L’alba ha un suo fascino che apprezzi soprattutto quando le vai incontro e hai buoni motivi per scrutarne tutti i contorni, soddisfatto di aver fatto tutto quello che potevi. E dovevi. E volevi.
Arrivo, accogliendo il nuovo giorno. Rifletto su quello che è stato, le parole non dette arrivano veloci, bussano sui vetri dell’auto che mi riporta a casa. Pochi chilometri mi separano, rallento un istante. Voglio guardare ancora un pò, allungare lo sguardo sui monti alle spalle. E ripenso, tornando indietro un momento, di un giorno, nemmeno.
In piedi e già pronto, in realtà forse non sono mai andato a dormire. Non avevo voglia di assopire i pensieri che vagano nella mente; sveglio e pronto a reagire a qualsiasi sollecitazione provenga da me, dal mio interno.
Un brivido di freddo mi pervade. Accendo il motore e, con accuratezza, sfoglio fra le note che posseggo, quelle che mi faranno compagnia in questo viaggio, che sarà breve ma intenso. Lo sento.
È strano come pur trascorrendo tanto tempo in compagnia di me stesso, più spesso sento il bisogno di accogliermi, senza fretta con dolcezza, accarezzando con lo sguardo, non sfuggendo ma rallentando. È un grande gesto di affetto verso la propria persona, indispensabile per amarsi ed amare, donarsi per donare.
Quando è stata l’ultima volta che mi sono abbracciato?
Che bella domanda, mai avrei immaginato stasera così, buttato all’improvviso dopo un movimento effettuato per caso. Eppure così importante. Sono queste le cose che mi affascinano sorprendendomi, catturando la mia attenzione. Ci ritorno col pensiero dopo qualche giorno, avrà un significato profondo in questo preciso momento, un valore da attribuire e da scoprire.
La pioggia insistente fra me e i miei pensieri fa di tutto per intrufolarsi, ad impedire di prendere aria, a creare una barriera leggera ma fitta, difficile da attraversare. Ma…, niente riesce a fermarmi, quest’oggi voglio arrivare fino in fondo all’anima e guardare, senza dover trovare a tutti i costi un sollievo ad un dolore che ormai vive con me. Quando mi sveglio al mattino dopo solo poche ore di sonno, quando ritrovo il sorriso nella quotidianità dei gesti che mi circondano, quando mi giro all’improvviso e vedo un primo raggio di sole dalla finestra, invitante.
Un primo raggio di sole. Attraverso una piccola schiera di monti che quasi mi inghiotte, senza mettermi paura però. Quasi come a volermi accogliere nelle sue più nascoste caverne, a raccontarmi le storie che vivono fra loro. Mi sento sempre più parte della Natura, consapevole di appartenervi; essere Uomo, forte della sua fragilità, di mille contraddizioni.
Vorrei…, già cosa vorrei che non ho ancora provato?
L’inquietudine in un frammento di tempo che scivola fra le dita, la corsa nel volerlo fermare, l’amarezza per non esserci riuscito.
Corro, arrivando in un passato veramente troppo lontano e, fra i chilometri che divoro senza nemmeno gustarli, mi ritrovo all’improvviso bambino. Fra i giochi in solitudine, quelli di nascosto agli occhi dei grandi, in compagnia della più bella fantasia che ancora oggi vive con me, facendomi sentire sempre più vivo. Uno scatto e mi rivedo più grande. La stessa voglia di essere amato e accolto per quello che sono, come pochi anni prima. Un disagio che si è alimentato all’interno, rendendomi ribelle a qualsiasi costrizione o regola imposta e non accettata. Cosa sarebbe bastato? Forse solo una mano, tesa, a farmi sentire l’affetto che cerco e che ho sempre cercato.
Una pausa, lunga quanto basta a riportare in linea i miei pensieri, sul tragitto delle cose che sono sempre più mie e che danno la vitalità ad ogni cellula che vive nel mio corpo. Uno scambio di parole, interessante da volersi inserire quasi in ogni momento, ma qualcosa mi spinge all’esterno a non volermi distrarre da questo dialogo che è iniziato con me dalle prime luci del giorno. Poi, cedo, pur volgendo lo sguardo all’esterno.
Un intenso prato verde, insolito nel freddo della stagione, circonda il cemento di questo edificio. È una provocazione che usa madre Natura per distoglierti.
Mi congedo, dopo quattro passi nella sera e fra le più belle strade di questo posto che tante promesse ha suggellato e mantenuto.
Di nuovo in compagnia di me stesso, ritorno. Chissà perché la strada al contrario è sempre più rapida. Rallento, non voglio finisca, ho ancora tanto da dire e da ascoltare da me.
L’imbrunire mette un po’ di malinconia, pur volendo sempre tornare quando è già buio, quando l’ultimo raggio ha abbassato le palpebre esaltando la notte e i sogni incominciano a vivere.
Veloce. Scorrono a me i desideri che afferro fermando, la pace che combatte nel mio animo, perdutamente… Sento il cuore che batte sempre più forte, cosa sarà che determina questa intensa pulsazione al di là dell’evento che dirige e vive nel segreto della vita? Qual è il meccanismo al di fuori dei geni che attiva la cascata scatenando una serie immensa di reazioni che, molto semplicisticamente o forse solo umanamente, si traduce in un bisogno reale che vuole essere considerato?
Al di là del vetro che mi separa dal mondo, una catena di puntini illuminati costeggia la strada e la rende più morbida anche nelle curve più spigolose. Quelle nelle quali è difficile distrarsi nei propri pensieri, non possono sfuggire. Vanno controllate…
Un sorriso colora l’espressione forse un po’ triste che mi ha guidato in questo viaggio, come ho già detto all’inizio e come prevedevo, breve ma intenso. Sono quasi arrivato da dove sono partito, ma mi ritrovo fermo, alle prime luci dell’alba, con alle spalle una catena di monti rivestita di bianco che mi vuole abbracciare; davanti quella più morbida, accogliente di calore pur coperta dal nero che minaccia una pioggia che presto cadrà. Alzo gli occhi al cielo e mi lascio avvolgere sentendomi piccolo, ritrovando la parte più bella che ancora mi appartiene e che non vorrò mai, per nessuna ragione, lasciare andare da me.
Una lacrima muta, senza pretese, vuole solo disperdersi nell’aria di quest’alba che vive.
Made by Fernanda (28 Gennaio 2011)
Biologa CNR, Counselor. Responsabile “gestione area informativa” Progetto SOS Alzheimer On Line