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Inizia un percorso fatto di ricordi, sensazioni, riflessioni, stati d’animo di chi ha trascorso gran parte della propria vita accanto a un genio ribelle (e incompreso) del mondo della psicoterapia: Giovanni Russo

Roma 2 Gennaio 2023

Mi presento: mi chiamo Oretta Lanternari, sono nata a Roma e sono laureata in Pedagogia. Ho vissuto una vita molto intensa, soprattutto da quando ho conosciuto mio marito, e per questo voglio raccontare della mia esperienza di vita accanto a lui. Si chiamava Giovanni Russo, era nato a Messina ed era medico psicoterapeuta.

Non svolse mai l’attività medica tradizionale, perché amava di più curare la mente, l’anima, la psiche. Fin da quando era giovinetto, infatti, amava osservare le persone nei loro comportamenti, in tutte le loro sfaccettature ed in tutti i modi in cui si esprimevano.

Scelse quindi la professione di psicoterapeuta, elaborando negli anni una sua teoria ed applicandola nella sua professione.

Lo studio della medicina gli servì principalmente per conoscere il corpo umano nella sua funzionalità anatomo-fisiologica, e cioè come i tessuti, gli organi e gli apparati interagivano fra di loro in relazione all’energia vitale.

La sua intuizione geniale è stata quella di mettere in stretto rapporto l’anatomia e la fisiologia del corpo e l’anatomia e la fisiologia della psiche, creando la mappa della personalità di cui parlerò più avanti.

I suoi studi hanno spaziato in tutti i campi dello scibile umano, compreso il mondo filosofico greco.

Infatti, la sua teoria ingloba in sè tutto lo scibile del suo tempo, così come la filosofia inglobava in sè tutto lo scibile di quei tempi.

All’inizio la filosofia, come speculazione scientifica indagava e rifletteva sia sui fenomeni psichici, che fisici che cosmologici, perché tutto era da scoprire, da costruire, all’inizio si è dunque adottato il metodo globale, poi quello analitico e successivamente quello sintetico.

Il filosofo si occupava anche del trascendente, dell’immanente, del cosmo e dei suoi fenomeni,

quindi della matematica e dell’energia, degli atomi con Democrito e del corpo umano, cioè dell’anatomia e fisiologia, con Ippocrate.

Molto spazio, poi, trovava, all’interno della ricerca filosofica, come accennato sopra, lo studio della psiche o anima, sia con Socrate che con Platone, il quale si occupò anche di come avrebbe dovuto essere organizzato uno stato ideale dal punto di vista politico e sociale.

Infine la filosofia si interessò, attraverso la pedagogia, anche dell’educazione da impartire ai fanciulli. La filosofia, dunque, permeò e fu la base di tutte le discipline del sapere umano da cui si svilupparono i settori delle scienze. 

Su queste basi ha intrapreso le sue ricerche il dott. Giovanni Russo, che prima timidamente, poi   prepotentemente è entrato nel mondo della psicoterapia e delle scuole che ruotavano attorno ad essa. Per elaborare e mettere a punto la mappa della personalità che sta alla base della sua ricerca scientifica, egli ha prodotto una sintesi tra le varie discipline, servendosi quindi della fisica, della chimica, della medicina, della matematica, della psicologia (approfondendo lo studio di autori che avevano sviluppato tecniche di indagini sull’inconscio), della sociologia, della pedagogia, della cosmologia, partendo dall’analisi dell’energia dell’universo di cui, secondo la fisica quantistica,  l’essere umano è espressione.

Vivere accanto a lui, era come stare sul bordo di un cratere di un vulcano attivo, in continua eruzione.. i lapilli erano infatti rappresentati dalle idee che incessantemente elaborava e rielaborava

Non era affatto facile stargli accanto perché il suo umore era molto variabile. Molti dei suoi elaborati li condivideva con me, per verificare se erano chiari e logici, cioè se io in assenza di pregiudizi riuscivo a capire, allora sapeva che era sulla strada giusta.

La teoria della personalità, da lui elaborata ed assemblata, nel mondo scientifico fu considerata innovativa ma allo stesso tempo fu rifiutata perché non corredata da una bibliografia esaustiva. Per questi motivi, l’ho considerato un genio ribelle e incompreso, anche perché non voleva sottostare alle leggi che regolano le produzioni scientifiche.

Nel 1979 nacque nostro figlio Giuseppe. La sua nascita fu preceduta da un intenso studio da parte di mio marito che mi propose di approfondire, durante la gravidanza, alcuni libri sull’arte di partorire del dott. Frederic Leboyer, ginecologo e ostetrico francese, ideatore, del così detto “parto dolce o parto senza violenza”, nel rispetto dei cinque sensi.

Lo trovai interessante ed entrambi decidemmo di studiare i suoi testi per poi mettere in pratica i suoi insegnamenti al momento della sua nascita. Ma Giovanni non era ancora soddisfatto del tutto, infatti per lui era importante anche “la gestazione” cioè come prepararmi all’evento.

Questo comportò che approfondii ed applicai nella pratica il metodo di auto ipnosi chiamato training autogeno che attribuiva un ruolo fondamentale alla respirazione. Questo metodo fu ideato dal dottor Schultz Johannes Heinrich psichiatra psicoterapeuta tedesco.

Gli esercizi di cui si componeva questa metodologia avevano lo scopo di creare uno stato di rilassamento al momento del parto. Inoltre, per mettere in pratica il metodo Leboyer, era necessario accordarsi con il ginecologo che avevamo scelto, amico di mio marito, al fine di stabilire che in sala parto ci sarebbero stati soltanto il ginecologo, l’ostetrica e Giovanni. Avevamo previsto ogni cosa, dalle sollecitazioni fatte con pacatezza senza agitazione, alla lampada scialitica accesa, fino a poco prima di vedere la testa del nascituro e poi spenta al momento della nascita, in modo, secondo le teorie del dott. Leboyer, da non disturbare con troppa luce il neonato.

Una volta venuto fuori dal grembo materno, a nostro figlio non è stata riservata la solita procedura in uso negli ospedali, non è stato, infatti, preso per i piedi e messo a testa in giù, con la fatidica sculacciata per assicurarsi della sua vitalità, ma è stato poggiato sul mio ventre per permettergli di sentire ancora il mio battito cardiaco a lui familiare, il mio odore e il mio respiro, mentre io e suo padre lo accarezzavamo. Anche il cordone ombelicale, diversamente da come avviene di solito, non è stato subito reciso in modo da permettergli di respirare contemporaneamente, sia attraverso i suoi polmoni, e sia tramite il cordone che lo legava ancora a me. Tutto questo nel rispetto del principio di “nascita senza violenza”, perchè l’ossigeno immesso tutto insieme, dopo il taglio del cordone può bruciare i polmoni. Il successivo passaggio è stato quello di non farlo toccare da nessuno, con ancora la vernice caseosa addosso, tale vernice riveste il feto nell’utero per proteggerlo dal continuo contatto col liquido amniotico, che altrimenti potrebbe macerargli la pelle.

Giuseppe (questo il nome che mettemmo a nostro figlio), fu avvolto in teli di garza sterili (che io ancora conservo) e condotto, tra le mie braccia, nella nostra camera della clinica “Villa Bianca”. La prima notte di vita di nostro figlio trascorse tranquillamente, dormimmo tutti e tre l’uno accanto all’altro e soltanto il mattino dopo, io e suo padre gli facemmo il primo bagnetto e, anche in questo caso, accadde una cosa insolita: Giuseppe non pianse.

Oretta Lanternari – Pedagogista

Adattamento del testo: Mariella Cipparrone

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