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26 marzo 2022, 02 Arena di Londra, ore 21.00: uno stanco signore, avanti negli anni, si trascina sul palco fino a sedersi, sfinito, su una sedia appositamente collocata.

“Questa è la mia ultima comparsa in pubblico. Le mie condizioni di salute non mi consentono più di continuare ad essere con voi. Mi dispiace…”

Una leggenda vivente della musica contemporanea, Phil Collins (nato insieme ai Genesis ma capace di brillare anche da solo, nel firmamento dei Grandi), sceglie un brano malinconico per salutare il suo “mondo” oltre che il suo pubblico: “You Know What I Mean” (Tu sai cosa voglio dire).

Inserito nel suo primo album da solista, nel 1981, invia il dolore della separazione da sua moglie Andrea Bertorelli.

Non si può in nessun modo spiegare l’amore. Si può solo conservarne il mistero (Novalis)

“Proprio quando pensavo di farcela, sei tornata nella mia vita proprio come se non te ne fossi mai andata… Proprio ora che, avevo imparato a stare da solo… Vai via, lasciami in pace con i miei sogni: Hai già preso tutto il resto, sai cosa voglio dire…”

Cari Lettori, dal punto di vista psicoanalitico, un simile testo (anche se, in realtà, è solo una sintesi) lascia trasparire un modello di attaccamento “insicuro – ambivalente” con un’angoscia di base abbandonica, un Fantasma originario “seduttivo abbandonico” per via di un oggetto non introiettato correttamente.

Che, poi, è come dire: un adulto che porta in sé il bambino addolorato dalle lusinghe di una madre che non c’è mai stata nei momenti importanti, lasciando spazio allo sconforto, all’insicurezza e al bisogno di credere nell’amore di qualcuno, pur sapendo di restare, nuovamente, delusi.

Il dolce e l’amaro dell’Amore

Il senso di ciò che siamo e dell’importanza della nostra presenza, ci viene direttamente dai primi istanti di vita, quando percepiamo (presumibilmente in maniera inconsapevole) l’abbraccio delle morbide curve intrauterine e il fluttuare nelle calme acque del liquido amniotico per, poi, incontrare gli occhi e le mani della propria Madre del cui ricordo ancestrale non riusciremo più a fare a meno.

Non solo…

Guarderemo anche con sospetto chiunque riterremo capace di portarci via il dono del narcisismo che è conseguito a questi primi, fondamentali, istanti.

“L’inconscio di una persona è proiettato su un’altra persona, così che la prima accusa la seconda, di ciò che trascura in se stessa. Questo principio è di una validità talmente generale e allarmante che ognuno farebbe bene, prima di prendersela con gli altri, a mettersi a sedere e considerare molto attentamente se il mattone non dovrebbe essere gettato sulla propria testa”. (C.G.Jung – Civiltà in transizione, Opere Vol. 1)

Partendo da questo assunto e considerando quanto esposto qualche rigo più sopra, non è più tanto strano che, in nome dell’Amore, siano state commesse azioni più che riprovevoli, da Caino e Abele ad Elena di Troia, a Romolo e Remo, Antonio e Cleopatra, Giuda e tutti quelli che la Storia e la leggenda tramandano…

In sostanza, infinite sfaccettature di Amore “sano” e Amore “malato” come specchio di una Società fatta di tanti “bambini” più o meno disponibili a “crescere”.

Un uomo e i suoi più cari amici, un cavallo e un cane, vengono colpiti da un fulmine mentre camminano, lungo un viale alberato. Non rendendosi conto di essere passati “a miglior vita”, continuando il percorso avvertono stanchezza e sete…

Subito dopo una curva, intravedono una piazza pavimentata con blocchi d’oro con, al centro, una magnifica fontana:

“Buongiorno”
“Buongiorno”

“Che luogo è mai questo, così affascinante?”

“È il cielo”

“Che bello essere arrivati in cielo, abbiamo tanta sete!”

“Puoi entrare e bere a volontà”.

“Anche il mio cavallo e il mio cane hanno sete”.

“Mi dispiace molto ma, qui, non è permesso l’entrata agli animali”.

“Grazie, preferisco rinunciare”

Continuando il cammino, giungono ad una radura circondata da alberi. All’ombra di uno di essi, un uomo addormentato.

“Buongiorno”

L’uomo risponde con un cenno del capo.

“Io, il mio cavallo e il mio cane abbiamo molta sete”.

“C’è una fonte fra quei massi, potete bere a volontà”.

“Grazie, signore, come si chiama questo posto?”

“Cielo”
“Cielo? Ma non era il posto dove, prima, mi hanno impedito di portare dentro anche i miei amici a quattro zampe?”   

“Quello non è il cielo, è l’inferno”.

“Ma… dovreste proibirgli di utilizzare il vostro nome! Di certo, questa falsa informazione causa grandi confusioni!”

“Assolutamente no. In realtà, ci fanno un grande favore. Perché là si fermano tutti quelli che non esitano ad abbandonare i loro migliori amici…”

(Paolo Cohelo – Il Diavolo e la Signorina Primm)

Cari Lettori, sul tema dell’Amore, la poesia, in quanto ad educazione sentimentale, anticipa anche la psicoanalisi. Stendhal o Proust basterebbero a testimoniarlo.

Ma, come sempre per la civiltà occidentale, tutto nasce coi Greci.

