Posted on

Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercati le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercati di amici, gli uomini non hanno più amici. (da “Il piccolo principe” – Antoine de Saint-Exupéry)

Cari lettori, partendo dall’incipit proposto e dal significato trovato sul Dizionario Garzanti della lingua italiana, che definisce l’amicizia “legame tra persone basato su affinità di sentimenti, schiettezza e reciproca stima”, cos’altro potremmo aggiungere?

Secondo i dizionari etimologici, il termine “amico” (da cui “amicizia”), deriva dalla stessa radice di amare (che si ama) e si riferisce a persona accetta, cara. Partendo dall’affermazione di Eleanor Roosevelt, in base alla quale, “l’amicizia verso sé stessi è di fondamentale importanza, perché senza di essa non si può essere amici di nessun altro”, è fin troppo scontato dichiarare che, anzitutto, è necessario essere in accordo conciliativo con se stessi per poter aspirare a divenire amico di qualcuno, nella maniera corretta.

L’amicizia connota il miglior rapporto che si possa stabilire fra due esseri umani, in termini di disponibilità reciproca e comunità di intenti e di interessi.

Anche in un rapporto d’amore, infatti, se non si instaura un sentimento di amicizia fra i partner (che protegge da “colpi bassi”) le cose non andranno nel migliore dei modi.

Dall’amicizia all’amore c’è la distanza di un bacio (Cit.). 

Alla base di un rapporto di amicizia “vera” c’è, sempre, una base di empatia senza “sconfinamenti” che porta a determinare un legame basato sulla fiducia e sulla stima reciproca imperniato su onestà e sincerità.

Spesso si sostiene che l’amicizia è il mezzo col quale ognuno “PUO’…quello che vuole”. Purtroppo c’è molto di vero in quest’affermazione, ma perché, spesso, ci riteniamo “obbligati” a rispondere affermativamente alle richieste di un amico, anche a scapito nostro?

Questo accade quando ci si incontra fra persone immature, egocentriche ed approfittatrici (consapevoli o inconsapevoli): quelle che si definiscono “narcisiste immature” o, peggio ancora “narcisiste patologiche”.

Non è corretto, infatti defraudare la disponibilità di chi ci vuole bene con comportamenti disonesti, più simili “alla pesca a strascico” che ad un rapporto di scambio misurato e rispettoso dei ruoli e delle parti coinvolte.

Tutto ciò, pur verificandosi non di rado, non fa parte di un rapporto di amicizia, ovviamente.

Può accadere che, per apprendimenti intrisi di religiosa disponibilità e sacrificio (con un po’ di infarinatura di “masochismo morale” che porta a sacrificarsi per darsi un Valore), ci si senta interiormente costretti ad assecondare anche le richieste meno corrette e più pretenziose. Tutto ciò appartiene a problemi personali che andrebbero affrontati e risolti.

Cos’è giusto e corretto offrire ad una persona amica e cos’è corretto aspettarsi?

Tutto quello che si genera dal piacere affettivo di trasmettere alla persona cara qualcosa di buono, in termini di disponibilità e sentimenti. Ovviamente, proprio per la valenza affettiva che connota un simile rapporto, molte decisioni entrano in contrasto con i dettami del rispetto reciproco seguendo i quali, per forza di cosa si finirebbe col diventare poco inclini a “cedere” anche se con piacere.

Ma con questo modo di pensare, non si rischierebbe di rimanere da soli?

Si. È per questo che il più delle volte agiamo spinti da sentimenti affettivi piuttosto che fredde riflessioni logiche che, in presenza di rapporti interpersonali corretti, lasciano il tempo che trovano.

Ma allora, perché è utile cercare di avere uno o più amici?

Un vero amico riesce a non farti essere nessuno… se non te stesso (Anonimo).

Un rapporto di schietta correttezza affettiva, condita da stima e disponibilità, funziona da specchio in cui possiamo rivedere molto spesso aspetti positivi e negativi della nostra personalità non consentendo di bluffare né con noi né con gli altri.

