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Quando considero la piccola durata della mia vita, assorbita dall’eternità che la precede e che la segue, il piccolo spazio che io riempio e che vedo, schiacciato dall’infinita immensità degli spazi che io ignoro e che mi ignorano, mi spavento e mi stupisco. Per ordine di chi, questo tempo e questo spazio mi è stato destinato? (Pascal – Pensieri)

Cari Lettori, le riflessioni con cui abbiamo iniziato questo editoriale rappresentano, di fatto, il canovaccio intorno al quale vorremmo srotolare le nostre riflessioni.

Soffermiamoci un attimo a pensare: ogniqualvolta non siamo impegnati ad affrontare problemi inerenti all’appagamento di bisogni tanto elementari quanto fondamentali per sopravvivere, iniziamo a porci “pericolose” domande che nascono dalla necessità di guardare al di là del nostro “naso”, per ordine di quell’inconscio collettivo di Junghiana memoria che, custode del passato, è inesorabilmente orientato al futuro.

Malinconia del Passato, gioia del Presente, pentimento del Futuro. In fondo, questa è la vita (Cit.)

Gioia: Movimento o stato d’animo che, per qualsiasi ragione, rallegri e piacevolmente commuova

Ciascuno di noi nasce con quella dote meravigliosa che è la curiosità del vivere.

Chi ci sta intorno, però, non sempre ci aiuta a capire che, il conflitto di base (che sta dentro i nostri atomi) fra il costruire e assemblare e il rompere per cercare nuove opportunità, appartenga alla fisiologia di quel respiro cosmico che governa tutto. Noi compresi.

Ed per questo che, la paura di nostra madre nel lasciarci andare anche verso quello da cui, lei, non potrebbe proteggerci, si trasforma nelle nostre diverse gradazioni di angoscia che vanno dal senso di impotenza, al peso della solitudine fino alla percezione di “frammentarci” in piccoli pezzettini.

E, quindi, come meteore nel buio di una Galassia, procediamo con un nodo in gola, passando da una scoperta all’altra.

La Scienza ci spiega che qualsiasi cambiamento determina l’attivazione di quelle parti di cervello che non sfruttano i meccanismi dell’abitudine ma si affidano alla creatività e al cammino sul filo teso sul vuoto e senza rete di protezione.

E ogni volta che lasciamo il conosciuto e ci avventuriamo oltre le simboliche “Colonne d’Ercole”, dobbiamo sperare di poggiare su un terreno solido. O che qualcuno ci insegni a volare.

Certo è che, di fronte a qualcosa che appare più grande di noi, alla stregua di un’onda gigantesca, alcuni si lanciano verso la sua base, nel tentativo di passare dall’altra parte, verso la vastità e la libertà dell’Oceano, altri attendono e, nell’attesa, rifiutando di ammettere ciò che osservano, immaginano un mondo diverso. Che finirà con loro!

Cari Lettori, riconsiderando (nell’antica rivista della FNOMCEO “La Professione”) un interessantissimo articolo del Dr. Gerardo Ciannella dell’Ospedale“Monaldi”di Napoli, pubblicato nel lontano marzo del 2000, abbiamo colto l’occasione per riflettere sul fatto che“ognuno di noi costituisce un universo vivo e radiante che può dare e ricevere energia in un processo continuo di comunicazione perenne: questo sta alla base del valore curativo della comunicazione terapeutica tra medico e paziente”.

Considerazioni, forse, già proposte in altri momenti ma, comunque, di un valore senza tempo.

La malattia è il lato notturno della vita, una cittadinanza più onerosa. Tutti quelli che nascono hanno una doppia cittadinanza, nel regno della salute e in quello della malattie. Preferiremmo tutti servirci soltanto del passaporto buono, ma prima o poi ognuno viene costretto, almeno per un certo periodo, a riconoscersi cittadino di quell’altro paese. (Susan Sontag)

Da indagini statistiche specifiche, risulta che, un sempre maggior numero di persone che entrano nello studio di un medico (soprattutto di Medicina Generale) non presenta malattie organiche ma è portatore di disturbi psicosomatici.

Da questa realtà, possiamo ricavare l’idea di quanto l’evoluzione della Società abbia inciso sui nostri attuali equilibri.

