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Cari Lettori, Madre Natura ci ha donato la possibilità di percepire, discriminando con attenzione, gusti, suoni e, in generale, sensazioni contrastanti, le quali si scontrano tra loro alla stregua delle onde che si infrangono su maestose scogliere, producendo nuvole di schiuma e salsedine: sgradevoli (per il sale, quando ti entra negli occhi) e vitali (perché è dal Mare, che comincia tutto) al tempo stesso. 

Ogni uomo è colpevole di tutto il bene che non ha fatto (Voltaire)

È da molto tempo che si troviamo a riflettere su questa massima di vita e, proprio quando credevamo di aver trovato la sua “applicazione” in questo Mondo balordo, ecco che ci imbattiamo in un vecchio (ma ancora attuale) articolo in cui si descrive quello che accade nelle Perreras spagnole. 

Non esistono parole per descrivere lo stretto necessario, a coloro che non sanno cosa significhi l’orrore. L’orrore. L’orrore ha un volto e bisogna essere amici dell’orrore, l’orrore è il terrore morale (Apocalypse now – Monologo finale). 

La formazione che ha preceduto la nostra professione di aiuto, ci ha abituato a considerare possibile (anche se non lecito) qualsiasi manifestazione dell’animo (dis)umano, eppure non riusciamo a rimanere immobili, sul piano emotivo di fronte alle crudeltà nei confronti di inermi.

E, per di più, innocenti.

La mente va ai tanti che pagano l’unica colpa di essersi trovati al posto sbagliato nel momento sbagliato, divenendo vittime di ogni genere.

Si assiste in questi giorni a dichiarazioni di politici che disquisiscono sulla lingua italiana. Ma non per reale interesse, ma per coprire loro indecorose posizioni.

Basta Genocidio!  (Ghali)

Lo stato di Israele ha diritto di esistere ma, lo stesso diritto, ce l’hanno i Palestinesi.

La speranza è quella di impedire altre violenze nei confronti dei palestinesi, come, a suo tempo, i nostri padri hanno lottato per porre termine all’Olocausto.

Il genocidio, dunque.

Esemplare, come elemento di riflessione, è il caso di Eichmann

Il suo processo, una volta portato dai servizi segreti in Israele  (dopo essere stato identificato e catturato in America latina) è da considerarsi esemplare.

La filosofa Hannah Arendt seguì tutte le fasi del suo processo, lasciandoci il suo libro, basilare: “La banalità del Male”.

Chi era stato Eichmann?

Un obbediente impiegato del Terzo Reich, un ordinato ragioniere per cui, la morte di milioni di persone, rappresentava solo il proprio lavoro.

Dietro questa desolante mediocrità, vi è la banalità del male, poiché sono individui banalmente comuni a poter compiere il male.

Il Nazismo, sostiene Hannah Arendt, non incarna il male in sé, ma è responsabile di aver condotto uomini banali a compiere del male atroce.

Siamo davanti al male radicale: il male fine a se stesso, che non serve a nulla e non segue alcuna logica.

Bisogna ripensare la barbarie. Il bisogno di distruggere rinasce sotto altre vesti.

Si tenta di sopprimere intere etnie, anche oggi, sotto lo sguardo impotente dell’ONU e grazie alla nostra indifferenza.

Anche noi purtroppo (senza esserne del tutto consapevoli) facciamo distinzioni tra popoli di serie A ed altri senza serie.

In tanti stati africani e asiatici (ma non dimentichiamo la Turchia) ogni giorno si realizzano violenze miranti a distruggere intere popolazioni considerate diverse e non degne di esistere.

La gravità dei tentativi di genocidio di questi anni, risiede nel fatto che tutti sappiamo.

 Il Villaggio Globale ci consente di sapere tutto in tempo reale. Conosciamo le malvagità che avvengono in ogni parte del pianeta.

Sarà il sistema dei Media, ma dopo un attimo di orrore “digeriamo” il male sentito e andiamo avanti.

Dentro di noi, però, qualcosa si incrina e si accumula una sofferenza forte perché avvertiamo che la nostra compassione non può tradursi in azione, in liberazione.

Questa è la grande tragedia del nostro tempo: vedere il male in attività e non aver la possibilità di porvi rimedio.

