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Possiamo ancora vedere la luce di stelle che non esistono più da secoli. Così ancora ti riempie e folgora il ricordo di qualcuno che hai amato per poi vederlo andar via. (KHALIL GIBRAN)

Cari Lettori, qualcuno ha scritto che, se non si riesce ad affrontare una paura che riteniamo essere più grande di noi, sarà bene rinunciare, perché le sconfitte fanno parte dei limiti della nostra esistenza.

Eppure, la forza che ci spinge nonostante le avversità, ci induce a credere che, ogni paura, si possa essere risolta.

Dove stiamo sbagliando?

I risultati di una particolare ricerca scientifica del 2019, hanno portato a concludere che, i ricordi di eventi paurosi non vengono dimenticati ma, semmai, “disinnescati” da un piccolo gruppo di neuroni dell’ippocampo (struttura “emotiva” indispensabile per il meccanismo dell’apprendimento): i “neuroni di estinzione”. In tal modo, questi ricordi, possono riaffiorare dall’oblio dell’inconscio.

Più si va avanti negli anni, più si accumulano i ricordi, specie quelli “negativi”. Il desiderio sarebbe quello di schivare ciò che non appartiene al nostro animo sensibile.

Che fare? Come metabolizzare i ricordi negativi che ci hanno fatto soffrire? È un discorso delicato che potrebbe rubricarsi sotto il titolo: “La paura dei cattivi ricordi”.

O, per utilizzare il fascino della memoria degli antichi Greci: la Mnemofobia

Esistono paure nei confronti delle quali si può pensare di rinunciare o, magari, “rimandare”?

Per quanto sforziamo la nostra capacità di esplorazione, non troveremo una risposta univoca. Il tutto dipende, infatti, da cosa siamo diventati, mentre abbiamo percorso il cammino della nostra esistenza.

Volendo essere più precisi, ciascuno scopre (se vuole) le proprie paure inibenti in base alle cattive e precoci esperienze traumatiche, le quali hanno determinato i cosiddetti “Fantasmi” del passato.

Ciascuno, quindi, è come se ricevesse in dote l’originalità della propria vulnerabilità (ad esempio, “abbandonica”, “persecutoria”, angosciante, etc.) che vive, sul piano emotivo, in maniera unica, irripetibile e, agli occhi degli altri apparentemente poco comprensibile.  

A volte non si sceglie, si prende quello che si trova o che gli altri hanno lasciato.

Ogni passo in più, segna un tassello nella nostra memoria storica o “dichiarativa”, quella in cui si delineano i fondamenti essenziali che stanno alla base del carattere di ciascuno. È chiaro che il richiamo di stati d’animo non ancora digeriti, interferisce sulla capacità di confrontarsi con quello che abbiamo imparato a conoscere come “il comparto dei cattivi ricordi”.

Cari Lettori, proviamo, allora a immaginare una colonna sonora particolarmente significativa,  una sorta di autobiografico testamento propositivo in cui poter rivedere chi si vuol bene.

Magari se stessi, magari proprio adesso, riflessi in un simbolico specchio di mare su cui, una luna piena a tre quarti, traccia una linea bianca. Sembra non curvare mai, nemmeno all’orizzonte.

Una “falce” che ci osserva, adagiata su un cuscino di nuvole e ci invita, con un sorriso, a chiudere gli occhi e riprendere un dialogo interrotto da tempo.

A guardarci nell’animo, finiamo con lo scoprire che, un po’ tutti noi, presi dagli affanni della vita, ci siamo incamminati su una strada di freddo materialismo, tipico di chi guarda troppo avanti senza voltarsi mai.

Vorrei che tu venissi da me in una sera d’inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo. (Dino Buzzati)

Cari Lettori, il ricordo è un’ombra che non si può vendere, anche nel caso in cui qualcuno volesse comprarla.

Ricordo: sostantivo maschile che indica il richiamo dalla memoria di eventi, cose o persone, direttamente dal sottoscala del passato. Memoria: Sostantivo femminile che connota una funzione specifica del rapporto fra mente e cervello, in grado di accumulare informazioni

Da questa parte con virtù discende che toglie altrui memoria del peccato; da l’altra d’ogne bel fatto la rende (Dante Alighieri – La Divina Commedia, Purgatorio, Canto XXVIII).