Chi ci ha preceduto, infatti, basava i propri sistemi di vita su valori che davano luce nei momenti difficili e bui delle scelte individuali. Oggi, quei valori tradizionali e tradizionalistici, sono stati messi in discussione senza essere sostituiti da valori su cui poter poggiare in maniera altrettanto ferma.

Senza una simbolica “direttrice”, si è verificato quello sbandamento che è alla base della crisi che viviamo, da un po’ di tempo a questa parte.

È come se, gradualmente, dei genitori del tempo che fu sia “evaporata” quella autorevolezza che consentiva (e costringeva) i propri figli a crescere nel solco delle regole, avendo chiara la responsabile necessità di offrire il proprio impegno, in cambio dell’ottenimento di beni e servizi.

Come abbiamo già avuto modo di scrivere, evidentemente, i nostri Padri e le nostre Madri pur capaci di sacrificare una intera esistenza, essendo a loro volta figli di una Società fortemente autoritaria, non hanno potuto piantare i semi di una crescita autonoma, nelle generazioni che, man mano si sono succedute.

Tocca a noi e, soprattutto, a chi sta per prendere il nostro posto, come apripista nelle sconfinata praterie ancora da esplorare, confrontarci col desiderio di restare come testimoni del tempo e, contestualmente, essere tentati dal tornare da dove siamo venuti.

Perchè, in fondo, ognuno vuole rivivere le emozioni dei tempi e dei luoghi in cui è stato felice.

Ogni essere umano porta dentro di sé una unicità irripetibile rappresentando ancora oggi, per molti aspetti, un grande mistero. Ciò che ci si aspetta dal rapporto con gli altri e, soprattutto con chi dovrebbe prendersi cura di noi, non è solo il rimedio ai mali ma, soprattutto, una strategia per il mantenimento e la valorizzazione del benessere.

Da molti anni, esperti internazionali e soprattutto (il ché non accade sovente, purtroppo) italiani, hanno approfondito il rapporto di comunicazione fra i vari settori vitali del nostro organismo cercando di capire cosa anima la vita intracellulare.

Ne è scaturita una branca di approfondimento che ha preso il nome di Psiconeuroimmunoendocrinologia, che ha potuto osservare l’instaurarsi di suggestive realtà, in cui inquadrare la “grande connessione” fra organi ed apparati, i neuropeptidi (veicoli di comunicazione più “evoluti” rispetto ai semplici neurotrasmettitori), la psicooncologia e tante altre “belle cose”…

Questa nuova forma di Medicina ha, in realtà, un sapore di antico, rimettendo l’unicità dell’essere umano davanti alla segmentazione didattica che resta sui libri accademici e fallisce nella sperimentazione clinica di moltissime patologie “rompicapo”.

Ci viene da immaginare i professionisti di questa nuova Tavola Rotonda (endocrinologi, neurologi, psicoterapeuti, psichiatri, immunologi, etc.) coordinati da quello che era il “Medico di Famiglia”, ora Medico di Medicina Generale (Messer Lancillotto) che rappresenta, sempre e comunque,  un valido filtro / barriera in grado di svolgere, contemporaneamente, un ruolo di primo impatto col problema, un fulcro su cui ruotano i vari specialisti e, comunque, il vero punto di riferimento (come “amico di famiglia”) per chi soffre.

Il progresso della medicina ha prima dato nomi ben precisi alle tante variazioni di male e, poi, la ricerca scientifica ha cominciato la lunga lotta per contrastare l’avanzata dei mali che contribuiscono a ridurre la durata dell’esistenza.

Molto si è fatto, moltissimo resta da fare. È sempre così nella storia dell’umanità.

Ma, oggi, più che parlare di organismi aggrediti dalle malattie e in lotta per vincere il male, preferiamo fare qualche considerazione d’altro tipo. Tralasciando, anche, (per una volta) il nobile e ineliminabile lavoro di prevenzione, fondamentale nei vari ambiti che riguardano la salute.

Pensiamo, oggi, all’uomo sano o che si sente o ritiene tale.

L’uomo che non ha dolori particolari e non è ancora angustiato dai tanti problemi che cerchiamo di affrontare con medicamenti di vario genere per disciplinare la pressione, controllare il colesterolo, tenere a bada il diabete e così di questo passo.