Come bisogna comportarsi quando ci si rende conto di essere “usati” all’occorrenza da un amico e poi messi da parte?

È utile chiedere spiegazioni su certi comportamenti, anche col rischio di scatenare una reazione brusca, oppure allontanarsi?

In un vero rapporto di amicizia, non esiste il concetto “dell’usare” l’altro ma del piacere di poter essere utili all’altro (perché questo ci fa star meglio).

Se ciò non accade, ci troviamo in presenza di relazioni fra persone che cercano di “sfruttare la situazione” mettendo in campo il proprio egocentrismo. È chiaro che subire situazioni del genere evidenzia condizioni interiori che andrebbero rivalutate e migliorate. Chiarire o meno le proprie posizioni dipende più che altro, dall’interesse che nutriamo verso quella persona e dalla sua disponibilità al dialogo.

Ma in fondo non si hanno amici, si hanno soltanto dei complici. E quando la complicità cessa, l’amicizia svanisce (Pierre Reverdy)

Cari Lettori, sembra una visione molto arida dell’amicizia. Ma quanto c’è di vero?

Effettivamente, spesso, le dinamiche della vita portano a frequentare una persona in base agli interessi comuni del momento. Quando determinati progetti di vita si modificano, alcune persone di riferimento possono essere sostituite da altre, più adeguate alle esigenze di quel dato periodo storico della propria vita.

“Dell’amicizia e di qualche altra passione”. Cari lettori, così potremmo intitolare le considerazioni di quest’oggi.

Sul tema dell’amicizia si è scritto tanto nel corso dei secoli, a partire dalle posizioni di Aristotele, Cicerone e Seneca.

In questa sede, più che una carrellata storica sull’importante tema, è nostro intento riflettere sul concetto di amicizia ai giorni nostri.

L’argomento è piuttosto sentito. Da poco è uscito un bel volume di José Tolentino de Mendonca intitolato “Amicizia” – un incontro che riempie la vita.

Si affronta il tema con molta apertura mentale, anche se al centro c’è il Vangelo, letto con gli occhi di Papa Francesco e non certo con quelli di cattolici “pre – Concilio.”

La parola che deve essere alla base del nostro vivere è la parola “fiducia”. Con questa bussola ci si dispone in modo sereno dinanzi ai vari incontri, anche se molti sono i conoscenti e pochissimi gli amici. Tolentino parlando dell’amicizia parte dalla formulazione enigmatica attribuita ad Aristotele:

Oh, miei amici, non c’è nessuno amico

Come è noto, nel corso dei secoli, illustri studiosi si sono arrovellati per venire a capo di un significato accettabile dal punto di vista logico, senza ovviamente riuscirci. Così come è stata tramandata

Così come è stata tramandata, la frase è sconcertante: da una parte viene evocata l’amicizia (“oh miei amici”), dall’altra si afferma che essa non esiste (“non c’è nessun amico”).

Di questo rompicapo si sono interessati giganti del pensiero occidentale: Montaigne e Nietzsche, tanto per fare dei nomi.

L’espressione, si è capito da qualche decennio, grazie a Giorgio Agamben, non aveva senso perché così come pervenuta è solo un marchiano errore di un copista. Il senso dell’originale aristotelico sarebbe il seguente:

Per chi ha molti amici, non c’è nessun amico

Tutto chiaro.

Ma grandi studiosi, pur conoscendo queste importanti novità, hanno preferito non tenerne conto.

Il filosofo Jacques Derrida, per esempio, si è fermato a quanto tramandato per millenni perché per lui l’oscurità e, in certo senso, la contraddizione della espressione andavano bene. A lui infatti interessava da una parte affermare l’amicizia, dall’altra problematizzare l’amicizia stessa.

L’amicizia è qualcosa di difficile da vivere. Certi amici stretti diventano talvolta così stretti da causare situazioni di intolleranza perché vien meno la singolarità e la irripetibilità della persona e c’è il rischio che uno si appiattisca sull’altro.

