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Non temete il futuro, siate per bene e passeggiate nei boschi (Brunello Cucinelli)

Cari Lettori, in questa Società dove ogni cosa è “spettacolarizzata” in maniera da non consentirci più di capire dove termina la fantasia e inizia la realtà e nella quale tutto viene vissuto come l’alimentazione di un bulimico il quale, purtroppo, non riesce ad assaporare nulla di quello di cui si nutre, finiamo col celebrare eventi e ricorrenze senza consapevolizzarne i motivi e “percorrendo” giorni sempre uguali nell’angosciosa attesa della fine di tutto.

La Festa del lavoro (o, meglio, dei lavoratori) nasce a Parigi il 20 luglio del 1889 come idea lanciata durante il congresso della Seconda Internazionale (indetta dai partiti socialisti e laburisti europei).

La scelta della data non è casuale: il 1° maggio del 1886, una manifestazione operaia a Chicago era stata repressa nel sangue. A metà del 1800, infatti, l’orario di impegno (meglio dire “sfruttamento”) lavorativo era mediamente di 16 ore al giorno e senza il riconoscimento dei più elementari diritti.

Questa iniziativa diviene, di fatto, il simbolo delle rivendicazioni operaie e, ancora oggi, la data del Primo Maggio, in molti Paesi (compresi Cuba, Russia, Cina, Messico, Brasile, Turchia e i Paesi dell’Unione europea) è considerata festa nazionale. Curiosamente non lo è, invece, negli Stati Uniti dove preferiscono festeggiare (sempre il primo maggio) il “giorno della lealtà”. In Italia tale ricorrenza, abolita dal fascismo nel 1923, è stata ripristinata nel 1947.

L’opera pittorica che in modo emblematico ricorda e testimonia tutto ciò è un dipinto olio su tela del pittore italiano Giuseppe Pellizza da Volpedo e intitolato “Il Quarto Stato” (così chiamata per identificare operai, contadini e proletariato in genere: il Quarto Stato, in contrapposizione col “Terzo Stato” della Borghesia)

Questo quadro (grande tre metri per cinque) realizzato dal 1898 al 1901 è conservato nel Museo del Novecento di Milano dal 1920. Il dipinto fu acquistato all’epoca attraverso una sottoscrizione popolare senza precedenti perché ritenuto di altissimo significato sociale.

Il Quarto Stato è il simbolo di un periodo lavorativo che, di fatto, non esiste più dal momento che, la Società attuale, tenta (con costi della vita sempre più alti) di appiattire anche la cosiddetta media borghesia creando, di fatto, due blocchi contrapposti: quello dei sempre più ricchi e quello del resto della popolazione. Senza cuscinetti intermedi.

Un nuovo medioevo, insomma, il quale richiede un profondo ripensamento dei Sindacati e della difesa di un Lavoro che tende, nuovamente, a perdere caratteristiche di dignità.

Cari Lettori, è a questo punto che vogliamo fare entrare in scena, Brunello Cucinelli, nato vicino Perugia, a Castel Rigone, il 3 settembre 1953 da una famiglia contadina. Inizialmente intraprende gli studi da geometra per poi iscriversi alla facoltà di ingegneria. Non termina gli studi e nel 1974 lascia l’università per iniziare un’attività nel campo della moda. Fonda quindi nel 1978 l’azienda Brunello Cucinelli e si concentra sulla lavorazione del cachemire colorato.

Secondo l’agenzia Bloomberg ha raggiunto lo status di miliardario il 9 maggio 2013, con il possesso del 65% delle quote della sua società, un pacchetto azionario valutato circa 947 milioni di dollari. Secondo i dati del 2018, il suo patrimonio ha superato i 2,4 miliardi di Euro.

Insignito dall’Università degli Studi di Perugia della laurea honoris causa in filosofia ed etica nei rapporti umani, nel 2018 ha venduto il 6% delle sue azioni (per un valore di oltre 100 milioni di euro) per donarli in opere di beneficenza.

