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“Presto conoscerai un altro modo d’amare, diverso da quello che provi per me e, arrivato quel giorno, condividilo con chi ti amerà; i sogni vissuti in due diventano i ricordi più belli. La solitudine è un giardino dove l’anima diventa secca, e i fiori che vi crescono non hanno profumo.

L’amore ha un gusto meraviglioso, ricorda che per ricevere bisogna dare, ricorda che per poter amare bisogna essere se stessi. Tesoro, affidati all’istinto, sii fedele alla tua coscienza e alle tue emozioni, vivi la tua vita, non ne avrai che una. Sei responsabile di te stesso e di quelli che amerai. Sii degno, ama, non perdere quello sguardo che ci univa quando guardavamo l’alba. Ricorda le ore trascorse insieme a potare il roseto, a scrutare la luna, a conoscere il profumo dei fiori, e i rumori della casa. Queste sono cose semplici, forse antiquate, ma non lasciare che le persone inasprite o disilluse snaturino quegli istanti magici per chi li sa vivere. Quei momenti hanno un nome Arthur, “stupore”, e sta solo a te fare in modo che la tua vita sia un continuo stupore. Il gusto più grande del lungo viaggio che ti aspetta.

Ragazzo mio, ti lascio, aggrappati a questa terra che è così bella” (Se solo fosse vero, Marc Levy)

Cari Lettori, riteniamo che non ci siamo modo più “dolce” che celebrare la giornata dedicata alla Mamma con questa struggente lettera della madre di Marc Levy, scrittore e imprenditore francese.

Tale ricorrenza, una volta dedicata alla Madre di tutte le Madri (Maria di Nazareth), fu introdotta soltanto tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo dal Presidente americano Woodrow Wilson, che la ufficializzò nel 1914 indicando, come data, la seconda domenica di maggio, nel rispetto di Ann Reeves Jarvis che, insieme alla figlia Anna, al termine della guerra civile americana aveva promosso una serie di feste della mamma con lo scopo di favorire l’amicizia tra le madri di Nordisti e Sudisti.

Cari Lettori, parlare della Mamma è come voler racchiudere, nel palmo di una mano, l’acqua di un oceano.

E, in effetti, a volerla analizzare a fondo, abbiamo non più solo la “mamma angelo del Focolare” ma, anche, la “mamma coccodrillo”, non solo la madre della sentenza inappellabile ma, anche, la madre che sa perdere il proprio figlio, non solo la mamma che accudisce ma anche la moglie, la donna (che pensa a se stessa)… e si potrebbe continuare per un bel po’.

La madre non è solo una semplice “generatrice” ma è L’ALTRO che si prende cura dei figli.

La madre è autenticamente tale attraverso la “cura”: è, infatti, quest’ultima che restituisce al figlio la sua peculiarità.

Madre è un termine comune a quasi tutte le lingue del mondo e significa “misuratrice, ordinatrice”, da cui tutto trae origine, in maniera ordinata. Ecco quindi, che, etimologicamente, identifica “ciò che produce”“che contiene” e, quindi, porta in sé, la sorgente, la causa prima.

La madre equilibrata (o, come la definiva Donald Winnicot, “sufficientemente buona”) offre al bambino il sentimento della sua unicità e irripetibilità, aiutandolo a prepararsi la propria strada che è solo sua e di nessun altro.

Grazie alla sua presenza, alla sua estrema disponibilità e al suo sguardo di ammirazione verso il proprio “pargolo” è strumento indispensabile per la sua autostima e la sua autoaffermazione.

Mi hai messo in bocca tutte le parole a cucchiaini, tranne una: mamma. Quella l’inventa il figlio sbattendo le due labbra. (ERRI DE LUCA)

L’importanza di intendersi sul concetto di autoaffermazione, risiede nel fatto che non tutti hanno chiaro il suo reale significato. Ad esempio, il dizionario della lingua Italiana dell’Istituto Treccani la descrive come “Tendenza, propria delle personalità bisognose di esser valorizzate, che spinge ad affermarsi e a imporsi sugli altri, a ogni livello e con perentorietà variabile”.

