“Non è finita la voglia di cambiare le cose, vero Giulia? Ora non siete tutti addormentati come ero io, vero Giulia? Ora che sono sveglio, non voglio restare di nuovo da solo. Dimmi che non è finito tutto, Giulia. Ti prego, dimmelo”. (Quando – Walter Veltroni)
Giovanni si risveglia dal coma trentuno anni dopo essere stato colpito dall’asta di una bandiera, durante il dolore collettivo dei funerali di Enrico Berlinguer. Aveva vent’anni quando la sua vita va in stand by, come un televisore, quando decidi di spegnerlo, distrattamente, col telecomando.
Chissà dove vanno, i pensieri, quando smettono di essere pensati (Cit.)
E, mentre il mondo “cammina” e scompare il muro di Berlino, vanno via artisti importanti e la Politica trasforma la sua Road Map a qualcosa di simile a quello che si vede nel Consiglio di Amministrazione di una Società a partecipazione Statale (dove conta “chi” ci metti, a prescindere da quello che farà), nel luglio del 1997, i suoi chip neurali decidono di tornare alle “relazioni oggettuali”, per dirla in termini psicoanalitici, dando segni di vita concreta e non più solo “vegetativa”
Dopo oltre trent’anni, la connessione riprende. Giovanni rinasce, adulto. Tutto è cambiato. Si trova in un nuovo secolo, in un nuovo millennio. In un “non luogo” globalizzato e privo delle caratterizzazioni che stimolavano fervori idealisti…
Un tumulto di emozioni si insinua e prende corpo lentamente…..Sento disagio…sì, uno strano disagio! Non saprei dire se è perché ho davvero sbagliato o se sto male per un ipotetico errore. E…se….davvero qualcuno soffrisse a causa mia? Forse non ho fatto nulla o detto nulla per accendere adesso dei rimorsi o soccombere sotto improbabili colpe…O forse si! Chiudo gli occhi a un respiro profondo…per soffiare via le nuvole da questo temporale e vedere se c’è ancora cielo…e se c’è…( perchè c’è!) volare alto fino a poter guardare bene da lassù, scoprire il vero colore delle cose, dargli il giusto peso, il giusto valore, accarezzarne I contorni e scoprirne finalmente, come rimescolare le carte e giocare un’altra partita…e darmi un’occasione nuova.. per diventare una persona migliore (Stefania Labate).
Cari Lettori, che differenza c’è, se c’è, fra il rimpianto, il rimorso e il senso di colpa?
Abbiamo iniziato descrivendo l’ultima opera cinematografica di Walter Veltroni, tratta dal suo omonimo libro “Quando” e, siccome abbiamo deciso di camminare (come non mai, forse), nel mondo delle emozioni, proviamo a ritrovare dentro di noi, gli stati d’animo apparentati con la tematica di questo editoriale.
Nel 1984, lo stesso anno in cui il protagonista di “Quando”, subisce il trauma che lo farà dormire per 31 anni, esce, nei cinema, l’ultimo film del regista Sergio Leone, C’era una volta in America.
Unanimemente giudicato uno tra i grandi capolavori del cinema mondiale, fa parte della cosiddetta trilogia del tempo, insieme a C’era una volta il West e Giù la testa.
Basato sul romanzo di Harry Grey, The Hoods (Mano Armata) pubblicato poi successivamente con il titolo di Once Upon a Time in America, la pellicola narra (nell’arco di quarant’anni, dagli anni ’30 agli anni ’60) le drammatiche avventure di David Aaronson detto Noodles (interpretato da un eccezionale Robert de Niro) e del suo amico Maximilian “Max” Bercovicz (interpretato da James Woods), dal ghetto ebraico all’ambiente della malavita organizzata nella New York del proibizionismo e del post-proibizionismo.
La magnifica colonna sonora è di Ennio Morricone. La “base” di fondo del film, si fonda su una melodia dal titolo “Tema di Deborah”. Questo brano dà il senso della misura del rimpianto.
