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E senza riconoscere le parole, mi sforzo di immaginare l’istante che le ha viste nascere.

Le domande assalgono la mente in una catena di provocazione fatta per sollecitare la rabbia, senza dare il tempo di racimolare le risposte.

Non riesco a dare un significato alla rigidità dei comportamenti dettati forse solo da un problema irrisolto con se stessi. È nella natura dell’uomo scaricare senza curarsi troppo del contorno, trasmettendo freddezza e incomprensione, concentrandosi molto sulla inutilità di alcune difficoltà e schiacciando un po’ chi ti sta di fronte. E qui le cose sono due: o ti ritrovi investito da questa ondata di aggressività e se hai poca pazienza per ristabilire l’accento finisci per subire, oppure te ne infischi e cerchi l’attimo giusto per fuggire, rimodulando il tuo tempo proiettandolo nel futuro. Personalmente cerco di tendere verso questa seconda possibilità. Ma non è facile.

 È una sensazione fastidiosa quella di percepire l’atmosfera tesa volta alla compassione, ma non quella spontanea dettata dalla limpidezza dei sentimenti, quanto quella che cela una incomprensione ormai radicata e che necessita scuotimento, fino a denudarla per poterla poi finalmente ricoprire.

 Assecondo la mia capacità di voler ascoltare e, proiettandomi in una dimensione che non mi appartiene, provo a cercare delle similitudini, le analogie.

 Mi tornano immediatamente in mente le proporzioni. In senso matematico descrivono una relazione. Quindi il significato è immenso, profondo: due numeri, anzi quattro separati da un po’ di punteggiatura. Mi viene così molto più semplice, invece che stare a trovare le parole, scritte o animate dalla voce.

 

Mi rileggo e non mi riconosco, ripenso alla riva del mare da lontano, strizzo gli occhi per cercare quello che viene ad essere violentemente risucchiato dalla prepotenza delle onde celesti, che inviano la schiuma bianca a raggiungere senza chiedere. Un senso di angoscia mi sveglia nel cuore della notte, la finestra sui sogni si spegne e rimane il triste ricordo di un’ombra che non c’è più. Ma non è solo un’ombra, è molto di più…

 Cerco una spiegazione ad un’assenza, una motivazione che tranquillizzi la mia posizione, difficilmente riesco però a districarmi. Finisco per cadere e mi sento intrappolata, nelle mie stesse parole. Non è ancora giunto il tempo. Ripeto e rileggo la pazienza.

 Ritaglio un angolo di tempo in uno sprazzo di momento da gustare e provando ad estraniarmi da me stessa rifletto su quello che ha viaggiato fra le pagine dei miei ultimi anni. Non c’è alcun dubbio, rivedo fra le righe la chiarezza. E mi sorprendo…

 Il coraggio dei sentimenti prevale e non si nasconde. Ne sono fiera, a voce alta ho comunicato il pensiero più nascosto, ho mostrato il triangolo più acuto, quello dagli angoli non smussati. È come sempre una questione di logica e matematica. La proporzione: relazione fra quattro termini, in modo che fra il primo e il secondo vi sia un rapporto pari a quello fra il terzo e il quarto (De Mauro, dizionario della lingua italiana). Immaginare sulla molecola della vita equivale a riflettere sull’anima.

 E così sfogliando nelle pagine colorate la ritrovo. L’anima raccontata all’inizio, quando lentamente si prendeva consapevolezza del piacere di gustare il freddo dell’autunno, nelle serate che volgevano alla notte fatta di sole righe con la penna fra le mani, alla ricerca di un qualcosa da comunicare e trasmettere.

 La comprensione del legame è ancora un po’ lontana, si intravede però all’orizzonte una prima netta linea che demarca il confine, ma non per questo non ne consente la sfumatura. Un colore dentro l’altro, un pensiero che si unisce ad un istante, un sogno che raggiunge l’infinito. Chi conduce come sempre è nell’interno, nella parte più nascosta, piccola, protetta dal veloce moto che descrive una traiettoria curvilinea e per nulla disorganizzata. Non è necessario dimostrarlo, importante è immaginarlo…

Fernanda 30 aprile 2009