Nel Paradiso Terrestre Dantesco, scorrono due fiumi: il Lete (le cui acque cancellano la memoria del male commesso) e l’Eunoe (che riporta il ricordo del bene compiuto). Come in una sorta di battesimo purificatore, Dante, accompagnato dalla sua guida Matelda (forse Santa Matilde o Matilde di Canossa), dovrà ovviamente sgombrare la sua mente dal ricordo dei peccati commessi, immergendosi nel fiume Lete, prima di salire in Paradiso.

E per chi non accetta questa “scorciatoia”?

Noi, per esempio, non chiediamo sconti; siamo abituati a lottare: pagare o rinunciare.

Bisogna, comunque, trovare una soluzione: non si può restare a lungo vittima dei propri fantasmi. Proprio quelli cui si è fatto cenno qualche rigo più sopra.

Il “segreto” del cervello consiste nel valutare le nostre esperienze mentre si verificano e selezionare istantaneamente quali memorizzare (per servirci da riferimento in seguito) e quali, invece, devono essere “scartate”.

Si ritiene che i ricordi che costituiscono, in fondo, la storia della nostra vita, non siano custoditi nei singoli neuroni ma, piuttosto, in quelle autostrade di informazioni chiamate “reti neurali” (che si interfacciano, ovviamente con Astrociti e “simili”).

Ogni flusso esperienziale ripetitivo, genera una sorta di rafforzamento sinaptico (dialogo biochimico fra un neurone e l’altro) in grado di riprodurre il ricordo in questione.

È chiaro che tutte le informazioni, viaggiando a bordo di particelle elementari (elettroni, etc.) veicolate dal loro stesso movimento (fondamentalmente, frequenza e lunghezza d’onda) modificano, di fatto, la struttura atomica del Dna delle cellule coinvolte, inducendo delle accelerazioni sui parametri di base: l’epigenetica dell’apprendimento.

Meraviglia delle meraviglie, nella nostra “scatola nera” esiste la capacità di rimetterci in discussione e che si chiama “diluizione energetica” mentale

Questo è legato al meccanismo del portar fuori, tramite parole, le idee costruite con dati contenuti in memoria.

In pratica, è come “accompagnare alla porta” ricordi sgradevoli o conflitti irrisolti, a condizione che, chi ascolta, non interrompa il filo del nostro discorso ma, al contrario, dopo che abbiamo  terminato, ci trasmetta un contenuto emotivo adeguato e rassicurante.

In questo modo, reiterando l’esperienza, al posto di quei ricordi fastidiosi ci saranno elementi più “tranquilli” e si finirà per eliminare “abbastanza” gli ingombri sofferenti.

Riuscirai sempre a trovarmi nelle tue parole, è là che vivrò. (Cit.)

Tra l’altro, attraverso la dimensione del Transfert e del Controtransfert riusciremo a tornare indietro nel tempo, per incontrare il bambino che eravamo, prenderlo per mano e mostrargli con tranquillità, quello che, da adulto, sarà in grado di fare.

Senza rendercene conto, attraverso grande opportunità che le mente ci offre, potremo portare a termine quel “passaggio” mancato (della nostra infanzia) che gli esperti chiamano “introiezione dell’oggetto” e che ci consente di sentirci, naturalmente, più solidi e tranquilli.

A quel punto, potremo spingerci a domandarci in che modo metabolizzare ricordi negativi che ci hanno fatto soffrire…

Ovviamente, se si affronta un percorso dialogico (fra conscio e inconscio) di psicoterapia del transfert, si arriverà a conclusioni capaci di spiegare i motivi di tutto ciò che ci sembra impossibile da risolvere e, come per magia, molte nebbie si diraderanno.

È capitato, ad ognuno di noi, di essere bambini.

Con la stessa certezza, si può affermare che tutti, più o meno, abbiamo faticato non poco, a scuola, per imparare che, ad esempio, sei per sette fa quarantadue. Eppure, spesso, basta un’unica brutta esperienza, per imprimere il ricordo in maniera talmente vivida che, al ripresentarsi di una circostanza similare (anche se solo in apparenza), si producano stati di ansia difficilmente gestibili. 

Perché?

Da una prospettiva psicobiologica ed evoluzionistica la memoria, in quanto tale, è una capacità mentale indispensabile per il presente e, soprattutto, per tutto ciò che costituisce quell’incognita chiamata futuro.

L’evoluzione di ogni specie e (al tempo stesso) lo sviluppo delle capacità di ogni singolo essere vivente, infatti, si basa sulla capacità di produrre idee e concetti in grado di consentire l’elaborazione di strategie comportamentali efficaci per l’appagamento dei bisogni fondamentali e, parimenti, riuscire ad ottenere risposte circa il senso della propria vita.

