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Mente e dintorni è una rubrica (nata da una fortunata serie televisiva) che ci porta a curiosare nei meandri della nostra personalità, per scoprirne i segreti e capire i motivi per cui compaiono i disturbi e, ovviamente, prendere rimedio.

Perché, conoscersi e comprendersi, fa vivere meglio.

In questa sedicesima puntata, ci occuperemo del secondo dei meccanismi di difesa definiti di “Borderline”: “L’Identificazione proiettiva”

Come precisato nelle altre puntate, questo lavoro riguardante i Meccanismi di difesa, si basa su una delle scale di valutazione più rigorose e affidabili (il cui acronimo è “DMRS “):  quella di John Christopher Perry, ripresa e approfondita dal prof. Vittorio Lingiardi, nelle sue pubblicazioni specifiche

“Io amo la luna, assai più del sole. Amo la notte, le strade vuote, la campagna buia, con le ombre, i fruscii, il gracidare delle rane: l’eleganza tetra della notte. È bella la notte: bella quanto il giorno è volgare. Io amo tutto ciò che è scuro, tranquillo, senza rumore”. (A. de Curtis)

Questi pensieri del grande Antonio de Curtis, ci introducono nel particolare argomento di oggi: un meccanismo di difesa (come sempre inconscio) che rende veramente difficile il rapporto con l’altro.

Come potremmo definire l’Identificazione Proiettiva?

Come una condizione psicologica inconscia con la quale si proietta, su qualcun altro, uno stato d’animo come se fosse una risposta a quello che l’altro ha iniziato.

Senza, però, che costui (o costei) abbia fatto o detto nulla.

Sostanzialmente, non si disconosce l’azione commessa (o lo stato d’animo provato): semplicemente lo si interpreta erroneamente come reazione giustificabile nei confronti dell’altro (ad esempio:  “Si, è  vero, sono arrabbiato con te; il fatto è che, tu, ti sei arrabbiato con me, per primo e io, questo, non lo posso tollerare!”).

In pratica, quindi, si ammette il proprio impulso, ma lo si considera come una reazione a quegli stessi sentimenti e impulsi che si ritiene presenti negli altri e non si prende in considerazione il fatto di aver dato origine a tutto.

Paradossalmente, spesso si finisce per suscitare negli altri (che vengono evidentemente provocati da questo modo di agire) gli stessi sentimenti che prima si credeva, a torto, essi provassero: diventa, a quel punto, molto difficile chiarire chi sia stato a cominciare.

Memorabile, fra l’altro, la gag di Totò in “Totò e l’Onorevole”

Lei mi sta toccando da tre ore!

IO?

E io sono stufo di sentire queste mani addosso, appiccicose!

Come le mani addosso? Siete voi che mi state toccando! Voi, non io!

E va bene, io tocco ma, lei, perché mi fa il ritocco?

In questa rappresentazione teatrale, molte delle azioni incongrue vanno attribuite al meccanismo definito di “Proiezione” (di cui ci occuperemo in seguito). La scena del “tocco e del ritocco”, invece calza abbastanza bene per spiegare la confusa e contorta Identificazione proiettiva.

Funzione

Questo meccanismo che potremmo definire “infernale” è tipico di una persona traumatizzata che si è sentita, in modo irrazionale, responsabile per i propri traumi.

Entra in gioco quando, eventi interpersonali stimolano i ricordi di situazioni traumatiche.

È come se intervenissero dei “Fantasmi persecutori” incontrollabili i quali impongono di immaginare che l’altra persona stia attuando azioni o sentimenti minacciosi che ci mettono in una condizione di impotenza.

Quindi, si reagisce a tale minaccia immaginaria (o, magari, parzialmente reale) attaccando e credendo che le proprie reazioni siano giustificate, mentre in realtà siamo alla fine noi a provocare l’altro.

Personalmente, qualcosa di simile mi ricorda quando, da ragazzo, fermo al semaforo nell’attesa che scattasse il verde (per potere ripartire) venivo apostrofato da qualche intemperante che, nervosamente (convinto che io stessi spiando lui e non il semaforo) mi minacciava con: “Che hai da guardare?”

L’esperienza (prima che lo studio specialistico) mi ha insegnato che la migliore risposta fosse quella di scusarsi precisando: “Per carità, guardavo solo il semaforo!”

Vedere andar via quella persona soddisfatta e tranquillizzata al punto da scusarsi per l’incomprensione, mi ha spesso portato a concludere che, in fondo, basta poco ad evitare epiloghi anche drammatici.

Per quanto strano possa sembrare, il senso di colpa che si prova nell’aver pensato male dell’altro, si placa con la convinzione che, in fondo (ricordando gli eventi traumatici subiti), si è responsabili di quello l’altro ha provato e, quindi, si è avuto quello che si meritava.

Paradossalmente, si induce spesso nell’altro proprio quel sentimento di impotenza e di colpa che sperimentiamo noi stessi e, ciò, spinge non di rado gli altri ad allontanarsi.

Diagnosi differenziale

Proiezione.

Nella proiezione le cose sono meno confuse che nell’Identificazione Proiettiva perché, se nell’identificazione proiettiva si pensa di agire in conseguenza di quello che gli altri fanno o pensano (vedendosi, alla fine come una “giusta” vittima) , nella Proiezione si attribuisce agli altri quello che pensiamo (considerandoci, quindi, come una vittima innocente, che grida vendetta).

Acting out.

Nell’Identificazione Proiettiva le emozioni originarie sono la rabbia e la paura: la tensione sale, la marea di rabbia si alza e i crescenti commenti accusatori sono impregnati di aggressività ma, sebbene estremamente provocatori, si limitano a parole anche se cariche di tensione.

Quando, invece, si passa dalle parole ai fatti, allora entra in gioco (come abbiamo già visto nella puntata specifica) l’Acting Out.

D’altra parte, come abbiamo visto nella puntata specifica, l’Identificazione Proiettiva precede l’Acting Out solo in quei casi in cui il soggetto crede che il proprio comportamento malvagio sia stato indotto dal comportamento dell’altra persona  (“Dovevo colpirla; mi stava uccidendo con le sue minacce di lasciarmi, quella sadica!”).

Da quanto ci stiamo rendendo conto, molte delle nostre idee e dei nostri comportamenti, anche quelli più negativi, sono determinati da convinzioni errate.

Mi permetto, quindi, nell’attesa della nuova puntata, di sottoporre all’attenzione alcune riflessioni dello scrittore Erri de Luca.

Giorni così…

“Allora ci si colloca nello scaffale degli oggetti smarriti, si attende di essere cercati di nuovo e si resta a occhi aperti, di notte, aspettando il passo di chi torna a reclamarci. Ma nessuno viene a cercarci e, dopo il giusto tempo, si è di nuovo sè stessi, sciolti dal possesso: liberi, perché si diventa liberi dopo essere stati perduti”.

Questo video riassume, semplificandoli, i contenuti finora espressi, offerti con una delicata base musicale. Buona “degustazione”


Con la speranza e l’obiettivo di essere stato utile per conoscere sempre meglio chi incontriamo (soprattutto quando ci guardiamo allo specchio), vi do appuntamento alla prossima puntata, nella quale parleremo del  primo dei meccanismi di difesa definiti “di diniego”: la negazione (con cui si affrontano i conflitti emotivi e le fonti di stress interne o esterne, rifiutando di riconoscere aspetti della realtà)

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