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Provo a frenare le parole, ma, questa volta, volano più veloci dell’inibizione e, subito dopo, immediatamente me ne pento.

Questa volta voglio provare a scrivere senza inizio, partendo dalla seconda riga, senza trasmettere la riflessione da cui tutto è scatenato. Anticipo la parola e cerco di descriverne il momento, omettendo ogni verità.

L’attimo dopo.

La seconda riga è l’attimo che segue, dopo un “qualsiasi”. Può essere un vetro rotto, un lancio arrivato alla fine, il sole dietro l’angolo.

Mi perdo nei pensieri, riflessioni che seguono un filo logico questa volta e, senza soffermarmi sull’inizio, traduco la verità e ne faccio un comportamento.

Inframezzate fra le righe di questa, i momenti di quotidianità che mi accompagnano ormai da sempre e da cui, penso, mai più mi distaccherò.

Le cose della vita cambiano lentamente e quando ti volti indietro, il passato assume un malinconico sapore da cui poter attingere. Ma, questo, sta nella prima riga. Quella che quest’oggi ho deciso di omettere.

Allo specchio dei miei pensieri mi rivedo sotto una luce diversa e consapevolizzo che il problema è tutto là: nell’accettazione della pagina che segue. Senza troppo pensarci mi riprendo in mano i legami che da sempre mi accompagnano, accolgo la richiesta che da tanto sento nell’aria e che, nei rancori della vita, non sono riuscita ad accogliere.

Un passo avanti.

Salto la riga e rifaccio mio quello che nella crescita mi ha accompagnato, nei momenti più importanti, negli istanti da puntualizzare.

Si sono ingarbugliati i pensieri oppure è cambiato completamente il modo di descrivere?

Perplessa.

Una naturale evoluzione conseguente al raggiungimento delle fasi della vita. A scapito di altro, però.

La seconda riga potrebbe essere la verità svelata ancora prima di porsi la domanda.

Il ritorno.

Rifletto su questo periodo ultimo e mi accorgo che siamo nella fase del ritorno. Una serie di circostanze (coincidenze?) che chiudono il cerchio e riportano al passato più bello, anche se allora con molti frammenti. È il momento di provare a tendersi ancora una volta la mano, senza paure e obblighi e con libertà. Quella negata allora a causa delle insanabili sfaccettature.

Provo ad immaginare un altro luogo in un posto a me noto, che possa liberare dell’altro spazio dentro di me e aggiungere aria fresca ad un momento di obbligata chiusura.

Chiudo questa, velocemente e senza ulteriori riflessioni.

La seconda riga ha già un nuovo titolo, che nasce da un momento di sbandamento che ha destabilizzato senza chiedere permesso.

Fernanda

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