In sostanza, possiamo immaginare la nostra memoria come una sorta di archivio ben organizzato in cui sono presenti due “catalogatori” differenti con altrettante porte d’accesso: una stanza in cui sono depositati gli scheletrati (o strutture portanti) delle idee e un altro in cui sono allocati i vari “complementi d’arredo” che personalizzano il tutto così come avviene nel momento in cui si decide di allestire l’albero di Natale, comprandone uno artificiale.

Nello scatolo troveremo un fusto con i rami chiusi, per ottimizzare gli spazi a disposizione. In base ai propri gusti, si modellerà la forma dell’albero dispiegando “ad hoc” ogni singolo ramo e arricchendo il tutto con arredi appropriati. In questo modo, ognuno avrà creato il proprio albero partendo, in fondo, da elementi base simili per tutti i potenziali acquirenti. Volendo proporre un modello differente, si dovrebbe agire sulla forma dell’albero e su una collocazione degli addobbi, modificata.

La memoria, in fondo, subisce lo stesso andamento. L’afflusso continuo di dati dal mondo esterno e il rimodellamento ottenuto sulla base di come vengono vissute le singole esperienze, modificano gli archivi mnemonici alterando la rievocazione del passato.

Quante volte, infatti, ritornando nei luoghi in cui si è vissuto molto tempo prima, ci si accorge che li si ricordava in maniera differente?

Questo vale, ovviamente, per tenere a mente momenti che non si vogliono dimenticare.

Per tutto quello che, invece, costituisce il prototipo dei brutti ricordi (traumi, cattive esperienze in genere, etc.) è necessario tenere presente l’importanza dell’appagamento di quei bisogni tipici degli obiettivi a breve, medio e lungo termine nei settori di interesse prevalente (a seconda dei momenti e, ovviamente, delle opportunità del momento) che riguardano, rispettivamente, il lavoro, gli affetti e il proprio tempo libero.

In questo modo, si tiene impegnata l’attenzione verso qualcosa di costruttivo e, al tempo stesso, si favorisce il riadattamento continuo fisiologico di tutto il pacchetto memoria. 

C’è un solo modo di dimenticare il tempo: impiegarlo (Charles Baudelaire).

Cari Lettori, forse i brutti ricordi non si potranno mai “cancellare” completamente ma, come abbiamo visto, con una opportuna analisi, potranno essere considerevolmente ridimensionati attraverso, anche (e soprattutto) il considerare alcuni importanti punti di vista e di riflessione.

Il primo è il più impegnativo da seguire: “Accetta ciò che è accaduto con la massima serenità”.

Dipende, a questo punto, da che cosa è accaduto. Certe “perdite” hanno bisogno di tempo per essere “accettate” (sia pure con grande riluttanza).

Nella analisi di qualsiasi aspetto duro e negativo, non si può prescindere da questi due inviti verbali: “Perdona e perdonati”.

Aiuta molto, poi, “scrivere” i propri ricordi. Le parole sono un farmaco adatto per alleggerire il “pondus” che abbiamo dentro e che ci arrovella.

Migliorare il contatto con sé stessi e, di conseguenza, affinare il proprio dialogo interiore, sono priorità indispensabili per muoversi nella geografia del dolore.

Cari Lettori, da quanto espresso finora, si comprende che la memoria, in pratica, resiste (tranne nei casi di specifiche malattie) perché incarna il nostro bisogno di essere “immortali” e di durare al di là della corporeità.

Chi spera di durare con l’anima, chi con opere artistiche o azioni pregevoli che siano di esempio a “coloro che verranno”.

La memoria non è solo lo spazio dei ricordi, ma anche lo spazio dei sentimenti.

La memoria del cuore elimina i cattivi ricordi e magnifica quelli buoni. È grazie a questo, che siamo in grado di superare il passato. (GABRIEL GARCÍA MÁRQUEZ)

Non guasterà, a questo punto, operare qualche veloce incursione nel laboratorio filosofico o artistico di alcuni sommi della nostra cultura occidentale.

Per Platone, conoscere è ricordare.

Per Aristotele i ricordi tornano in modo spontaneo e la ricerca è un’attività consapevole, è un processo che scava amorosamente tra le pieghe del passato mnemonico.

Leopardi stabilisce una connessione tra memoria e condizione umana.

Ella negli occhi pur mi restava e, nell’incerto raggio del sol, vederla io credeva ancora.