Tanti, troppi uomini banali eseguono ordini di morte. Poi vanno a casa e, magari, sorridono ai loro figli.

Cari Lettori, partendo dall’affermazione di Enzo Biagi, secondo cui nei ricordi esiste tutta la bellezza del mondo, non possiamo non ripensare ai nostri genitori che, beandosi alla vista dei loro “giardini” messi su con le proprie mani, sussurravano: “Non capiamo chi non ama le piante e gli animali! In fondo sono le uniche manifestazioni viventi che seguono un istinto naturale capace di educare, quei bambini, che diventeranno gli adulti di domani!”

Ecco, Perrera, in Spagnolo, significa “cane” e le perreras sono dei canili (e gattili) in cui, peggio dei Lager di efferata memoria, migliaia di “sfortunelli” randagi attendono in condizioni Inumane, il momento della soppressione.

CRUENTA.

Ci sarebbero meno bambini martiri se ci fossero meno animali torturati, meno vagoni piombati che trasportano alla morte le vittime di qualsiasi dittatura, se non avessimo fatto l’abitudine ai furgoni dove gli animali agonizzano senza cibo e senz’acqua diretti al macello. (Marguerite Yourcenar)

Cari Lettori… e come la mettiamo con la necessità di fare del bene?

Se partiamo dal fatto che, il termine “bene”, nella lingua Italiana, identifica “ciò che è buono in sé e che arricchisce nella compiutezza del suo essere o nel suo valore morale divenendo, quindi, causa e fine dell’azione umana” ecco che (per rifarci all’aforismo proposto all’inizio) Francois-Marie Arouet, detto Voltaire, aveva ben capito che, in noi, ci deve essere, per forza, qualcosa che ci spinge ad evolverci.

Da fine scienziato, sarà (con secoli di anticipo) giunto alla conclusione che siamo fatti di Energia (la quale ha consentito la produzione di cellule gametiche in grado di dare inizio, dopo la fecondazione, allo zigote da cui siamo venuti fuori), che qualcuno o qualcosa ha messo a nostra disposizione (per essere sviluppata, usata e migliorata), da condividere in vita (per realizzare scambi, si spera corretti e produttivi) e restituire post mortem per essere digeriti e metabolizzati da un sistema che utilizzerà il meccanismo per riprodurre se stesso, migliorato di generazione in generazione.

Un po’ come il ciclo dell’acqua…

Piove, si formano i fiumi, beviamo da essi, uriniamo, reimmettiamo i liquidi nei corsi d’acqua che, attraverso il meccanismo dell’evaporazione, formeranno le nubi da cui scenderà, nuovamente, la pioggia.

Una sorta di partita di giro, insomma!

Ma arricchente. Ogni giro di più.

Ti voglio chiedere una cosa: Perchè sei vivo?

Io sono vivo… io vivo… per salvaguardare la continuità di questa grande Società, per servire l’Idea…

E’ circolare: tu esisti per continuare la tua esistenza! Ma, qual è, il punto?

E qual è il punto della “tua” esistenza?

“Sentire”. Tu non l’hai mai provato e non potrai mai saperlo, ma è vitale come il respiro. E senza quello, senza amore, senza rabbia, senza dolore, il respiro è solo un orologio che fa tic tac! (Da Equilibrium)

Le attuali Neuroscienze, ci spiegano che, nel nostro cervello (luogo scelto dalla Mente per esprimersi in idee, emozioni e comportamenti) esistono due ambiti operativi:

quello relativamente “intermedio” (definito subcorticale) a funzione prevalentemente inconsapevole che dà luogo alla creazione delle abitudini;

quello dei piani “nobili” (definito “corticale”) in cui usciamo dal guscio del già “visto” e “sentito” e andando incontro al nuovo, miglioriamo noi stessi, attraverso il sacrificio (cioè, un atto sacro) della paura di ciò di cui non conosciamo il finale.

Per come siamo strutturati, pur se volessimo fermarci nel limbo, dopo un conflittuale purgatorio, per via dell’aumento della confusione interiore fatta, anche, di noia (ciò che la Fisica chiama “entropia”) saremmo costretti ad andare, per forza, oltre le colonne d’Ercole, nei meandri della corteccia cerebrale, in connessione con la “Teoria del Tutto” che ci collega con ogni cosa del Creato.

