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Pillole di resilienza è una collana video dedicata a tutti noi, quando crediamo di non riuscire più a fronteggiare le tormente della vita

“Un giorno, da qualche parte, in qualche posto, inevitabilmente ti incontrerai con te stesso. E questa, solo questa, potrebbe essere la più felice o la più amara delle tue giornate”.

Questa riflessione di Pablo Neruda mi riporta a quello che ascolto, quasi senza soluzione di continuità, nella mia professione di psicoterapeuta

Cercare il senso della domanda: “Io, chi sono?”

E, allora, ho immaginato un monologo (che rifletta, in realtà, il dialogo con l’interiorità di tutti noi) in grado di racchiudere il senso della vita, gli errori, le cose che non rifaremmo, quello che non abbiamo saputo spiegare. Quello che avremmo voluto e ciò che abbiamo meritato di ottenere.

La vita che vorrei, insomma. Ma non soltanto un curiosare nell’anima di uno psicoterapeuta, piuttosto un parlarsi a cuore aperto.

Come, forse, non abbiamo fatto mai.

Vado così. 

Mi trascina la forza della vita. Ma non in maniera indiscriminata. Io non la amo in quanto tale ma, piuttosto, per ciò che mi può dare attraverso l’impegno senza sosta.

Io non cerco, sempre, le strade migliori ma, sicuramente, quelle chiare: semplici come una goccia d’acqua che ti sorride e complesse come il bisogno di capire cosa c’è al di là. 

Quelle che vale la pena di percorrere.

Ho attraversato corsie, veloci nastri d’asfalto, ho cercato il brivido delle accelerazioni lineari per continuare, anche contro le sponde d’angolo. 

Oggi ho voglia di fermarmi. Almeno per un po’. Per capire, comprendermi, accudirmi. E ripartire.

Dico di si, ma non assecondo: capisco e rispetto.

Ho scelto una professione che ha finito per essere il “mio” modo di essere.

Preferisco decidere da che parte stare, senza aspettare che mi venga indicato. Non chino la testa. No. Meglio lottare per sapere qual è il mondo per cui vale la pena morire!

A volte, un pensiero si fa strada. Non posso rimandare.

Mi tuffo nell’archivio della mia coscienza a caccia di sentenze da riconsiderare, ragnatele di ricordi da non spolverare, mille idee chiuse a chiave in un cassetto. 

Cerco il mio sguardo profondo, senza tarli a fare il nido ma foto di bambini che sfogliano pagine d’inverno.

In fondo, la primavera è solo un capitolo più avanti.

In apparenza sono più arido, rispetto a prima. In realtà, ho giustamente pagato per tutto quello che ha fatto soffrire chi mi ha amato. Ironia della sorte, per troppo attaccamento, da parte mia. Ora, non voglio più commettere gli stessi reati emotivi. 

E preferisco il silenzio.

Non temo il tempo che scivola su di me, quanto, piuttosto, gli sguardi vuoti e i silenzi di chi si è arreso troppo facilmente. Questo, non lo posso accettare. A quel punto, meglio chinarsi in avanti per facilitare l’ineluttabile. 

Mi piace dipingere il sole. Che, in fondo è una stella di fotoni, in grado di spingere il battito del cuore e gli impulsi del cervello. Va bene anche la corrente alternata. Anzi, meglio. 

È forte chi cade… ma si rialza ogni volta.

Amo il blu, come quello del mare (che, poi, è lo stesso del cielo); ho, spesso, scelto il verde, come l’automobile che ho amato di più; in fondo preferisco il rosso, emoglobina: ossigeno propulsivo. Uso il grigio, per un necessario distacco.

Questa è la mia vita, divisa tra le parole degli altri e i pensieri che, come nuvole sospese, diventano frecce infuocate che il vento e la perizia sanno indirizzare.

Mi hanno spiegato che amiamo, veramente, chi ci aiuta a portare a “compimento” il rapporto più controverso che abbiamo vissuto: quello con nostra madre, che si porta dietro un immenso “lutto originario”.

