lo SciacquaLingua
Molti pseudolinguisti (e ce ne sono a iosa nelle redazioni dei giornali) non conoscono un uso particolare del pronome-congiunzione che, chiamato “che temporale”, e condannano l’espressione tipo “era il giorno ‘che’ il direttore era assente”.
Nient’affatto, soloni della lingua, quel “che” è perfettamente in regola con le leggi della grammatica perché equivale, per l’appunto, a “in cui”; è, insomma, un che con valore temporale.
Si ricordi, in proposito, il celeberrimo verso dantesco: “Lo dì c’han detto ai dolci amici addio”. Volete correggere (e, quindi, condannare) anche il divino Poeta?
Usiamo, dunque, il “che” tranquillamente ogni volta “che” (o in cui?, amici) equivale a “durante”, “da che”, “da quando” e simili.
A cura di Fausto Raso
Giornalista pubblicista, laureato in “Scienze della comunicazione” e specializzato in “Editoria e giornalismo” L’argomento della tesi è stato: “Problemi e dubbi grammaticali in testi del giornalismo multimediale contemporaneo”). Titolare della rubrica di lingua del “Giornale d’Italia” dal 1990 al 2002. Collabora con varie testate tra cui il periodico romano “Città mese” di cui è anche garante del lettore. Ha scritto, con Carlo Picozza, giornalista di “Repubblica”, il libro “Errori e Orrori. Per non essere piantati in Nasso dall’italiano”, con la presentazione di Lorenzo Del Boca, già presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, con la prefazione di Curzio Maltese, editorialista di “Repubblica” e con le illustrazioni di Massimo Bucchi, vignettista di “Repubblica”. Editore Gangemi – Roma.