L’obiettivo diventa quello di una crescita condivisa.

La Pena nel caso in cui ci si rifiuti, consiste nella perdizione verso l’Oblio (sotto forma dei più svariati sintomi descritti nel DSM, “bibbia” dei disturbi psichiatrici).

“Igne Natura Renovatur Integra“ – INRI: La Natura è Rinnovata Interamente nel Fuoco.

Cari Lettori, si narra (e speriamo sia solo una leggenda…) che i poveri ospiti delle Perreras vengano lanciati nei forni crematori ancora vivi (e dopo una preparazione che farebbe inorridire finanche il Marchese De Sade).

Vincendo lo sconforto morale che avvolge l’anima inorridendo all’idea che esista specie capace di tali barbarie mi vien da pensare che, forse, il punto di congiunzione fra il bene e il male, la notte e il giorno possa trovarsi su un immaginario pavimento a scacchi sul quale, bianco e nero si incontrano, si sostengono e si annullano, in una danza che genera opposti dai quali sgorga la vita… si spera migliore.

Quindi, i “pelosetti” diventano I.N.R.I. (Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum) da sacrificare perchè, qualcuno, alla fine, diventi migliore.

È azzardato, pensare ciò, secondo voi?

Di sicuro non è un invito a continuare in simili pratiche ma, per favore, impieghiamo un po’ del nostro tempo a leggere lo stralcio di una lettera vergata da chi lavora all’interno di una Perrera:

Sono un impiegato del “controllo animale” in un piccolo paesino.

Ho 35 anni e lavoro per il municipio, con varie mansioni, fin da quando frequentavo la scuola media. Sì, sopprimo cani e gatti per guadagnarmi la vita. Qui non c’è molto lavoro e lavorare per il comune significa guadagnare bene, soprattutto per una persona come me che non ha fatto studi superiori.

Sono la persona su cui tutti voi scrivete cose orribili. Sono io quello che ammazza cani e gatti facendoli soffrire. Sono io quello che raccoglie i loro corpi senza vita e li butta dentro quelle borse di plastica nere.

Però sono anche quello che odia il suo lavoro e odia quello che deve fare. Tutti voi che mi giudicate, non fatelo. Dio mi sta già giudicando e io sono consapevole che andrò all’inferno.

Non voglio mentire, è un lavoro infame, crudele e io mi sento come un assassino seriale. Però non sono totalmente colpevole; se la legge rendesse obbligatoria la sterilizzazione degli animali, molti di questi cani e gatti non sarebbero qui a farsi sopprimere da me.

Sono il demonio, ma voglio che tutti voi conosciate anche l’altra faccia dell’“uomo delle camere a gas”.

In generale, il centro antirabbica compie le soppressioni nelle camere a gas il venerdì mattina. Il venerdì è il giorno più atteso dalla maggior parte delle persone ma, per me, è il più odiato e vorrei sempre che ci si fermasse il giovedì notte. Ogni giovedì, a notte inoltrata, quando non c’è nessuno, il mio amico ed io andiamo in un fast-food e spendiamo 50 euro in hamburger, patatine fritte e pollo.

Ho l’obbligo di non alimentare i cani il giovedì perché mi dicono che poi la camera a gas diventa un porcile e sarebbe uno spreco di cibo.

Così, ogni giovedì notte, con la luce ancora spenta, vado nella stanza più triste che ciascuno di voi possa immaginare, e lascio che i cani e i gatti condannati a morte escano dalle loro gabbie.

Il mio amico ed io apriamo le buste degli hamburger e dei sandwich di pollo e li diamo a questi cani affamati e magri. Ingoiano il cibo talmente in fretta che credo non sappiano neanche di che cosa sanno.

Muovono le code e alcuni non mangiano, si mettono a pancia all’aria perché gli accarezzi il pancino. Iniziano a correre, a saltare e ci baciano. Vanno a mangiare un po’ e poi tornano vicini a noi. Ci guardano tutti con confidenza e speranza, le loro code si muovono così rapidamente che alla fine ho le gambe piene di lividi. Divorano la pappa, e poi sono pronti a divorare un po’ di pace e amore.