Parliamo del cosiddetto “uomo sano”.

E, qui, dobbiamo dire subito che la stranezza dell’uomo è di non saper vivere il presente, il famoso “Hic et nunc” degli antichi Latini.

Che intendiamo dire? Questo, in poche parole.

Chi è sano non presta attenzione a questo stato, perché le varie parti del corpo non mandano segnali, più o meno grandi, di allarme.

Chi è “sano” dà per scontata e naturale questa situazione e avverte come cose lontane i problemi di salute degli altri.

È, purtroppo, una nostra peculiarità di uomini di muoverci con consapevolezza quando parliamo del passato o con speranza quando ipotizziamo il futuro.

Il presente, mentre lo viviamo, ci sfugge come analisi.

Vogliamo dire, per fare un esempio, che non si vive la felicità. È sempre a posteriori che ricordiamo i momenti felici.

La felicità, quindi, non si vive in presa diretta. Mentre, infatti, viviamo momenti di gioia, siamo in diretta disturbati da preoccupazioni, ansie, problemucci di poco conto che ci impediscono di essere liberi e di poter vivere in diretta la felicità.

Lo stesso avviene del nostro corpo. Non badiamo ad esso quando non siamo fastidiati da dolori o fastidi di vario genere.

Quanta salute c’è nella malattia! (Carlo Ferrario)

Solo quando l’organismo è sottoposto a problemi, che ricordiamo il tempo passato quando ognuno era “sano come un pesce”.

Anche questi paragoni danno da pensare.

Ci paragoniamo ad altri esseri ritenuti sani e duraturi, quando invece anche per loro la nascita è l’inizio della morte, che prima o dopo arriverà.

L’uomo è congegnato in modo che o vive in modo totalmente superficiale (e quindi quasi si lascia vivere) o pensa alla vita ed è subito toccato da malinconia e inquietudine.

Qualche volta abbiamo sentito esclamazioni di questo tipo: “Vorrei che questo momento non finisse mai”

Mentre viene pronunciata una frase del genere, l’incanto, il “momento” è già svanito per sempre e, patetico, appare il tentativo di immortalarlo, con una presa d’atto razionale.

Cosa, dunque, strana l’uomo: in tante declinazioni del suo modo di essere, di pensare e di agire.

Inserito da millenni in un habitat naturale, ha avuto, per egoismo e mania di potenza, la forza per offendere la natura stessa e carpire segreti che un domani potrebbero portare alla sua stessa dissoluzione.

Questo, perché?

Ricordiamo il gran finale della Coscienza di Zeno di Italo Svevo: e poi un uomo, più sano o più malato, metterà in moto una esplosione immane e tutto andrà a rotoli, compresi gli uomini con le loro stranezze e le malattie.

Il mondo che fa ammalare Zeno diventa anche, paradossalmente, la cura: Ma, questa apparente buona notizia, viene annullata dalle ultime pagine del libro, in cui Zeno profetizza un’apocalisse, un’enorme esplosione che distruggerà il mondo. La malattia di Svevo, quindi, può essere sovrapposta alla malattia del mondo, una civiltà malata la cui unica via d’uscita è l’annientamento totale. 

Cari Lettori, in fondo, già oggi è difficile in pratica distinguere un sano da un ammalato. A ben riflettere siamo tutti, a nostro modo, ammalati senza “saperlo”.

La vera natura “doc” dell’uomo, quella che lo contraddistingue, diventa la malattia, non la salute.

Siamo affetti da una malattia con prognosi riservata: l’esistenza (Carlo Gragnani)

Nonostante la malattia (o forse grazie anche ad essa) l’uomo ha fatto delle cose bellissime (oltre a tante cose orrende) che resteranno finché un uomo vivrà e si aggirerà su questa    “bella famiglia d’erba e di animali “.

La salute è la Vita, nel silenzio degli organi.

E che vuol dire?

Rifacendoci ai principi della psiconeuroendocrinoimmunologia e delle sue “molecole” di emozioni, tutto scorre attraverso degli archetipi che ci consentono di venire al mondo già “funzionanti”.

Non dobbiamo, infatti, impegnarci più di tanto, nella dupicazione cellulare, nella respirazione o nell’invio di impulsi bio elettrici in giro per il sistema nervoso.