Nel mondo dell’alta Finanza, anche per la sua attenzione verso il capitale umano di cui l’azienda dispone, viene considerato un imprenditore rispettoso della “dignità morale ed economica dell’essere umano”, valorizzandone l’aspetto sociale.

Da noi, dopo le 17,00 si può non rispondere più a sms o mail aziendali. Per quanto riguarda la qualità delle relazioni umane, abbiamo una regola molto semplice: chi offende qualcuno, viene gentilmente accompagnato alla porta dell’azienda.

Un suo operaio (ce ne sono oltre 2000) prende in media 1875 euro mensili (che superano i 2200 per i più qualificati).

Una persona che chiama gli addetti delle pulizie “specialisti che riordinano le cose”, non è incredibile che possa essere raggiunta da chiunque, attraverso il numero di telefono “verificato” e reperibile su Internet.

Già Presidente del Teatro Stabile dell’Umbria e consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, nella sua città dell’anima, Solomeo. ha finanziato la costruzione del Foro delle Arti (un centro culturale che comprende un teatro, spazi meditativi e l’Accademia Neoumanistica), tre parchi (Agrario, dell’Oratorio e dell’industria) e ha iniziato il progetto di una “Biblioteca Universale” di 2.000 metri

La cosa più importante è non avere paura. Non lasciatevi influenzare da chi sottolinea gli aspetti di difficoltà e incertezza che la vita riserva. È tutto vero, vivere è complicato. Ma non mi stancherò mai di dirlo: non abbiate mai paura del futuro, vivete il presente con leggerezza e parlate e sognate a ruota libera. Fatelo soprattutto coni vostri amici e i vostri veri amori

Cari Lettori, la nostra vita può essere, probabilmente, divisa in quattro momenti fondamentali

Fino a 20 anni, in cui prevale l’arroganza della gioventù (un po’ come Alessandro Magno che contemplava  il mare per scoprire i confini del mondo)

Fino a 45 anni, arco temporale nel quale vogliamo “contare” sulla Passione e sull’Erotismo dell’intimità (di idee, emozioni, etc.)

Fino a 60, quando possiamo dire che iniziamo ad “avere le idee chiare” sui misteri del gioco della vita

Dopo i 60, quando paradossalmente, non ci sta più bene niente perché abbiamo bisogno, in sostanza, di “rifondare” i motivi per continuare. E, questo, è possibile che avvenga se abbiamo capito fino in fondo l’importanza di essere rimasti persone per bene.

Scrive Pablo Neruda in una sua poesia:

Io lavoro e lavoro, devo sostituire tante dimenticanze, riempire di pane le tenebre, fondare di nuovo la speranza.

Come abbiamo avuto modo di scrivere anche in altre occasioni, secondo Freud e Lacan, l’essere umano manca di un programma istintuale capace di orientare la sua esistenza nel Mondo. E proprio su questo “difetto” che, sempre secondo il pensiero di questi “grandi” della Psicoanalisi, prende corpo il programma dell’Inconscio.

Proviamo a capire

Al contrario di forme apparentemente meno evolute, non accettiamo passivamente l’idea che, il senso della nostra presenza sia, appunto, la nostra stessa presenza. Abbiamo bisogno di capire che lo scorrere dei granelli di sabbia nella clessidra che misura quanto ci resta, del variegato coacervo di stati d’animo, sia finalizzato al sentirsi delle “brave persone” (se si è cresciuti coi Valori di una volta) o al raggiungimento della possibilità di godere.

Entrambe queste posizioni, rispettano il motivo che guida il cammino di ognuno: il Principio del Piacere.

Tale “chimera” genera la nostra condanna alla vita, intesa come scontro fra due estremi apparentemente inconciliabili: Eros (Amore e passione) e Thanatos (Morte).