Io e il mio amico ci sediamo sul pavimento, sudicio e macchiato di pipì, lasciamo che ci saltino addosso, che si mettano seduti sulle zampine posteriori per giocare con noi e anche fra di loro. Alcuni si leccano a vicenda, però la maggior parte rimane appiccicata a me e al mio amico.

Guardo negli occhi ogni cane. Ad ognuno dò un nome. Non moriranno senza avere un nome. Ad ognuno di loro dedico 5 minuti di amore e coccole incondizionate.

Gli parlo e gli dico che mi dispiace molto per qual che accadrà, domani. Gli sussurro che andranno in un posto migliore, per giocare con tutti gli altri cani e gatti. In Cielo.

Dopo circa 30 minuti, prendo i cani e li rimetto nelle loro gabbie; li accarezzo e solletico il loro mento. Alcuni mi danno la zampa e io voglio solo morire. Chiudo le gabbie e chiedo ad ognuno di loro di perdonarmi. Dormiranno col pancino pieno e una falsa sensazione di sicurezza…

Abbiamo solo ventuno lettere, ha detto il maestro. Con quelle, dovremo fare tutto: ridere, piangere, consolare, amare, contraddirci. Dire quando siamo felici, non far capire quando non lo siamo più, ingoiare una parola che potrebbe ferire, tenercene una tra le mani come una cosa fragilissima e preziosa (Andrea Bajani)

Cari Lettori, siamo stati piuttosto indecisi sulla possibilità di scrivere questo editoriale ma, dopo lunghe e profonde riflessioni, abbiamo deciso di provare a “far uscire da noi” questa bruttura affinchè, dopo aver trasmesso su foglio (virtuale) le nostre idee, rileggendole, potessimo ricavare spunti per divenire più “puri”.

È ovvio che, al tempo stesso, ci appelliamo ad ogni autorità affinchè simili condizioni non vengano più neppure immaginate.

Nell’attesa, non si può restare inermi ma si DEVE (come sosteneva Voltaire) ricavare il Buono anche dove, in apparenza, non c’è.

Ci sono delle anime che, come alcuni animali, si rivoltano nel fango e, altre, che volano come gli uccelli i quali, nell’aria, si purificano e si puliscono. (San Giovanni della Croce)

Cari Lettori, non possiamo salutarci senza prima un abbraccio di reciproco conforto. Proprio come quello che riporta la bella immagine di copertina e che ci suggerisce il significativo testo di Lucio Dalla

Apriti cuore…

In questa notte calda di ottobre, apriti cuore
Non stare li in silenzio senza dir niente
Non ti sento, non ti sento, da troppo tempo non ti sento
E ti ho tenuto lontano dalla gente
Quanti giorni passati senza un gesto d’amore
Con i falsi sorrisi e le vuote parole
Ho perfino pensato in questa notte di ottobre
Di buttarti via, di buttarti via
Ah, lo so, il cuore non è un calcolo
Freddo e matematico
Lui non sa dov’è che va
Sbaglia si ferma, e riprende
E il suo battito non è logico
E’ come un bimbo libero
Appena dici che non si fa
Lui si volta e si offende
Non lasciarlo mai solo come ho fatto io
Lascia stare il potere, il denaro non è il tuo Dio
O anche tu rimarrai senza neanche un amico
Cambierò, cambierò
Apriti cuore ti prego fatti sentire
Cambierò, tornerò come un tempo padrone di niente, di niente, di niente
Anche davanti a questo cielo nero di stelle
E ce ne sono stanotte di stelle, forse miliardi, cuore non parli?
O sono io che non sento e per paura di ogni sentimento
Cinico e indifferente faccio finta di niente
Ma non ho più parole in questa notte di ottobre
Sento solo lontano un misterioso rumore
È la notte che piano si muove, e tra poco esce il sole

“Posso amarti, anche senza che io ti veda o ti scriva. Posso amarti anche senza che tu lo sappia” (Nicola Pesce – I Fiori del Bene)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore La Strad@

Un ringraziamento ad Amedeo Occhiuto  e ad Emmanuela Rovito per i loro interessanti spunti di riflessione

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