Nel 1959, diretto da Camillo Mastrocinque, esce il film La cambiale: sostanzialmente, una sequenza di episodi interdipendenti che hanno, come filo conduttore, il passaggio di mano di una cambiale.
Un noto finanziere, il commendator Pierluigi Bruscatelli (Aroldo Tieri) dopo aver pagato con una cambiale due truffatori, i cugini Posalaquaglia (Totò e Peppino de Filippo), viene arrestato per bancarotta fraudolenta.
In galera, spiega al compagno di cella tutta la metafora sulle cambiali, teoria che viene illustrata dagli episodi del film nei quali, questa cambiale viene utilizzata (passando di mano in mano) come “pagherò d’onore” (perché firmata, appunto, da Bruscatelli).
Il problema nasce quando si scopre, però, che il Bruscatelli non onorerà il titolo dal momento che ha saldato il suo debito con la Società, attraverso la reclusione.
La cambiale, quindi, va in protesto e, ognuno dei personaggi coinvolti, cerca di rientrare in possesso o del contante dovuto da chi ha girato la cambiale o, almeno, della merce venduta.
Che l’uomo non impari nulla dalla Storia, è la prima lezione che la Storia ci insegna (Cit.)
Una simile trama (modernamente definita “bolla speculativa”) ha dato il via, dal 2007 in avanti (e senza apparente soluzione di continuità), alla crisi globale internazionale, alla gestione alquanto discutibile ( a partire dall’OMS) della Pandemia, alla controversa guerra fra Russia e Ucraina e all’inflazione speculativa che ne è derivata, scoprendo altarini placcati in simil oro
“Non si può banalizzare e liquidare il suo gesto come un suicidio dettato dalla depressione, come ha scritto qualche giornale; merita rispetto e maggiore attenzione. Si parla di imprenditori che ricorrono al gesto estremo, parliamo anche dei giovani: questi giovani che noi abbiamo generato, ma che non siamo in grado ora di accompagnare nel loro percorso di speranza. Mia figlia non è mai stata banale, ha vissuto il suo breve tempo alla ricerca di qualcosa che noi, NOI TUTTI, non sappiamo più offrire a chi, come lei, vive la condizione di giovane. Lei sì, lei sì che si è sempre impegnata, fiduciosa nei nostri insegnamenti, sicura che il merito avrebbe pagato. Ha sempre dato senza mai chiedere… ecco… senza mai chiedere. E invece avrebbe dovuto farlo, avrebbe dovuto chiedere che i suoi diritti, conquistati con impegno e sacrifici, venissero onorati”.
Questa è la lettera aperta che una mamma rimasta “orfana” di una figlia “delusa”, ha inviato, qualche tempo fa, alla stampa: un pugno contro il vetro dell’ipocrisia, della furbizia, della paura, del velleitarismo. Della falsità.
Ciclici sacrifici generazionali
Come già abbiamo avuto modo di ricordare in altri editoriali, da che Mondo è Mondo, ciclicamente, una generazione è stata “sacrificata”, a favore dei superstiti. Senza affondare i ricordi nella notte dei tempi, (almeno per quanto ci riguarda) è stato così per le guerre di Indipendenza, le due guerre mondiali, i vari altri conflitti internazionali, le vittime della droga, le varie contestazioni studentesche (dal ’68, in poi), il periodo brigatistico.
E, per finire, il precariato sociale contemporaneo.
A differenza del passato, però, oggi non c’è, sul palcoscenico, un (vero o presunto) leader traghettatore: un Garibaldi, un Armando Diaz, un Eisenhower, un Che Guevara, un Nikita Kruscev, un Kennedy, un de Gasperi…
Se a questo sommiamo il delirio iniziato negli anni ottanta (del secolo scorso) in base al quale si è cominciato a generare montagne di denaro “precario” (perché non sostenuto da valori produttivi etici) attraverso speculazioni finanziarie (in base alle quali, il titolo di un’azione, in Borsa, veniva artatamente fatto aumentare per poterlo rivendere e guadagnarci, a danno dei piccoli investitori e delle aziende) e operazioni di “finanza creativa” (grazie alla quale, quasi ogni Stato del Mondo ha finanziato le proprie spese stampando moneta in eccesso ed appioppando titoli con la promessa di interessi sempre più alti) ecco che, ogni volta che inizia a soffiare il vento della psicosi collettiva, crolla l’impalcatura illusoria e ci troviamo nudi e incapaci (perché non più abituati) di lavorare nei settori primari (agricoltura e simili) per tirare a campare.