Ora, siccome puntare tutto sull’autostima significa esporsi al rischio di correre, nella “scalata esistenziale” come un cavallo da Gran Premio costretto a vedere il mondo coi paraocchi, è proprio necessario individuare un punto valoriale capace di farci soffermare, in maniera stabile ed equilibrata sul senso delle cose che facciamo.

Cercando sul dizionario etimologico, si scopre che attingendo al Latino e al Greco, si può aggiungere alla particella “ad” (andare verso qualcosa, con uno scopo…), il verbo “firmare” (render fermo, stabile) e il pronome “autòs ( se stesso) e abbiamo, così, che l’autoaffermazione, consente di “indicare qualcosa di stabile che riguarda se stessi”.

Una sorta di guida esistenziale, per non smarrirsi nel bosco delle inutilità, insomma!

Daniel Keyes, in “fiori per Algernon”, descrive un oligofrenico (ritardato mentale dalla nascita) che, grazie ad una particolare terapia, sviluppa delle capacità mentali eccezionali. Questo stato di grazia, però, dura pochissimo…lentamente, inesorabilmente, riappare la demenza costringendo quest’uomo ad assistere impotente al suo declino.

Anche Oliver Sacks in “Risvegli” tocca corde malinconiche e tristi descrivendo la storia (vera) di persone che, colpite in giovane età da encefalite letargica, vivono per anni in uno stato di coma vegetativo fino a quando un neurologo, indomito idealista, non scopre che un composto chimico a base di Dopamina, le avrebbe “ridate alla vita”. Il sogno finisce quando (forse a causa di un’incapacità di adattamento ad una Società verso la quale non erano preparate) si sviluppa un’insensibilità tanto incomprensibile quanto irreversibile al farmaco che ripropone, nuovamente, la triste visione di “statue di sale”.

Spesso, tanto nelle tematiche dei racconti “impegnati”, quanto nell’immaginario collettivo, affiora la trama “da brivido” che ci porta ad osservare con timore la possibilità di perdere l’efficienza mentale e di assistere al degrado dei nostri “poteri” interiori. Non a caso, una delle patologie più temute è quella della Malattia di Alzheimer.

Riflettiamo per un attimo…

Ogni giorno che trascorriamo su questa Terra, ci mette in condizione di dover rispondere a svariate richieste che creano multiformi situazioni di stress che, da acuto si trasforma, man mano in cronico. A cui, in pratica, non facciamo più caso.

In sostanza, si finisce col fare una serie di cose come se fossimo diventati automi senza più consapevolezza, perdendo contezza, memoria e cognizione. Guarda caso, proprio quello che succede in caso di decadimento cognitivo medio grave.

Da molto tempo gli esseri umani hanno vissuto l’enorme discrepanza fra i potenziali mentali (i cui margini di sviluppo tendono a valori pressoché infiniti) e la propria strutturazione corporea (che più di tanto non si può evolvere…).

È probabile che sia nata da ciò, l’esigenza di immaginare un’anima immortale “costretta” in corpo mortale, che si libera dalle catene solo dopo la disaggregazione atomica di tessuti, organi ed apparati.

Gli esseri umani, da che mondo è mondo, si sono sempre lamentati della brevità della propria vita. Anche coloro che agognano una scorciatoia per uscire da questa valle di lacrime, prontamente si “redimono” sentendo “l’odore” della nobile signora con la falce che tutto livella ed ogni cosa riconduce all’unità eterna.

L’umanità, quindi, da un lato si è attribuita il possesso di una scintilla divina che anima la materia, dall’altro ha cercato di capire come mai (nonostante la propria “parentela” con Dio) fosse costretta alle tribolazioni terrene. A turno, sugli “spalti della verità incondizionata” (quella che non conosce il dubbio, l’assenza del giudizio sugli altri ed il distacco dagli eccessi) si sono affacciati “intermediari divini” che hanno, di volta in volta, descritto la condizione umana come:

  • Illusione (Indù e buddisti);
  • Destino (Greci);
  • Scintilla divina che anima la materia (Manichei e gnostici);
  • Peccato da espiare (greci);
  • Croce da portare (Cristiani);
  • Etc.

Breve e irrevocabile è della vita il corso ma, con i fatti, eternarne il ricordo è concesso! (Cit.)