Al primo, Sigmund Freud dava la valenza di pulsione volta alla conservazione della vita; nella seconda, individuava la pulsione che spinge verso la distruzione della vita stessa.

Ognuno sta solo sul cuor della Terra trafitto da un raggio di sole. Ed è subito sera (Salvatore Quasimodo)

Cari Lettori è chiaro che, essendo ancora molto lontani da quella maturità capace di governare queste pericolose forze interiori che ci “governano”, il rischio di vedere  burattinai che pretendono di “animare” a piacimento un mondo di burattini è sempre più incalzante.

L’aria oggi puzza di uova marce, è infetta di tetraetile, idrocarburi, catrami. Ho raccolto dal cemento, ora, un minuscolo uccello rosso grigio tutto tremante: ha gli occhi quasi chiusi e il becco pieno di schiuma verdastra. Forse ha mangiato qualche granulo di zolfo, forse qualche altro veleno terribile …. (Ferruccio Brugnaro, poeta operaio)

In una recente intervista, lo psichiatra Otto Kernberg ha spiegato che il miglior modo di “onorare” la vita, resta quello di Amare e Lavorare per riuscire a identificare e sviluppare le proprie aspirazioni, soddisfare i propri bisogni, modificare l’ambiente in modo sostenibile e adattarvisi migliorando le capacità di “coping”

Chissà cosa accadrebbe se riuscissimo a incontrare i bambini che eravamo e chiedere loro un parere sugli adulti che, poi, siamo diventati…

Probabilmente scopriremmo di aver impattato col prezzo della vita, quell’insieme di istanti che “vanno a senso unico” colorando e dando un peso a quel misuratore indifferente che è il tempo, creandoci l’illusione di essere in quella condizione di fare ciò che piace e che fa star bene: la libertà.

Ma siamo realmente liberi nel decidere i nostri percorsi di vita?

In linea di massima, la risposta potrebbe essere affermativa nel senso che basterebbe poter scegliere ciò che più piace e verso cui ci sentiamo più “legati”. Nella realtà dei fatti, qualunque attività decidiamo di intraprendere, dovremo sopportare dei costi pur traendone dei vantaggi.

Quali potrebbero essere questi costi?

Innanzitutto il tempo da dedicare per prepararci ad affrontare una determinata professione; poi, le difficoltà da affrontare per inserirsi in un circuito lavorativo dignitoso; inoltre, c’è da considerare le frustrazioni con cui, inevitabilmente, ci si scontra durante un percorso occupazionale; infine, non si può trascurare la necessità di sapersi barcamenare tra il tempo da dedicare al lavoro e quello da utilizzare per dare alla propria vita una dimensione di completezza ed equilibrio (affetti, amicizie, tempo libero, miglioramento personale, etc.)

L’imperatore Adriano si domandava se fosse mai esistito qualcuno in grado di sentirsi meglio dopo avere ricevuto un complimento. Io aggiungo che, il lavoro, non può e non deve rubare l’anima. (Brunello Cucinelli)

Gli antichi sostenevano che, nei confronti dei propri figli si dovrebbe essere anzitutto “Maestri”, quindi “Padri” e, infine, “Amici”.

In questo modo, nel rapporto fra fatica (costo) e gusto (beneficio) ci muoveremo, come Diogene con la lanterna a cercare l’uomo, in tutti i suoi significati.

La sconfitta, in questa ricerca, porterebbe a sperimentare nuove sfaccettature di quella angoscia interiore abitata da antichi demoni

A tal proposito, Italo Calvino ha spiegato che, a suo modo di vedere le cose, vi sono due modi per non soffrire l’inferno.