Stai attento ai tuoi pensieri, perché diventano parole. Stai attento alle tue parole, perché diventano abitudini. Stai attento alle tue abitudini, perché diventano carattere. Stai attento al tuo carattere, perché diventa il tuo destino (F. Outlaw).
Perché dicono “basta” quelli che decidono di non continuare?
Cari Lettori, ci è capitato già di affrontare questo argomento in un altro editoriale ma riteniamo utile e necessario ribadire alcuni concetti
Per suicidio (dal latino suicidium, sui occidio, uccisione di se stessi) si intende l’atto col quale un individuo si procura volontariamente e consapevolmente la morte. Immaginiamo un piccolo imprenditore, un artigiano, un operaio o chiunque abbia provato a mettersi duramente in gioco, con l’unico obiettivo di realizzare qualcosa, attraverso cui potersi autoaffermare e riuscire ad ottenere, correttamente, la stima degli altri: principalmente, quella dei propri figli…
Ora, togliamo, a costui, la possibilità di vedere coronato il sogno della propria vita (l’onorabilità, la rispettabilità, la possibilità di continuare ad esercitare i propri diritti attraverso l’applicazione al proprio lavoro): di fronte alla prospettiva di perdere la cosa per cui ha combattuto da sempre, cos’altro potrebbe fare?
Cosa c’è, in quel momento, di più drammatico di un intero progetto esistenziale svanito e, magari, neanche per colpa propria?
La disperazione stessa, per poco che duri, diventa una sorta d’asilo nel quale ci si può sedere e riposare” (Charles Saint – Beuve)
Come aiutare chi non ha più motivo, per continuare?
Stiamo assistendo non alla fine naturale di una grande civiltà umana, ma alla nascita di una civiltà disumana che non avrebbe mai potuto nascere senza una vasta, immensa, universale sterilizzazione dei valori più alti della vita. (George Bernanos)
È fondamentale metterlo in condizione di capire (al netto di situazioni “psichiatriche” di pertinenza specialistica) per esempio che, in una Società priva di alcun sano valore di riferimento, non ha senso morire per onore.
Anche perché, in simili contesti, bisogna inquadrare la situazione sovrapponendola alle ambientazioni tipiche delle Società prossime al tracollo (come l’Italia, appunto, alla vigilia dell’otto settembre 1943): oltre quel punto, non ci saranno più suicidi, perché non ci sarà più alcun valore se non quello di provare a sopravvivere.
Magari con la sovraproduzione sintomatologica da stress prolungato post traumatico (da post clausura pandemica e fobie belliche di ogni genere).
E allora, chiunque si trovi in situazioni “limite” dovrebbe chiamare a raccolta le persone care e proteggerle, per come può, dalle “schegge” fuori controllo: è così che si torna a sentirsi utili e, quindi, importanti.
invece che limitarsi a guardarti, non attaccano bottone dicendoti che hai un sorriso bellissimo? Perché dopo trent’anni, in un caffè del centro, non rincontri mai la persona per cui hai lottato? Perché le madri fanno fatica a capire i propri figli e i padri ad accettarli? Perché la frase giusta arriva sempre durante il momento sbagliato? Perché non ti capita mai di correre sotto la pioggia, di arrivare davanti al portone di qualcuno, farlo scendere, scusarti e iniziare a parlare a vanvera per poi trovarti labbra a labbra e sentirti dire: “non importa, l’importante è che sei qui?” Perché non vieni mai svegliato durante la notte da una voce al telefono che ti dice: “non ti ho mai dimenticato?” Se fossimo più coraggiosi, più irrazionali, più combattivi, più estrosi, più sicuri e se fossimo meno orgogliosi, meno vergognosi, meno fragili, sono sicuro che non dovremmo pagare nessun biglietto del cinema per vedere persone che fanno e dicono ciò che non abbiamo il coraggio di esternare, per vedere persone che amano come noi non riusciamo, per vedere persone che ci rappresentano, per vedere persone che, fingendo, riescono ad essere più sincere di noi. (David Grossman)
Il mondo, si sa, ruota alla malora. Caduta inarrestabile.
Noi, però, non ci rassegniamo e siamo sempre curiosamente attratti da che cosa fare per rendere gli uomini migliori.