E, allora, come facciamo a non percepirci come delle marionette nelle mani di un Dio che decide per noi?

Qualcuno ha scritto che, forse, quelle “mani” sono anche le “nostre” mani…

Mano, Maestra, Malattia. Tutto quello che comincia con “ma” insegna. (Carolina Montuori)

Cioé

il nostro organismo vive grazie a regole codificate fin dalla notte dei tempi, attingendo dal DNA le materie prime indispensabili alla preparazione di strutture fisiche, emozioni e comportamenti.

Lo chef, prende il nome “Inconscio” ed è esso stesso sottoposto a regole antiche come il mondo.

Il nostro libero arbitrio, consiste nella capacità di apprendere il sistema di adattarci agli scombussolamenti che ogni nuova scoperta porta con sé, in maniera da ripristinare gli equilibri di partenza, pur avendo arricchito il bagaglio di conoscenze.

In questo modo, è come se si esplorassero sempre meglio i misteri del nostro DNA, che come un libro di Storia, contiene i ricordi del passato ma, anche, quello che ancora deve accadere.

Il rendercene conto, attraverso l’introspezione, ci consente la “Gioia” del presente, nella silenziosa ma efficace opera dei nostri organi. E abbiamo tempo, per goderci questo momento

Domani è un altro giorno

L’introverso docente di robotica Tommaso, rientra in Italia dal Canada (dove vive e lavora) per incontrare Giuliano, attore esuberante e un po’ “Peter Pan”. Amici del cuore, da trent’anni, trascorreranno quattro giorni emotivamente durissimi, che serviranno a dirsi addio dal momento che Giuliano, malato di cancro, ha deciso di interrompere le cure perché “nostalgicamente” stanco della vita. Accanto a un uomo che, a tratti malinconicamente, si prepara a morire, Tommaso sperimenta l’emozione del dolore senza respingerla e aiuta l’amico a riannodare l’abbraccio col figlio che studia a Barcellona, ascoltando (in silenziosa commozione) i momenti di paura e i propositi di non attendere la fine ma anticiparla con opportuni farmaci. Giuliano, a sua volta, scopre come la malattia lo abbia reso più umano e profondo. E, il quarto giorno, prima di salire sull’aereo per rientrare in Canada, Riceve in “dono” un pezzo del cuore di Giuliano: il suo amato “Paco”, il Bovaro del Bernese che ha cresciuto come un figlio.

Marco Giallini (Giuliano) e Valerio Mastrandrea (Tommaso) sono i due interpreti del toccante film del 2019, “Domani è un altro giorno”, che mostra come l’amore “insegna agli uomini a non lasciarsi mai, a unire le proprie solitudini, a non tradirsi mai”.

È uno di quei giorni che Ti prende la malinconia Che fino a sera non ti lascia più

La mia fede è troppo scossa ormai Ma prego e penso fra di me Proviamo anche con dio, non si sa mai

E non c’è niente di più triste, In giornate come queste, Che ricordare la felicità

Sapendo già che è inutile Ripetere “chissà? Domani è un altro giorno, si vedrà”

È uno di quei giorni in cui Rivedo tutta la mia vita, Bilancio che non ho quadrato mai

Posso dire d’ogni cosa Che ho fatto a modo mio, Ma con che risultati non saprei

E non mi son servite a niente Esperienze e delusioni, E se ho promesso, non lo faccio più

Ho sempre detto in ultimo, Ho perso ancora ma Domani è un altro giorno, si vedrà

È uno di quei giorni che Tu non hai conosciuto mai. Beato te, si beato te

Io di tutta un’esistenza Spesa a dare, dare, dare Non ho salvato niente, neanche te

Ma nonostante tutto Io non rinuncio a credere Che tu potresti ritornare qui

E come tanto tempo fa Ripeto “chi lo sa? Domani è un altro giorno, si vedrà”

E oggi non m’importa, Della stagione morta Per cui rimpianti adesso non ho più

E come tanto tempo fa Ripeto “chi lo sa? Domani è un altro giorno, si vedrà”

La malattia è il medico più ascoltato: alla bontà, alla scienza si fanno solo promesse; alla sofferenza si obbedisce.
(Marcel Proust)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento affettuoso ad Amedeo Occhiuto, per la preziosa collaborazione 

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