Mi hanno invitato a rimandare il gusto del piacere, posponendolo a quello del dovere che, quindi, perversamente, ha finito per diventare, esso stesso, un piacere. Creandomi una vita di attesa…

Spesso, chi ci vuole bene, ci invita a non demordere nel cercare di realizzare i sogni di quando eravamo bambini. Io credo, invece, che, nel momento in cui riusciamo a vivere nella maniera più giusta e sensata, saranno “quei” sogni a venire verso di noi, così da non doversi più affannare ma, soltanto sederci e assaporare…

E mi sovviene la trama di un bellissimo romanzo di Luciano de Crescenzo…

Zio Cardellino

Parla di un funzionario dell’IBM che, per sfuggire al “padrone”, comincia a cinguettare e, in compagnia di Chicca la piccola nipote, l’unica che lo capisca, spesso “spicca” il volo…

“Zio, dai, raccontami un’altra storia di Fiocco Rosso…”

“E va bene. Dunque, devi sapere che una volta, il cardellino Fiocco Rosso capitò su un’isola bellissima…”

“Era Ischia?”

“No, era un’isola abitata da soli uccelli, dove si viveva molto bene perché c’era da mangiare in abbondanza e perché non c’erano cacciatori. L’unica cosa che non si poteva fare era andarsene via. La regina dell’isola era una grande aquila reale che aveva al suo servizio cento falchi. Questi falchi montavano la guardia, giorno e notte, appollaiati su montagne altissime e, ogni volta che qualche uccello cercava di scappare, gli piombavano addosso…”

“Ma perché gli uccelli volevano scappare se c’era da mangiare in abbondanza?”

“Perché nella vita il mangiare non è tutto e qualche volta si sente anche il bisogno di volarsene via. Comunque un giorno gli uccelli dell’isola decisero di ribellarsi e, insieme, rovesciarono la tirannia”.

“E allora, l’isola divenne ancora più bella?”

“Si, per un po’ di tempo ci fu una certa serenità: i corvi avevano fondato la Repubblica degli Uccelli e tutti erano contenti che non ci fosse più un solo uccello a comandare sugli altri.”

“E Fiocco Rosso?”

“Fiocco Rosso rimase in quell’isola ancora per un anno, poi decise di andar via… sennonché, ogni volta che cercava di allontanarsi, c’era sempre qualcuno che lo convinceva a sacrificarsi per il BENE COLLETTIVO e a rimandare la partenza. Fiocco Rosso, allora, si accorse che anche dalla Repubblica degli Uccelli, non era possibile andarsene via. Si, qualche uccellino aveva cercato di farlo, ma poi, ad un chilometro dalla spiaggia, una voce misteriosa lo aveva convinto a tornare indietro. Una notte, Fiocco Rosso, ascoltò i corvi riuniti in assemblea segreta e si accorse che questi ultimi, avevano costruito intorno all’isola, una gabbia tutta fatta di parole. Quando un uccello si avvicinava alle sbarre, le parole più vicine diventavano udibili e lo dissuadevano dal volare via.”

“E quindi non c’era speranza di libertà?”

“Solo in un punto, i corvi non erano riusciti ad intrecciare fra loro due parole difficili. Per trovare questo punto e scappare, era necessario volare la mattina presto, quando il sole era ancora basso sull’orizzonte. E così Fiocco Rosso, il giorno dopo, all’alba, si mise a volare nella direzione del sole e qui, tra le parole LIBERTA’ e FANTASIA, riuscì a trovare un piccolo buco ed a scappare.”

“Seduta per terra davanti alla porta chiusa a chiave della stanza di zio Luca CARDELLINO, c’era Chicca, in attesa di potere entrare. Elisabetta fu la prima a varcare la soglia e subito si accorse che Luca non c’era più. La finestra aperta… il lucchetto forzato. Tutti i grandi si precipitarono alla finestra per guardare giù in strada. Solo Chicca, alzando lo sguardo verso il cielo, ebbe l’impressione di vedere un uccello volare lentamente nella direzione del sole.”

“Non serve incontrarsi spesso. Basta non perdersi mai” (Cit.)

Questo video riassume, semplificandoli, i contenuti finora espressi, offerti con una delicata base musicale. Buona “degustazione”

Grazie, per avermi accompagnato in questa passeggiata emotiva e arrivederci alla prossima pillola di resilienza

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