Il Cantico dei Cantici
Per non impazzire dovevi non pensare che fuori c’era il mondo, proprio non pensarci. Dovevi dimenticarlo. Eppure, sai, gli anni passavano, sembrava che volassero. Strano, ma è così quando non fai niente.
Ma due cose non riuscivo a togliermi dalla mente: la prima, era Dominique quando prima di morire mi disse “sono inciampato…” e l’altra eri tu.
Tu che mi leggevi il Cantico dei Cantici, ricordi? “Oh figlia di Principe quanto sono belli i tuoi piedi nei sandali”. Sai che leggevo la Bibbia tutte le sere? E tutte le sere io pensavo a te. “Il tuo ombellico è una coppa rotonda dove non manca mai il vino; il tuo ventre, un mucchio di grano circondato da gigli; le tue mammelle sono grappoli d’uva; il tuo respiro ha il profumo delicato delle mele”.
Nessuno t’amerà mai come t’ho amato io. C’erano momenti disperati che non ne potevo più e allora pensavo a te e mi dicevo Deborah esiste! E’ là fuori! Esiste! E, con quello, superavo tutto.
Cari Lettori, rimpianto, rimorsi e sensi di colpa sono tre stati d’animo dolorosi con intensità diversa, chiaramente, perché diverse sono le motivazioni e diverso il modo con cui li viviamo.
Il rimpianto è una condizione emotiva determinata dal ricordo di qualcosa che avremmo potuto determinare ma che non abbiamo saputo vivere appieno e ci ha lasciato un retrogusto amaro, in termini di aspettative non realizzate. Il risultato è una specie di malinconia, al ricordo, per una sorta di danno alla nostra persona. E come se, ripensandoci, dicessimo mentalmente: “Peccato, quella volta ho perso un’occasione!”
Il rimorso invece, è connotato da emozioni fortemente conflittuali, dolorosamente e intensamente fosche per qualcosa (che abbiamo fatto direttamente o meno ma che avremmo potuto e dovuto evitare) a seguito della quale, qualcuno ha avuto un prezzo pesante da pagare. I rimorsi ce li portiamo dietro per tanto tempo e lasciano un segno profondo.
Il senso di colpa è “parente stretto” del rimorso, ma è come quando si sbaglia in “buona fede”. Ci doliamo dell’accaduto ma non abbiamo agito con premeditazione. Non c’era dolo.
Ad esempio, se un automobilista ubriaco travolge e uccide un pedone, è giusto che, poi, abbia dei rimorsi. Se, invece, un chirurgo non è in grado di salvare la vita ad un suo paziente, nonostante i propri sforzi, dovrebbe potersi “assolvere” anche se, umanamente, una sorta di senso di colpa per non “essere riuscito”, non si può escludere.
Potremmo dire, riflettendo in termini psicoanalitici, che:
- il rimorso somiglia a quello che si prova nel trittico spiegato da Melanie Klein “Amore, Odio e Riparazione”, cioè, tentare di riparare dopo l’errore, dandosi modo di far tesoro dell’esperienza;
- Il senso di colpa esprime la condizione di (quasi) risoluzione del conflitto edipico, quando il bambino, inconsciamente, accetta la correttezza del comportamento paterno come “intruso” nella diade con la propria madre e si sente in colpa per averlo combattuto.
Come conseguenza personale, in entrambi i casi (rimorso e senso di colpa), a volte possono generarsi idee ossessive (che fissano l’attenzione su altro) come protezione dal ricordo.
Cos’è più doloroso?
Se solo lo avessi saputo, avrei fatto l’orologiaio (A. Einstein)
Evidentemente, a prima vista, sembrerebbe il rimorso.
In fondo dipende da chi siamo, da come viviamo quegli stati d’animo, da che cosa si sono determinati.