Obiettivo non facile in un mondo che pone al centro, come valori da inseguire, il denaro e il potere.
Il denaro e il potere possono soddisfare solo all’apparenza, superficialmente. Essi non ci rendono migliori né ci danno una favilla di felicità reale.
Essere migliore a livello singolo si può, ma non basta. Dovremmo sforzarsi tutti a esser migliori. E qui che sta il problema.
David Grossmann ci dice giustamente che il tentativo di vivere e comportarsi in modo migliore oggi come oggi, è più probabile vederlo a cinema che nella realtà.
Gli uomini si muovono nelle città con il muso duro, senza sorriso.
Paiono, la mattina quando prendono la metro, essere in guerra con tutti. Gli altri paiono essere un inferno e non, certo, “cuori” da intercettare e con cui dialogare.
Ognuno è chiuso nel proprio scontento e riesce sempre più difficile uscire dal proprio guscio e regalare e condividere brandelli di “autenticità”.
Un altro Grossman, il grande Vadilij, sovietico, scrisse pagine memorabili su che cosa fare per uscire dalla belluinità e dare un senso bello alla vita degli uomini. Egli, che aveva visto gli orrori nazisti, scrisse che bisognava trovare “l’umano nell’uomo”.
Espressione bellissima con cui, il grande scrittore, individuava un ben preciso modo di pensare, fare ed agire.
L’umano nell’uomo non è la mera libertà (ci ricorda Vito Mancuso nei “Quattro Maestri”) ma è, invece, la libertà indirizzata al bene e alla giustizia: è libertà, quindi, in quanto rettitudine e bontà.
Lo sforzo, specie in tempi di catastrofe, dovrebbe essere quello di essere liberi, giusti e buoni. In sostanza, veramente umani.
Molti dei giovani di oggi sostengono di essere la generazione più preparata ma meno valorizzata.
È una condizione, per lo più, reale. Ma dipende dal fatto che si studiano argomenti e materie che non sono richieste o non si sanno rendere appetibili ai possibili committenti.
“I più di questi laureati di Harward non valgono un cazzo! Serve gente povera, furba e affamata. Senza sentimenti. A volte vinci, a volte perdi. Ma continui a combattere. E se vuoi un amico, prendi un cane. Questa è guerra di trincea!” (Gordon Gekko – Wall Street)“
La strada per il successo è asfaltata ma, le vie per raggiungerla, no!” (Winston Churcill).
Per capire meglio il senso dei due spunti di riflessione sopra proposti, proviamo a domandarci l’utilità effettiva di quella parte anatomica che si chiama cervello, soprattutto la zona alta, per intenderci: quella dalle orecchie a salire, che ci distingue in gran parte da molte altre specie animali.
Serve per realizzare ciò che comunemente viene definito il meccanismo della riflessione.
E che cosa significa “riflettere”?
Approfondirsi, in maniera consapevole o meno, su idee, su concetti, che stanno nella nostra testa, di cui disponiamo, oppure che ascoltiamo o osserviamo prelevando i frammenti dal mondo esterno.
Le pecore nere, quelli che non si adattano, quelli che gridano ribellione, riparano e disintossicano e creano un nuovo e fiorito ramo. Irraccontabili desideri repressi, sogni irrealizzati, talenti frustrati dei nostri antenati si manifestano nella loro ribellione cercando di realizzarsi.
L’albero genealogico, per inerzia, vorrà continuare a mantenere la parte tossica e castrata del suo tronco che rende la sua fioritura difficile e complicata.
Che nessuno ti faccia dubitare, prenditi cura della tua rarità come il fiore più prezioso del tuo albero. Sei il sogno realizzato di tutti i tuoi antenati. (Bert Hellinger)
Il lavoro che hanno portato avanti imprenditori e industriali come, ad esempio, Enzo Ferrari (fondatore dell’omonimo marchio automobilisico sportivo per eccellenza), così come quello di tanta altra gente che lavora un po’ più nell’ombra, parte da un principio molto semplice:
Cosa posso fare?
Quanto può interessare?
Cosa, la gente, sta aspettando… e perché?
Come, quello che io ho da proporre, può sposarsi con quello che la gente vorrebbe?
Un uomo chiamato a fare lo spazzino dovrebbe spazzare le strade così come Michelangelo dipingeva, o Beethoven componeva, o Shakespeare scriveva poesie. Egli dovrebbe spazzare le strade così bene al punto che tutti gli ospiti del cielo e della terra si fermerebbero per dire che qui ha vissuto un grande spazzino che faceva bene il suo lavoro. (M. L. King)
Su cosa si fonda la stimabilità attuale di una nazione?