Il primo riesce facile a molti: accettarlo e diventarne parte fino al punto di non vederlo più.  Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e sapere riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno non è inferno, per farlo durare e dargli spazio

Cari Lettori, probabilmente la nostra esistenza ricalca la guida di un aereo: diventa prioritario restare ai comandi qualunque cosa accada. Il problema nasce nel momento in cui la situazione ci sfugge di mano per aver commesso errori nella strategia di conduzione delle cose che facciamo. A quel punto, l’aereo (cioè la nostra vita) può “piombarci addosso” come una mina vagante.

L’importante è evitare lo stallo.

Lo stallo è quel momento in cui un velivolo non ha più spinta inerziale per cui comincia a precipitare. La bravura del pilota consiste nel riuscire a volare manovrando la cloche in maniera da raggiungere l’equilibrio fra la spinta dei motori e la durata dell’accelerazione, restando all’interno di una curva disegnata fra la “salita” e la “discesa” evitando, nel contempo, di finire fuori rotta.

Con l’accelerazione di nuove tecnologie, oggi si pongono scenari diversi che bisogna seguire con grande attenzione e lucidità.

Con l’avvento di Internet e dei suoi “derivati” (smart working, metaverso, etc.) il concetto di “lavoro” va completamente reimmaginato.

Internet ha cambiato l’umanità e, seguendo il “Pensiero” di  Voltaire, per non prendere la parte peggiore, dobbiamo accettare i cambiamenti del nostro tempo. Bisogna, però, restare umani senza rinnegare la tecnologia ma riconoscendone i limiti.

La realtà virtuale non può creare boschi o mari o sculture o quadri o chiese o monumenti che possano davvero emozionare. Nessun assistente virtuale e nessun robot dotato di intelligenza artificiale può sostituire uno scambio di sguardi, una stretta di mano, un abbraccio. (Brunello Cucinelli)

Nel difficile “post Covid” e in mezzo a scenari sempre più frequenti  di guerre insensate il cui vero obiettivo è quello della conquista di pezzetti “sabbia” contenenti “terre rare” (silicio, litio e simili), ci troviamo a un crocevia in cui quell’impiego razionale dei beni e dei mezzi a disposizione per soddisfare i vari bisogni evitando sprechi, che si chiama Economia, richiede l’attivazione di gruppi di lavoro condiviso deputati a intervenire nella “gestione per eccezioni”, per problemi che nessun sistema automatizzato sarebbe in grado di affrontare.

La Formazione e la Scuola dovranno, per forza di cose, avere ruoli e competenze sempre di maggior peso e responsabilità.

La Scuola del futuro dovrebbe sempre più attrezzarsi per educare al bello in tutte le sue valenze in modo che ognuno potrà poi, al di fuori del periodo lavorativo, dedicare il tempo libero ad arricchire la sua umanità. Per essere sempre più umano in un mondo pieno di macchine e di necessaria e utile tecnologia.

Il pettirosso prova le sue ali. Non conosce la via ma si mette in viaggio verso una primavera di cui ha udito parlare” (Emily Dickinson)

Qualcuno sostiene che abbiamo “subito” oltre un trentennio di crisi di civiltà (più che economica) dove i grandi valori e i grandi ideali si sono affievoliti ma, come sostiene Eraclito, mentre le cose si riposano, il mondo si rigenera.

Quindi, se si vuole emergere dal cratere nel quale siamo finiti (e del quale, ancora, non conosciamo il fondo) è necessario accettare l’idea che, NESSUNO, è più importante dell’ALTRO ma che, CIASCUNO, opera in ambiti di pertinenza nei quali non è succube di NESSUNO.

Utilizzando una simbologia musicale (già proposta in altre nostre riflessioni), si può associare il modello tradizionale di lavoro ad una banda di robot che suonano “marcette”.

La dura realtà della nuova reality economy richiede, invece, un modello originale di orchestra jazz in cui ognuno porta avanti il suo progetto, con un direttore in grado di coordinare i vari solisti che si esprimono, mediante work songs (canti di lavoro), spirituals (inni religiosi) e blues (“richiami” di protesta sociale), nella creazione di melodie più o meno svincolate dai temi d’insieme, irripetibili fuori dall’istante della loro esecuzione.