Spesso, il rimpianto è solo un po’ di ruggine sul taglio di uno splendido acciaio (Andrè Suarès)
In fondo il rimpianto è quello stato d’animo che ci avvolge come una coperta che, al tempo stesso, ci protegge perché, come sostenevano alcuni saggi pensatori del passato, certe volte all’interno dei rimpianti noi ci sentiamo come a casa nostra, come quando guardiamo le fotografie delle persone che non sono più fra noi, oppure come quando guardiamo le nostre immagini dei tempi andati e rimpiangiamo di non aver vissuto per come avremmo voluto…
È meno dannoso sbagliare nell’agire che essere indecisi e tergiversare sempre (Baltasar Gracian)
Volendo fare una differenziazione specifica, potremmo dire che:
- il rimorso corrode;
- il rimpianto invecchia;
- il senso di colpa consuma.
Ho vissuto per oltre quarant’anni coll’ossessione del lavoro. Ora che il mio giorno si approssima alla fine, mi domando se ne sia valsa la pena. (Giovanni Agnelli senior)
Si può vivere senza produrne?
Ogni scelta che facciamo è determinata a danno di altre possibilità e, noi, non possiamo ottenere tutto e nello stesso momento.
È come domandare quanti pensieri riusciamo a determinare nell’arco di uno stesso istante. La risposta sarebbe: Uno soltanto.
È abbastanza complesso e altrettanto articolato tutto il procedimento necessario per portarlo a termine e, allora, anche quando ci sembra di avere la testa affollata di pensieri conflittuali, in realtà ne produciamo a raffica uno dopo l’altro ed il successivo sposta il precedente, così, con un processo continuo.
A volte non siamo in grado di riuscire a dare delle risposte al pensiero che abbiamo, a quell’idea, a quel complesso di idee a quei concetti che abbiamo costruito precedentemente, per cui si affollano tutti in una stanza, in una sala d’aspetto, come quella degli studi medici in cui troviamo tanta gente in attesa di una parola di conforto o di una triste diagnosi: comunque, gente in apprensione.
Ecco, a volte il senso di colpa si genera anche in anticipo rispetto a quello che pensiamo, che determineremo in funzione delle nostre azioni, del nostro modo di essere, del nostro modo di fare e, tutto questo, è collegato con il mondo dei conflitti interiori.
I conflitti interiori si determinano come stati d’animo abbastanza “impegnativi” sul piano della sofferenza e inibenti sul piano dell’azione quando non abbiamo la necessaria lucidità, per tanti fattori, per stabilire quale sia la strategia più adeguata.
Come si risolvono?
In relazione al tipo di personalità con cui siamo cresciuti, rimorsi, rimpianti e/o sensi di colpa produrranno uno stato di angoscia che sarà più o meno sostenibile.
Nulla può far danno a un uomo maturo: né in vita, né in morte (Socrate)
Questo significa che, in funzione di chi siamo, in funzione di quanto siamo riusciti a diventare maturi e saggi, in funzione di quanto siamo stati in grado di operare corrette riflessioni sapendo in che direzione andare, quale sarà il costo da sostenere, purché ne sia valsa la pena relativamente agli obiettivi ed a quanto saremo riusciti a realizzare e a realizzarci, a sviluppare e a condividere… probabilmente in un certo qual modo i sensi di colpa ci accompagneranno ma, saranno come quella musica di sottofondo di Ennio Morricone di cui si parlava all’inizio.
Difficilmente, però, potremo essere vittima di rimorsi, al massimo di qualche rimpianto.
Volendo riepilogare
I momenti basilari della vita passata (o almeno quelli che noi riteniamo tali) ci inducono ad un consuntivo che, a distanza di tempo, ci lascia l’amaro in bocca e ci maceriamo dentro pensando che avremmo potuto agire in modo diverso.
C’è un vecchio proverbio giapponese (ovviamente maschilista come accade sempre o quasi per il passato) che recita così: “La donna infedele vive nel rimorso, la donna fedele vive nel rimpianto”.
Due sentimenti egualmente “angosciosi”.