Quando l’amicizia “si trasforma in una macchina per fare dei soggetti identici” non va più bene.

Nella vera amicizia, oggi come oggi, dobbiamo essere l’uno con l’altro ed essere l’uno per l’altro, pur mantenendo l’esteriorità.

Solo quando, osserva Tolentino, la reciprocità è coniugata in modo consensuale e libero, l’amicizia può finalmente consolidarsi:

L’amicizia è una forma di esposizione all’altro, ma una esposizione che non viola il riserbo, che non invade la solitudine. L’amicizia non solo mantiene il silenzio, è custodita dal silenzio.

Maurice Blanchot ha scritto che “l’amicizia è l’accoglienza di un intervallo puro che, da me a quest’altro che è un amico, misura tutto quello che c’è tra noi. L’amicizia è quella separazione fondamentale a partire dalla quale ciò che separa diventa rapporto”.

Siccome è nostro costume essere dei “provocatori” costruttivi, per quanto riguarda il nostro tempo, ci pare basilare socializzare alcuni “forti” convincimenti di Papa Francesco. Ci riferiamo all’Enciclica “Fratelli tutti”, laddove si parla dell’amicizia sociale.

Noi, infatti, siamo abituati a vedere l’amicizia come una categoria personale e privata e, per quanto riguarda relazioni più vaste, usiamo altri termini: rispetto, solidarietà, cittadinanza etc.

Siamo, da sempre, abituati a riservare la parola “amicizia” alla cerchia elettiva dei nostri affetti, in sintonia con una antica cultura sapienziale, anche di tipo biblico.

Papa Francesco parte invece da una osservazione attenta della specificità del nostro tempo, in cui la globalizzazione ci ha resi vicini ma non fratelli.

Ciascuno mostra quello che è dagli amici che ha! (Baltasar Gracian)

In un mondo così travagliato come il nostro, l’amicizia sociale è un tentativo di invertire la situazione. L’amicizia, in questa ottica nuova, “non è un club esclusivo ma una scuola dove allenare delle competenze da applicare universalmente. Gli amici che hanno cura solo dei propri amici rimpiccioliscono l’orizzonte dell’amicizia”.

Il Piccolo Principe, di Antoine de Saint-Exupéry, pubblicato nel 1943 e dedicato al suo amico Leone Werth, è uno dei libri più letti al mondo (con oltre 200 milioni di copie vendute. Tradotto in quasi trecento lingue).

“Sei anni fa ebbi un incidente col mio aeroplano nel deserto del Sahara. Qualche cosa si era rotta nel motore e mi accinsi, da solo, a riparare il guasto: avevo acqua da bere soltanto per una settimana…. Potete immaginare il mio stupore nell’essere svegliato all’alba da una  vocetta: <<Mi disegni, per favore, una pecora?>> E fu così che feci la conoscenza del Piccolo Principe”

il bambino spiega di vivere su di un lontano asteroide (B-612) su cui si trovano soltanto lui, tre vulcani (di cui uno inattivo) e una piccola rosa, di cui li si prende cura.

Nel viaggiare per lo spazio, ha conosciuto personaggi che lo hanno aiutato a riflettere sul suo rapporto conflittuale con la rosa:  da una parte gli pesa doversi occupare di un essere pretenzioso e vanitoso ma, dall’altra, il sentirsi importante per lei (che dipende esclusivamente da lui), lo induce a considerarla un’amica di cui sente la mancanza, ora che è lontano da casa.

Una volta giunto sulla Terra, incontra quella che diventerà la usa migliore amica: una volpe.

L’incontro con la volpe

“Tu, fino ad ora per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini.  E non ho bisogno di te.  E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono, per te che una volpe uguale a centomila volpi.  Ma.se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo”.

“Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata.  Conoscerò il rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri.  E, poi, guarda! Vedi, laggiù infondo, dei campi di grano?  Io non mangio il pane e ,il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. Ma tu hai dei capelli color d’oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai
addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano…”

Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi, alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità.”
Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della
felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore…”

“Voi chi siete?”