Il tema della memoria, nel secolo scorso, ha avuto grande eco nelle “Memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar.

L’Imperatore Adriano, riflettendo a tutta la sua vita passata, ricostruisce e arricchisce la vita che ci ha preceduto.

Sostanzialmente, ognuno di noi, secondo il proprio bagaglio di emozioni e di esperienze, può dare significato ad ogni aspetto della vita passata, arricchendo il presente e predisponendosi, con ricchezza di idee, a librarsi verso il futuro.

Ma noi, esattamente, chi “siamo”?

In fondo… “esattamente” quello che pensiamo.  Che, poi,  è il risultato di quanto abbiamo imparato e che, attraverso il meccanismo della riflessione, ottimizziamo nella ricerca del senso della vita, dividendoci fra risorse e motivazioni, attraverso una scala di valori durante le 24 ore che, ogni giorno, ci vengono messe a disposizione.

Dostoevskij sosteneva che ci sono, fra i ricordi d’ogni uomo, cose che non si raccontano a tutti, ma appena agli amici. Ve ne sono altre, tuttavia, che neanche agli amici si raccontano, ma appena a se stessi, e per di più sotto suggello di segreto. Ce ne sono, infine, altre ancora che persino a se stessi si ha paura di raccontare. E di tali ricordi ogni uomo, anche il migliore del mondo, ne mette insieme parecchi. 

Cari Lettori, la suggestiva immagine di copertina ci mostra un gorilla che “protegge” i sogni di una giovane ragazza la quale, probabilmente cerca, nella sfera che regge nelle mani, di sentire il proprio Futuro, al netto e al riparo dei fantasmi del Passato, senza dimenticare il tempo Presente.

Partendo dal fatto che il ruolo fondamentale del Gorilla è quello di custodire la propria Famiglia (attraverso la forza, la responsabilità, la lealtà, il comando, la compassione, l’intelligenza, la nobiltà e la dignità) alla fine di questa lunga passeggiata insieme proviamo a domandarci: che animale siamo, noi “Sapiens”? Cosa ci distingue dagli altri?

Nel salutarvi affettuosamente con la bellissima opera del pianista e compositore Yiruma (pseudonimo di Lee Ru-ma) che ci invita a visitare la stanza dei ricordi per imparare a osservare il Futuro con i migliori richiami del Presente, riteniamo di poter rispondere alla precedente domanda, invitandovi ad accettare che siamo il risultato di ciò che incontriamo durante il cammino.

L’importante è utilizzare l’esperienza, per imparare a schivare ciò che riconosciamo non appartenere al nostro animo sensibile.

STANZA CON VISTA

“Non ho molto da dire.

Credo di aver imparato molto poco in tutti questi anni: ho imparato che ci sono molte cose sconsiderate che puoi fare. E tra quei milioni una che è ancora più sconsiderata delle altre. E di solito fai quella.

Ho imparato che certi odori si fissano nella memoria, e quando li risenti è come se tutti quegli anni non fossero mai passati.

Ho imparato che il sabato è meglio della domenica.

Ho capito che non c’è da preoccuparsi se a 40 anni non sai che fare della tua vita, se hai ancora una gran voglia di giocare. Forse sei l’unico che ha capito qualcosa.

Ho imparato che se ripeti una parola tante volte, all’improvviso perde di significato.

Ho imparato che il conforto degli amici a volte può essere crudele.

Ho scoperto che con gli anni i tuoi errori e i tuoi rimpianti impari ad amarli come figli.

Ho imparato che la nostalgia ha lo stesso sapore della cioccolata bollente.

Ho imparato che i film di Ingmar Bergman non sono solo capolavori: sono lezioni di vita.

Ho capito che niente è più bello che alzarsi la notte mentre tutti gli altri dormono e girovagare in solitudine come un cane tra i rifiuti, alla ricerca di una qualsiasi sensazione appagante.

Ma soprattutto ho imparato che i giorni veramente importanti nella vita di una persona sono cinque o sei in tutto.

Quelli sono i momenti in cui la vita davvero batte più forte.

Federico Fellini

P.S.: Però, in fondo, qualcosa l’ho imparata.”

“Quando non sarai più parte di me, ritaglierò dal tuo ricordo tante piccole stelle; allora il cielo sarà così bello che tutto il mondo si innamorerà della notte.” (WILLIAM SHAKESPEARE)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento ad Amedeo Occhiuto e ad Erminia Acri per la preziosa collaborazione

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