In futuro (man mano che le nuove generazioni guadagneranno la “prima linea”, consentendo ai “veterani” il meritato riposo)con l’impegno collettivo in cui emergeranno le competenze embrionarie di TUTTI, la next economy dovrebbe poter vedere piattaforme operative delineate sul modello del Quartetto d’archi, capace di comunicare armonie attraverso l’ausilio di virtuosismi strumentali in grado di trasmettere sensazioni intersecanti le calde emozioni del passato con la vitalità spumeggiante della vita contemporanea.

D’altronde, questo tipo di formazione musicale (privilegiato dai compositori musicali, a partire dalla metà del settecento) rappresenta, di fatto, non un semplice aggregato di musicisti ma “un insieme omogeneo ed integrato che determina una conversazione tra quattro persone ragionevoli” ( Goethe) il cui obiettivo è quello di conciliare la dimensione sinfonica con quella solistica

Il fallimento di una relazione, è quasi sempre un fallimento di comunicazione (Zygmunt Bauman)

La forza del gruppo, infatti, consiste nella capacità di riassumere i colori principali della tavolozza orchestrale mantenendo, ogni strumentista, l’indipendenza e l’autorevolezza di un solista (con il “direttore incorporato”).

Cari Lettori, è un dato di fatto che in questo inizio di ventunesimo secolo si stiano susseguendo notizie che inducono a spegnere speranze e aspettative.

Secondo noi, c’è ancora la possibilità di una nuova alba, simboleggiata dalla suggestiva immagine di copertina che mostra il bambino che è in noi, mentre fa volare i propri sogni sotto la Luna che ascolta i suoi desideri.

Cari Lettori, a dispetto di ogni Pandemia e di ogni stupida Guerra, l’auspicio è quello di ritrovarci, tutti, in una specie di Isola che non c’è, dove il recupero di antichi valori e la ricerca di una modernità “spinta” all’estremo si amalgamino, con sapiente velocità, verso quell’INFINITO “PRESENTE” dove le rette si convergono in un punto.  Quello da cui tutto è partito.

Per poter, finalmente, ricominciare.

Mio padre tornava dal lavoro (aveva più o meno 45 anni mentre, io, 17) e, frustrato, si domandava in cosa avesse mai potuto offendere il buon Dio, per essere umiliato nel lavoro di tutti i giorni. Vedere il proprio padre umiliato ha generato in me una reazione forte. Quindi mi sono detto che, qualunque cosa avrei fatto nella mia vita, sarebbe rimasta nei binari della dignità morale ed economica dell’essere umano. Perché, il  successo, parte dall’Etica

“Non vi è, per l’uomo, pane più saporito di quello che egli si procura con il proprio lavoro fisico e intellettuale. Non vi è bene che non possa essere acquistato con lavoro, né soddisfazione che non possa essere data dal lavoro” (Samuel Smiles)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento affettuoso ad Amedeo Occhiuto, per avere proposto di analizzare la figura di Brunello Cucinelli.

Un suggerimento: provate a rileggere l’articolo ascoltando, in sottofondo la bella colonna sonora composta da Ennio Morricone per il dramma storico “Novecento”, diretto (con un cast internazionale) da  Bernardo Bertolucci nel 1976, che racconta le vite e l’amicizia del possidente terriero Alfredo Berlinghieri e del contadino Olmo Dalcò, due uomini nati nello stesso giorno e nello stesso luogo ma dotati di personalità e condizioni sociali opposte, sullo sfondo dei conflitti sociali e politici che ebbero luogo in Italia nella prima metà del ventesimo secolo.

Il dipinto che fa da sfondo ai titoli di testa di questa grande film (selezionato fra i cento film italiani da salvare) è l’opera di Giuseppe Panizza da Volpedo “Quarto Stato”

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