“Siamo Rose!”

“Ma, allora, la mia rosa è solo una comune rosa! Ma… mi ha detto di essere l’unica, nel suo genere, in tutto l’Universo!”

“Ma, ella, non è una comune rosa: è la tua rosa! È il tempo che le hai dedicato, che rende la tua rosa così importante!”

“Lei, è la mia rosa…”

“Devi tornare da lei”

“Non ti metterai a piangere? Il mio addomesticarti, non ti ha fatto alcun bene!”

“Lascia che ti faccia dono di un segreto: è solo con il cuore che si può vedere veramente. L’essenziale, è invisibile agli occhi”

Il Piccolo Principe chiede, allora, al serpente (che gli aveva confidato di avere la capacità di portare chiunque molto lontano), di riportarlo a casa, sul suo piccolo pianeta, attraverso il veleno del suo morso. Consapevole di aver addomesticato il pilota, sa di procurargli, con questa decisione, un grande dispiacere e, quindi, lo invita a contemplare il cielo per ricordarsi di lui ogni qual volta osserva le stelle, perché, una di quelle è l’asteroide su cui, lui, è ritornato.

“Sembrerò morto e non sarà vero! Capisci? È troppo lontano. Non posso portare appresso il mio corpo. È troppo pesante! Sarà bello, vedrai. Anch’io guarderò le stelle. Sai, il mio fiore… ne sono responsabile! Ed è talmente debole e talmente ingenuo. Ha quattro spine da niente, per proteggersi dal mondo… è là: lasciami fare un passo da solo”

Esitò ancora un poco, poi si alzò. Fece un passo. Non ci fu che un guizzo giallo del serpente, vicino alla sua caviglia. Rimase immobile per un istante. Non gridò. Cadde dolcemente come cade un albero. Non fece nemmeno rumore sulla sabbia.

Somewhere only we know (Qualche Luogo Che Solo Noi Conosciamo)

Ho camminato attraverso una terra deserta
Conoscevo la strada come il palmo della mia mano
Sentivo la terra sotto i miei piedi
Seduto vicino al fiume, e questo mi rendeva completo

Oh semplicità, dove sei andata?
Sto diventando stanco e ho bisogno qualcuno su cui contare

Mi sono imbattuto in un albero caduto
Sentivo che i suoi rami mi stavano guardando
È questo il posto che amavamo?
È questo il posto che sto sognando?

Oh semplicità, dove sei andata?
Sto diventando vecchio e ho bisogno di qualcosa su cui contare

E se hai un minuto, perché non andiamo
A parlarne da qualche parte che conosciamo solo noi?
Questa potrebbe essere la fine di tutto
Allora perché non andiamo da qualche parte che conosciamo solo noi?
In qualche posto che conosciamo solo noi

Oh semplicità, dove sei andata?
Sto diventando vecchio e ho bisogno di qualcuno su cui contare
Perciò dimmi quando mi farai entrare
Sto diventando stanco e ho bisogno di un posto da dove cominciare

E se hai un minuto, perché non andiamo
A parlarne da qualche parte che conosciamo solo noi?
Perché questa potrebbe essere la fine di tutto
Allora perché non andiamo da qualche parte che conosciamo solo noi?
In qualche posto che conosciamo solo noi

«A Leone Werth.

Domando perdono ai bambini di aver dedicato questo libro a una persona grande. Ho una scusa seria: questa persona grande è il migliore amico che abbia al mondo. Ho una seconda scusa: questa persona grande può capire tutto, anche i libri per bambini. E ne ho una terza: questa persona grande abita in Francia, ha fame, ha freddo e ha molto bisogno di essere consolata. E se tutte queste scuse non bastano, dedicherò questo libro al bambino che questa grande persona è stata. Tutti i grandi sono stati bambini una volta. (Ma pochi di essi se ne ricordano.)

Perciò correggo la mia dedica:

A Leone Werth quando era un bambino» (Antoine de Saint-Exupéry)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento ad Amedeo Occhiuto per la collaborazione offerta

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *