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Mente e dintorni è una rubrica (nata da una fortunata serie televisiva) che ci porta a curiosare nei meandri della nostra personalità, per scoprirne i segreti e capire i motivi per cui compaiono i disturbi e, ovviamente, prendere rimedio.

Perché, conoscersi e comprendersi, aiuta senz’altro a vivere meglio.

In questa ventottesima puntata, ci occuperemo del primo dei meccanismi di difesa “ossessivi”, definito “ISOLAMENTO AFFETTIVO”

Come precisato nelle altre puntate, questo lavoro riguardante i Meccanismi di difesa, si basa su una delle scale di valutazione più rigorose e affidabili (il cui acronimo è “DMRS “): quella di John Christopher Perry, ripresa e approfondita dal prof. Vittorio Lingiardi, nelle sue pubblicazioni specifiche.

“Sono poche le persone che io amo veramente e, ancora meno, quelle che stimo. Più conosco il mondo, più ne sono delusa e, ogni giorno di più, viene confermata la mia opinione sulla incoerenza del carattere umano e sul poco affidamento che si può fare sulle apparenze, siano esse di merito o di intelligenza.” (JANE AUSTEN)

Il concetto di isolamento affettivo definisce un meccanismo di difesa descritto fin dai primi del 1900 da Sigmund Freud e consiste nell’isolare un pensiero doloroso, esasperando la razionalizzazione all’estremo così da privare l’esperienza dell’aspetto più angosciante e ridurne la portata emotiva.

In questo modo, si affrontano (sempre inconsciamente) conflitti emotivi e fonti di stress interne o esterne mostrandosi incapace di sperimentare, contemporaneamente, le componenti cognitive e quelle affettive di un’esperienza.

Sostanzialmente, si perde contatto con i sentimenti associati a una data esperienza (ad esempio, un evento traumatico) mentre si rimane consapevoli degli elementi cognitivi (ad esempio, ogni dettaglio descrittivo, che viene espresso con lucidità).

Solo la partecipazione emotiva “affettiva” viene “isolata”; la parte razionale dell’idea, invece, è conscia (al contrario della rimozione, in cui la componente emotiva è mantenuta mentre l’aspetto razionale dell’idea non viene riconosciuto, per cui si provano determinati stati d’animo e non si riesce a collegarli ad eventi specifici)

Qualche esempio

Un grave incidente automobilistico o un’operazione chirurgica dolorosa che, quasi incredibilmente (come nelle migliori sceneggiature delle pellicole d’azione americane) possono essere raccontati con un incredibile distacco.

Oppure, volendo entrare più nei particolari, immaginiamo qualcuno che sia stato appena rapinato per strada. Ogni volta che gli si domandasse come stia, risponderebbe, immancabilmente: “In fondo, sono cose che succedono, non ci penso nemmeno più”.

Come è intuibile immaginare, l’isolamento affettivo è una strategia attuata spesso nel confronto con la morte e il distacco dall’idea del lutto nei confronti di una persona cara, determinando ciò che prende il nome di “lutto congelato”

Nel lutto congelato, non si nega la circostanza che ha portato al fine vita del congiunto, quindi il processo di elaborazione del lutto si è potuto attivare ma, inconsciamente, è stato fermato.

Questo meccanismo che pone apparentemente su un piano di superiorità (perché colloca nel settore di chi mantiene “il sangue freddo”), si attua perché, in realtà non si hanno le risorse per “vivere” tutte le emozioni di angoscia che diverrebbero, a quel punto, devastanti.

L’isolamento affettivo può rivelarsi utile in situazioni di lieve stress quotidiano. Elaborare la realtà a partire da un livello più razionale e meno emotivo, può essere utile per gestire meglio le difficoltà ordinarie.

Tuttavia, nelle situazioni più traumatiche, tale meccanismo di difesa tende a cronicizzare la sofferenza, proprio perché non viene gestita in modo adeguato.

Nelle situazioni in cui sono presenti “dipendenze”, ad esempio, minimizzare il problema rende la difficoltà insormontabile.

L’isolamento affettivo è diffuso anche tra i bambini, ed è correlato all’abbandono emotivo o all’abuso.

Infatti, nel caso in cui al posto delle cure genitoriali, ottengono soltanto atteggiamenti di freddezza emotiva o violenze (fisiche o psicologiche) uno dei modi per far fronte all’angoscia è quello di “isolare” i bisogni emotivi.

“Se mamma e papà mi urlano contro e mi umiliano, smetto di aspettarmi affetto da loro”.

In simili circostanze, un po’ alla volta, passano dall’isolamento emotivo nei confronti delle figure genitoriali, all’isolamento sociale.

In conclusione della passeggiata di quest’oggi, niente di meglio delle seguenti riflessioni di Paulo Coelho, giusto per capire la giusta dimensione della solitudine

“La solitudine non è l’assenza di un compagno o di una compagna, ma il momento in cui la nostra anima può parlarci liberamente e aiutarci a prendere delle decisioni riguardo alle nostre vite”.

Con la speranza e l’obiettivo di essere stato utile per conoscere sempre meglio chi incontriamo (soprattutto quando ci guardiamo allo specchio), vi do appuntamento alla prossima puntata, nella quale parleremo del secondo dei meccanismi  definiti “ossessivi”: “L’INTELLETTUALIZZAZIONE”

Questo video riassume, semplificandoli, i contenuti finora espressi, offerti con una delicata base musicale. Buona “degustazione”

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