Solo ed esclusivamente sul valore e sulla serietà delle proprie risorse umane. E allora, accanto ad una mentalità applicativa un po’ più “teutonica” (per quello che riguarda la precisione), diventa necessaria la Creazione di gruppi di lavoro organizzato, in cui ognuno è leader di sé, ma pronto alla gregarietà per il raggiungimento di obiettivi comuni e progetti mirati in maniera solidale con un pizzico di sano egoismo, per crescere e condividere, in maniera sostenibile e sensata.
Cari Lettori, l’argomento di questo lavoro potrebbe apparire un po’ meno emozionale rispetto alle nuances che, di solito, proponiamo anzitutto alla nostra Anima corale.
Eppure, l’immagine di copertina mostra un combattente ingrigito solo nei capelli che mostra al mondo che, quello che appare secco e morto, può essere ancora riportato in una vita a colori
Ci piace immaginare che sia il poeta Francesco de Gregori che, rimasto senza la sua Francesca (Gobbi), continua l’opera di riscaldare il piacere di apprezzare la vita, in ogni sfumatura.
E, perciò, vorremmo salutarvi con una originale interpretazione di una immortale opera della cultura napoletana, registrata quando la malattia di Francesca mostrava gli aspetti meno rassicuranti.
Forse è proprio per questo che le emozioni che sgorgano sono così vere e coerenti.
Il nostro augurio è quello di non dimenticare che nasciamo per un atto d’amore e andiamo via per essere riaccolti nella culla da cui, tutti, proveniamo.
Anima e core
Nuje ca perdimmo ‘a pace e ‘o suonno
Nun ce dicimmo maje pecchè?
Vocche ca vase nun ne vonno
Nun so’ sti vvocche oje ne’!
Pure, te chiammo e nun rispunne
Pe’ fa dispietto a me
Tenimmoce accusì: anema e core
Nun ce lassammo cchiù, manco pe’ n’ora
Stu desiderio ‘e te mme fa paura
Campà cu te, sempre cu te, pe’ nun murì.
Che ce dicimmo a fa parole amare
Si ‘o bbene po’ campà cu nu respiro?
Si smanie pure tu pe’ chist’ammore
Tenimmoce accussì anema e core!
Forse sarrà ca ‘o chianto è doce
Forse sarrà ca bene fa
Quanno mme sento cchiù felice
Nun è felicità.
Specie si è vvote tu mme dice
Distratta, ‘a verità.
Tenimmoce accussì anema e core!
Nun ce lassammo chiu, manco pe n’ora
Stu desiderio ‘e te mme fa paura
Campà cu te, sempre cu te, pe’ nun murì.
Che ce dicimmo a fa parole amare
Si ‘o bbene po’ campà cu nu respiro?
Si smanie pure tu pe’ chist’ammore
Tenimmoce accussì anema e core!
Traduzione (Di Roberto Murolo)
Noi che perdiamo la tranquillità ed il sonno, non ci diciamo mai perché?
Bocche che non vogliono baci, non sono queste bocche, oh no!
Eppure, ti chiamo ma non rispondi per farmi dispetto, forse?
Teniamoci così: anima e cuore
Non lasciamoci più, nemmeno per un’ora Questo desiderio di te mi fa paura
Vivere con te, sempre con te, per non morire: A che scopo ci diciamo parole amare,
Se il bene può vivere con un respiro? Se soffri anche tu per questo amore,
Teniamoci così: anima e cuore! Forse sarà che il pianto è dolce, forse sarà che fa bene quando mi sento più felice,
non è felicità specialmente se a volte mi dici, distratta, la verità Questo desiderio di te mi fa paura
Vivere con te, sempre con te, per non morire A che scopo ci diciamo parole amare,
Se il bene può vivere con un respiro? Se soffri anche tu per questo amore,
Teniamoci così: anima e cuore!
“Se oggi non valgo nulla, non varrò nulla nemmeno domani. Ma se domani scoprono in me dei valori, significa che li posseggo anche oggi. Infatti, il grano è grano, anche se la gente, all’inizio, lo prende per erba”. (Vincent Van Gogh)
Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo
Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”
Un ringraziamento affettuoso ad Amedeo Occhiuto, per la preziosa collaborazione