Il rimorso è un rammarico per qualcosa che in passato si è fatto o detto e che, con gli occhi dell’oggi, non avremmo mai voluto fare o dire.
D’altra parte, il rimpianto è l’amarezza per non aver potuto (o voluto) fare o dire qualcosa.
Mentre il rimorso ci disturba dentro, il rimpianto dà spazio alla fantasia, perché si può liberamente fantasticare su come sarebbe stata la nostra vita se avessimo fatte altre scelte o preso diverse decisioni.
Un aspetto è chiaro. Chi vive nel rimpianto ha lasciato che il destino decidesse al posto suo; chi , invece, vive nel rimorso ha almeno provato a “forgiare” il proprio destino.
Sia il rimorso che il rimpianto ci invitano a ben ponderare il modo di vivere il futuro, tenendo ben presente che ciò che è stato non si può mutare e può essere solo di lezione per ciò che faremo.
Al centro di tutto ci sono le emozioni, che però vanno gestite e sapute ascoltare. Dobbiamo cercare di capire che cosa vogliono dirci e attribuire senso e significato a ciò che le emozioni ci dettano dentro.
“Tra vent’anni – scrive Mark Twain – non sarai deluso delle cose che hai fatto, ma da quelle che non hai fatto. Allora leva l’ancora, abbandona i porti sicuri, cattura il vento nelle tue vele. Esplora. Sogna. Scopri.“
I sensi di colpa procurano emozioni complesse.
Il senso di colpa fa parte delle emozioni “morali” perché ci ricorda che, in una ben precisa situazione, ci siamo allontanati dal comportamento che la società ufficiale ritiene etico.
Spesso è un peso troppo forte da portare e allora scatta lo spirito di giustificazione e si cerca in un altro (o in altri) il capro espiatorio che consente di assolverci e di ridurre drasticamente le nostre responsabilità.
Questo si nota in modo evidente nei conflitti tra stati che poi sfociano in guerre.
Anche un instabile mentale come Hitler sentiva il bisogno di giustificare i suoi crimini dicendo che era stato tirato per i capelli (ne aveva in realtà pochi) per fare guerre ed ordinare genocidi.
Per questo, durante la bufera hitleriana un grande poeta come Bertolt Brecht scrisse: “siccome tutti i posti della ragione erano occupati, ci sedemmo dalla parte del torto“
La letteratura, la musica e l’arte, in ogni tempo, ci offrono “pagine” mirabili dove i sentimenti del rimorso, del rimpianto e del senso di colpa sono rappresentati in modo indimenticabile.
Per fermarci alla nostra lingua, basterà ricordare, nei Promessi Sposi, la notte dell’Innominato.
Ma tutte le grandi letterature ci regalano momenti altissimi e ci aiutano ad entrare nel guazzabuglio del cuore umano.
Ogni personaggio dei grandi romanzi dell’Ottocento vive uno dei momenti di cui ci stiamo occupando.
Presi dalla lettura non ci accorgiamo, subito, che il personaggio, nella sua funzione, parla anche di noi, parla anche per noi.
Per vivere meglio ci pare necessario guardare con equilibrio alle scelte o non scelte del nostro passato. Per quanto concerne i sensi di colpa essi devono essere storicizzati. Se non abbiamo fatto male per dolo, il nostro eventuale errore va inquadrato in una più serena visione.
Importante è assumersi le responsabilità, senza scaricare colpe sugli altri.
Autoassolversi non è la strada migliore per star bene. Nel chiuso del suo foro interiore anche l’essere malvagio avverte di essere responsabile di negatività. Agli occhi degli altri si giustifica, ma davanti alla sua coscienza non riesce a farlo.
Come ultima riflessione regaliamo una forte affermazione di Jacques Lacan: “Il solo senso di colpa che vale, in psicoanalisi, é quello di cedere sul proprio desiderio“.
La sofferenza (o senso di colpa) nasce dal fatto che il soggetto non si impegna a realizzare il proprio desiderio, ma quello degli altri. Ciò facendo si sacrifica, non vive in modo autentico e sta male.