Alzi la mano chi non ha mai, anche se per un solo momento, pensato di poter lasciare il proprio nome inciso a lettere dorate, nell’almanacco dei fatti del mondo, all’interno della sezione “Persone utili al superamento dell’angoscia legata alle problematicità della finitezza umana ed in grado di agire per lo sviluppo ed il benessere collettivo”

Ricercare il senso delle cose, per non perdersi nel vuoto esistenziale;

Migliorare lo standard qualitativo, affaticandosi meno e non cadere nella mediocrità;

Camminare verso la verità, per non raccontarsi bugie.

In fondo, sono queste le indicazioni per incocciare la via del viver bene, nel grande teatro esistenziale di questo 21° secolo, caratterizzato da dicotomie tanto evidenti quanto alienanti, in grado di dividere un concetto in due esatti contrari (ANIMA • CORPO / LEGALITÀ • ILLEGALITÀ / POVERTÀ • RICCHEZZA / CITTADINANZA • SUDDITANZA / IMPROVVISAZIONE • PREPARAZIONE / IDENTITÀ • DIFFERENZE, ETC.).

Se v’è per l’umanità una speranza di salvezza e di aiuto, questo aiuto non potrà venire che dal bambino, perché in lui si costruisce l’uomo. Rendiamoci conto che il bambino è un operaio e che il fine del suo lavoro è di produrre l’uomo. (Maria Montessori)

Ed è questo punto che vorremmo ricordare la figura di Maria Tecla Artemisia Montessori, nata a Chiaravalle (AN) il 31 agosto 1870 che (per chi non lo sapesse), nella sua vita ha svolto attività di educatrice, pedagogista, medico, neuropsichiatra infantile, filosofa e scienziata

A quarantatré anni (era il 1913), sbarcata dalla nave che l’aveva condotta nelle “lontane Americhe”, fu accolta dalla scrittrice Helen Keller con queste parole:

Beati i piedi di colei che attraversa il mare con un messaggio di libertà ai bambini americani.

Un’ accoglienza trionfale per una persona apprezzata in tutto mondo. Un po’ meno (tanto per cambiare…) nel nostro Paese.

A distanza di tanti decenni dalla morte (nel 1952), il “metodo Montessori” è più vivo che mai e risponde tuttora a molte esigenze dei bambini.

Più dell’elettricità, che fa luce nelle tenebre, più delle onde eteree, che permettono alla nostra voce di attraversare lo spazio, più di qualunque energia che l’uomo abbia scoperto e sfruttato, conta l’amore: di tutte le cose esso è la più importante. Il bambino è una sorgente d’amore; quando lo si tocca, si tocca l’amore. (Maria Montessori)

Nel mondo vi sono, tuttora, 22000 scuole che si ispirano al metodo. In Italia 150.

Ma chi è stata questa donna eccellente che ci guardava, materna, dalle nostalgiche “mille lire”?

Pedagogista, educatrice, medico (una delle primissime donne a laurearsi in medicina) ha, nel corso degli anni, elaborato un metodo che pone al centro il bambino con tutte le sue reali esigenze.

Dicono che bisogna insegnare ai bambini ad amare la madre, il padre, la maestra; bisogna insegnar loro ad amare tutto e tutti. E chi è questo maestro di amore, che vuole insegnare ai bambini ad amare? Colui che giudica capricci tutte le loro manifestazioni e che pensa alla propria difesa contro di loro? L’adulto non può diventare maestro d’amore senza un esercizio speciale e senza aprire gli occhi della coscienza. Dobbiamo essere educati, se desideriamo educare. (Maria Montessori)

Inizialmente, l’interesse fu verso i bambini con bambini affetti da problemi psichici e, i risultati, furono lusinghieri. Poi ebbe la grande intuizione che il suo metodo di insegnamento e lavoro sarebbe stato di grande utilità per tutti i piccoli scolari.

Maria Montessori considera “il bambino come essere completo, capace di sviluppare energie creative e possessore di disposizioni morali” che, l’adulto, ha compresso dentro di sé rendendole inattive.

Il principio basilare deve essere la libertà dell’allievo, perché solo la libertà favorisce la creatività del bambino, già presente nella sua natura.

Dalla libertà verrà fuori la disciplina.

È necessario che l’individuo adulto cerchi di acquistare una intelligenza delle necessità infantili e sappia frenare il proprio orgoglio di plasmatore. (Maria Montessori)

Per Maria Montessori, la disciplina deriva dal “lavoro libero”. Essa nasce solo quando nel bambino emerge l’interesse autentico, ossia “quando egli sceglie il lavoro, assecondando il proprio istinto”.

Mai aiutare un bambino mentre sta svolgendo un compito nel quale sente di poter avere successo. (Maria Montessori)

Compito precipuo dell’insegnante sarà lavorare al mantenimento di questo stato, tramite l’educazione al movimento.

È bene sottolineare subito la centralità del movimento perché, il bambino, col movimento sviluppa delle operatività che poi trovano un riscontro nelle facoltà psichiche.

Il bambino, quando entra in un ambiente costruito a sua misura e con materiali ad hoc, si trova a suo agio e agisce in base alle sue esigenze.

Il silenzio acuisce le nostre sensibilità. Stando in silenzio non solo possiamo ascoltare con maggiore attenzione la parola dell’altro, e quindi “incontrarlo”, ma riusciamo a cogliere profondamente la realtà che ci circonda. E’ importante allora permettere al bambino di vivere anche questa dimensione, preservando sempre nei suoi confronti una relazione di accoglienza e supporto.

Favorire il silenzio non significa tuttavia imporlo, zittendo il bambino, ma piuttosto creare le condizioni affinché esso si manifesti spontaneamente: offrendo al bambino un ambiente non rumoroso, non interrompendolo verbalmente quando svolge con interesse un’attività, permettendogli di osservare un insetto che cattura la sua attenzione o un sassolino raccolto per terra, senza voler essere sempre interpreti con le nostre parole dei suoi pensieri.

I grandi, di solito, trattano i bambini senza tener conto delle reali esigenze dei piccoli e gridano dicendo :”non fare questo, non fare quello” etc.

Ma, si chiede Maria Montessori, come può il bambino scegliere di obbedire se non ha ancora sviluppata la volontà?

Per questo, bisogna tenere conto delle esigenze dei bambini e agire di conseguenza.

Il bambino pian piano accetta le regole che nascono dal suo fare, dal suo agire, dal suo giocare.

La prima premessa per lo sviluppo del bambino è la concentrazione. Il bambino che si concentra è immensamente felice.

In tempi in cui la scuola era attenta in modo esecutivo a far “leggere scrivere e far di conto” (magari con l’ausilio di punizioni corporali), Maria Montessori volava altissima su questioni che, oggi, sembrano di facile condivisione ma cent’anni erano pura utopia.

La Montessori mirava alla “educazione cosmica” che abbracciava i concetti di educazione ecologica, di educazione alla pace, di educazione alla mondialità’.

Per lei bisogna guidare il bambino verso l’amore per la vita e diffondere il massimo numero di germi di interesse.

Una prova della correttezza del nostro agire educativo è la felicità del bambino.

Abituata a girare il mondo ed invitata in tantissimi stati, la Montessori ebbe modo di constatare come il dialogo, la tolleranza e il confronto fossero, come suol dirsi,  “il sale del mondo”.

Per questo, nelle sue proposte non c’è mai niente di chiuso, di stantio, di autoritario ma si avverte sempre un soffio vitale e una carica umana che favorisce la serenità e l’ottimismo.

Cari Lettori, non possiamo in questa sede soffermarci in modo analitico su un metodo tanto pregevole.

Vogliamo ricordare, però, almeno il valore importante assegnato alla musica.

L’educazione musicale favorisce il coordinamento dei movimenti e a livello psichico produce benessere.

L’educazione è un processo naturale effettuato dal bambino, e non è acquisita attraverso l’ascolto di parole, ma attraverso le esperienze del bambino nell’ambiente. L’ambiente deve essere ricco di motivi di interesse che si prestano ad attività e invitano il bambino a condurre le proprie esperienze.

Una buona scuola montessoriana dà, quindi, adeguato rilievo ai principi di libertà, di autonomia, di collaborazione e di partecipazione.

Con al centro in modo basilare il rispetto e la solidarietà.

Tante cose bellissime di cui, oggi, si avverte fortemente l’esigenza in un mondo che mal guidato pare volerne fare sempre di più a meno.

E, in fondo, ogni essere umano, per poter ottenere il meglio della vita, dopo aver soddisfatto i bisogni primari indispensabili (mettere insieme pranzo e cena, avere un tetto sulla testa, etc.), utilizzando correttamente gli strumenti messi a disposizione dagli ambiti contemporanei, ha necessità di incamminarsi nella direzione di tutto ciò che consente di raggiungere quelle gratificazioni in grado di dare un senso concreto alla propria esistenza (autostima, autoaffermazione, integrazione sociale nel rispetto della tutela della propria identità, autorevolezza, sicurezza ed autoconservazione, riuscire ad amare ed a farsi amare, programmazione ed autorganizzazione, riservatezza, garbo e cortesia, etc.), lasciando il percorso degli aspetti meno maturi (identificazione in modelli scorretti, studio solo per obbligo sociale, competizione con gli altri ed ambizione scorretta, gregarietà, autoritarismo, ricerca di protezione e sicurezza in funzione di altri, autostima in funzione del giudizio altrui, etc.).

In pratica, tutto ciò che rientra nei bisogni necessari allo sviluppo di un’identità corretta e matura, rappresenta una garanzia per raggiungere una sorta di standard di “alta qualità” esistenziale.

Alla luce di ciò, proviamo ad approfondirci sul concetto di Autoaffermazione.

Possiamo dire subito che rappresenta la condizione di chi mira ad esprimere pienamente sé stesso (nel rapporto con la propria identità e nei riguardi del contesto ambientale “ristretto” ed “allargato”), la propria personalità (in maniera proporzionale alle proprie capacità introspettive) ed il proprio ruolo (essere umano integrato nel tessuto sociale, come partner, genitore, figlio, fratello, soggetto economicamente produttivo, etc.)

Fin dalla notte dei tempi, l’autoaffermazione (dalla scoperta del fuoco alla realizzazione dei sincrotroni) è sempre stata legata al termine “successo”, inteso come esito positivo di un evento risultante da una programmazione accurata ed una esecuzione che tenesse in debito conto, fattori motivazionali adeguati e competenze specifiche di alto profilo.

Anche in questo modo si produce la propria realizzazione.

Se fai progetti a breve termine, semina il grano …vivrai bene per un anno, Se il tuo pensiero va un po’ più in là, pianta un albero…ne usufruiranno i tuoi figli. Se, invece, chiudendo gli occhi, sei in grado di vedere un futuro migliore…allora istruisci un popolo! (Kuang-Tsen)

Siccome il benessere globale di una persona si misura dallo stato di equilibrio metabolico del suo Network psicobiofenomenologico (rapporto fra mente, sistema nervoso, sistema immunitario, apparato endocrino) e dal basso numero di conflitti che albergano nei meandri del proprio animo, possiamo concludere che, il miglior modo di autoaffermarsi consiste nel costruire e raggiungere il proprio successo psicofisico.

Seguendo l’esempio Montessoriano, dovremmo riuscire, in maniera spontanea, ad utilizzare questo “meccanismo di difesa e di evoluzione” chiamato autoaffermazione, che consente di affrontare conflitti emotivi e fonti di stress interne o esterne esprimendo i propri sentimenti e i propri pensieri direttamente, al fine di ottenere quello che ci si è proposti.

In questo modo, diventa chiaro ed evidente che ci si trova di fronte a qualcuno capace di avere un atteggiamento positivo verso sé stesso e verso gli altri e di riconoscere, rispettare ed esprimere, i propri bisogni nel rispetto di quelli altrui.

Se volessimo pensare a una “lista della spesa”, potremmo immaginarla più o meno come quella che vi proponiamo di seguito

  • Proteggersi dalle frustrazioni di ogni giorno (imparando ad assorbirle ed a metabolizzarle).
  • Imparare ad applicare i concetti di adattamento ed integrazione nei confronti delle difficoltà del quotidiano, per vivere in assenza di conflitti permanenti.
  • Operare una gestione corretta del proprio tempo vitale.
  • Riuscire a donare e ricevere amore, nella giusta misura.
  • Adoperarsi per far valere i propri diritti e riducendo, comunque i rischi di collisioni interpersonali.
  • Costruire un lavoro che piace.
  • Approntare l’antiacido giusto per riuscire a digerire i fastidi lavorativi, quelli relativi al “gravame” familiare e tutto ciò che deriva dalla difficoltà di impegnare correttamente il proprio tempo libero.
  • Ridimensionare l’attaccamento ai beni materiali.
  • Utilizzare le esperienze di vita vissuta ed acquisendo la capacità di vedere negli errori, un’opportunità per “crescere”.
  • Riuscire a determinare, interiormente, la propria, personale, gioia di vivere e provando a contagiare chi sta vicino.

Per quanto riguarda noi “comuni mortali”, ogni tanto, quando entriamo in crisi per aver pensato quello di cui stiamo parlando, creiamo un vuoto di relazioni. Il più delle volte si cerca una strada per continuare a mascherarsi da persone sicure, fino ad arrivare a sistemi come alcol e droghe che servono a stordire i sensi di inferiorità (salvo poi viverli “amplificati” alla fine dell’effetto di questi tossici).

In verità, l’individuo contemporaneo tende a bloccare il dialogo con sé stesso, per non sentire il fastidio nei propri confronti, derivante da scarse realizzazioni.

Quale diventa, a questo punto, la strada da percorrere?

Non resta che continuare a puntare su sé stessi, imparando a valorizzare sempre meglio le proprie potenzialità inespresse, così da affrontare le proprie debolezze e riuscire, finalmente, a stimarsi e proteggersi.

Cari Lettori, Maria Montessori è una “madre” in senso non retorico. Ci ha lasciato un’eredità unica: come trattare i bambini senza mortificare la loro crescita, la loro autenticità, la loro creatività.

Perché, Adulto, è colui che ha preso in carico il bambino che è stato, ne è diventato il padre e la madre, risolvendo i limiti della propria infanzia, andando incontro alle ferite e ai traumi per chiudere i “sospesi” e riscoprendo la verità dei sentimenti. Adulto, è chi si assume le responsabilità delle proprie scelte, abbracciando paure e fragilità.

E, noi, ci accomiatiamo chiosando il periodo cominciato all’inizio di questo Editoriale.

Un abbraccio a tutte le Madri.

“Guarda bene quello cosa c’è intorno a noi. C’è armonia dei rumori, delle nuvole, del vento, della sabbia; e poi, in mezzo a questo incredibile concerto di vita e materia, ci sei tu, ci sono io e tutti gli esseri umani che ci circondano. Quanti tra noi sono capaci di dimenticare per un momento i propri problemi per lasciarsi stupire da questo incredibile spettacolo? Riuscire a riportare te alla vita, dà un senso alla mia vita”. (Se solo fosse vero, Marc Levy)

VORREI ESSERE TUA MADRE

Per amarti senza amare prima me
Vorrei essere tua madre
Per vedere anche quello che non c’è
Con la forza di una fede
Per entrare insieme nel poema del silenzio
Dove tu sei tutto quello che sento

Per amarti senza avere una ragione
Tranne quella che sei viva
E seguire il fiume della tua emozione
Stando anche sulla riva
Leggerei il dolore da ogni segno del tuo viso
Anche nell’inganno di un sorriso

Vorrei essere tua madre
Per guardarti senza voglia
Per amarti d’altro amore
E abitare la tua stanza
Senza mai spostare niente
Senza mai fare rumore
Prepararti il pranzo quando torni e non mi guardi
Ma riempire tutti i tuoi ricordi

Ma il problema vero è se ci tieni tu
Ad avermi come madre
Fatalmente non dovrei spiegarti più
Ogni gesto, ogni mia frase
Mi dovresti prendere per quello che io sono
Non dovrei più chiederti perdono

Vorrei essere tua madre anche per questo
E mille e mille altre ragioni
Ti avrei vista molto prima, molto presto
E avrei scritto più canzoni
Forse ti avrei messo in testa qualche dubbio in più
Cosa che non hai mai fatto tu
Forse ti avrei fatto pure piangere di più
Ma non hai scherzato neanche tu

“Quando la mano si perfeziona in un lavoro scelto spontaneamente, e nasce la volontà di riuscire, di superare un ostacolo, la coscienza si arricchisce di qualcosa di ben diverso da una semplice cognizione: è la coscienza del proprio valore”. (Maria Montessori)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un grazie affettuoso ad Amedeo Occhiuto e a Mariella Cipparrone per la disponibilità

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