Questo è il prezzo che paghi per la vita che hai scelto (Al Pacino – Il Padrino Parte terza)
Cari Lettori, per concludere questo lavoro, in maniera “pragmatica”, ci permettiamo di sottoporre alla vostra attenzione un filmato molto intenso tratto dal “Padrino parte III”, proprio la scena finale, che esprime benissimo tutto il concetto del tema esposto finora: Rimorsi, rimpianti e sensi di colpa”.
Michael Corleone, all’uscita del teatro a Palermo, dove era andato ad assistere alla recita del figlio, divenuto cantante lirico, subisce un attentato ma, al suo posto, muore Mary, la figlia prediletta che, cadendo davanti ai suoi occhi gli chiede aiuto per l’ultima volta con un sussurro: “Papà!”
Dopo un momento di dolore intenso c’è il senso di colpa che si esprime attraverso un urlo strozzato, poi una sequenza di immagini che dal presente lo riportano nel passato, nella galleria dei rimpianti e, alla fine, roso dai rimorsi, muore da solo… come un cane.
Le persone che amano ricordano, non dimenticano: perdonano (Vincenzo Andraous)
Questa riflessione dell’amico Vincenzo Andraous, ci riporta alla particolare immagine di copertina, che richiama l’opera “Quando”, di Walter Veltroni con “suor” Giulia che si prende cura di Giovanni, “battezzandolo” simbolicamente ad una nuova vita.
La Scienza ci descrive alcuni fondamentali ruoli del Protone sia nella creazione di nuove idee (per poter destrutturare e ristrutturare un atomo, è necessario che il Neutrone si trasformi temporaneamente in Protone) che nell’avviamento della macchina della vita aerobica (i protoni sono fondamentali nella fotosintesi clorofilliana attivando la produzione di quel deposito di energia chiamato ATP).
Ora, siccome tutto parte dall’energia (e dalle sue conseguenti frequenze elettromagnetiche), per ciò che concerne le nostre emozioni, presupponendo l’Elettrone come fattore di “movimento aggressivo” (visto il suo ruolo di mediatore di informazioni, attraverso i salti da un orbitale all’altro) e il Neutrone come particella neutra simbolicamente sede di razionalità, al Protone non resta che la pertinenza affettiva.
Come un adolescente cinquantenne, il nostro Giovanni si confronta con un futuro senza sicurezze e prova ad accettare un presente amaro. L’affetto di Suor Giulia, della psicologa Daniela e del compagno di “sventura” Enrico lo aiuteranno in questo intaglio esistenziale, meraviglioso e terribile, che “cesella un romanzo per ognuno di noi: per chi ha vissuto, senza mai sentirsi solo, la forza di un ideale oppure lo ha mancato per ragioni anagrafiche e ne avverte la potenza o il rimpianto”
Buon cammino a tutti
Avrei voluto salutarti meglio, sai che non sono bravo negli addii. Avrei potuto essere migliore…Ormai è fatta, perdonami! Sai, prima il tempo non passa mai poi, d’improvviso non ce n’è più. Ed ogni gesto ha un altro peso ed ogni cosa un valore. Questa canzone è per te. E ‘un regalo piccolo, lo so. Tienila sul cuore con te, quando sarò lontano. Avrei voluto vederti crescere, guardar sbocciare un fiore. Avrei voluto vederti amare uno qualsiasi meglio di me. Avrei e voglio…ti voglio dire: Tu non sai quanto mi mancherai! Questa canzone è per te, è un regalo piccolo, lo so. Tienila sul cuore con te. E io, forse, non sarò mai lontano. (Stadio)
“Se non ti fermano mentre ti allontani allora continua a camminare. Guarda avanti, senza voltarti.” (Paolo Cohelo)
Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Umanista, Politologo
Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”
Un ringraziamento affettuoso ad Amedeo Occhiuto per la collaborazione