Nel Simposio di Platone (uno dei vertici della nostra cultura), quando è il suo turno di parlare, Aristofane dice: “Un tempo gli uomini erano esseri perfetti, non mancavano di nulla, e non v’era distinzione tra uomo e donna. Ma Zeus, invidioso di tale perfezione, li spaccò in due. Da allora, ognuno di noi è in perenne ricerca della propria metà, trovando la quale finalmente torna all’antica perfezione”.

Avendo certo presente ciò, Carl Gustav Jung (parlando dell’amore) afferma che noi siamo interiormente divisi, ed è per questo motivo che siamo alla continua ricerca di Amore, dell’altra metà della nostra mela.

L’amore, egli scrive, è il movimento psichico che unisce due persone, creando una terza forza: la Relazione.

Attraverso l’Amore, possiamo conoscere noi stessi, l’altro e il mondo.

Freud, dal suo punto di vista, è dell’idea che l’amore deriva direttamente dalla pulsione libidica sessuale (intesa come spinta ad andare incontro alla vita e che si contrappone con la spinta a “morire” per, poi, ritentare con una nuova “avventura”) e finisce con l’estinzione di essa. Sopravvive solo quando la sessualità è “sublimata” (cioè controllata) e il rapporto si empie di fattori estrinseci: gli affetti, l’aiuto reciproco, la stima.

Per Lacan, l’amore – quello corrisposto, quello che fa sì che l’amante sia anche l’amato – permette il rapporto tra soggetti.

Si ama l’eterogeneità radicale dell’Altro, l’altro in quanto Altro. Al di là delle qualità che possiede, semplicemente per se stesso.

Certo non tutto è rose e fiori. Sappiamo bene come un’armonia mirabilmente costruita può disfarsi per un nonnulla. La nostra cultura, al riguardo, di solito registra i fallimenti e analizza impietosamente delusioni e sconfitte.

Si tende anche a dissimulare il dolore e a soffrire “dentro”.

Nell’arte del Kintsugi, invece, le ferite non vengono occultate, riparate, ricucite, ma esibite, dipinte di oro, messe in valore.

Il perdono, in tale ambito, trasforma le ferite del tradimento in pittura d’oro, trasforma la cicatrice del trauma in una poesia.

Amore, in fondo, è autentica poesia.

Peter Handke scrive :

Il canto della durata è una poesia d’amore. Parla di un amore al primo sguardo, seguito da  numerosi altri primi sguardi.

I problemi del nostro tempo, ci ricorda Recalcati, sono legati anche al nostro attaccamento agli oggetti: uno schermo, una tastiera, una realtà virtuale.

In questo senso, il nostro tempo, privilegiando il consumo autistico degli oggetti, é un tempo ostile all’amore e al suo evento.

La strada, per venirne fuori

In ognuno di noi esiste una specie di “codice sorgente” non dissimile a quello che rende “vivi” quei device chiamati computer.

In quanto espressione senziente di quella polvere di stelle che, alla stregua della lava raffreddata, crea nuova vita portiamo, in noi, la Storia dell’Universo e il mistero di quello che dovrà ancora accadere.

Si tratta, semmai, di contattarlo, attraverso la via dell’introspezione. Senza queste “Verità” la vita diventa un breve percorso che si svolge sotto l’incubo della morte. Nell’attesa di imparare a “guardarci dentro”, la Natura (magnanima) ci fornisce “segmenti” di abilità attraverso la capacità di adoperarsi nella ricerca del Piacere perduto, attraverso la ricerca delle attenzioni altrui, l’applicarsi in un lavoro,  la cura delle malattie, il dono dell’Amicizia…

Da tutto ciò (e dai sentimenti che ne scaturiscono) promana il senso che sostiene gli attimi del tempo che ci separa dalla “Fine”.

“Compresi i soprusi che la mia famiglia mi aveva fatto subire. Vidi con esattezza la struttura dell’inganno.

Mi attribuivano la colpa di ogni ferita che mi avevano inferto. Il boia non smette mai di proclamarsi vittima. I miei genitori sapevano che cosa stavano commettendo?

Assolutamente no. Senza volerlo, facevano a me quello che era stato fatto a loro. E così, reiterando di generazione in generazione i misfatti emozionali, l’albero di famiglia continuava ad accumulare una sofferenza che durava da parecchi secoli.

Le sofferenze familiari, come gli anelli di una catena, si ripetono di generazione in generazione finché un discendente acquista consapevolezza e trasforma la sua maledizione in una benedizione”. (Alejandro Jodorowsky)

Cari Lettori, all’inizio di questo editoriale abbiamo usato il termine “introiezione dell’oggetto” per indicare la necessità di inglobare, in noi, la forte immagine della Madre (e di tutti i componenti familiari significativi) come figura costante in grado di solidificare le fondamenta interiori e capace di renderci autonomi dal bisogno di dipendenza affettiva ed emotiva in genere.

Il bisogno di credere nella presenza di un Dio che ci protegga da ogni avversità

Qualcuno ha scritto che la verità è solo nel nostro sguardo…

Immaginiamo le emozioni contrastanti dei soccorritori che, tra le rovine di un edificio a Jandairis, città della Siria duramente colpita dal terremoto hanno scoperto una neonata viva, sotto le macerie, ancora legata dal cordone ombelicale alla madre deceduta. La bambina è l’unica sopravvissuta di una famiglia dopo il crollo di un palazzo di quattro piani.

La vita, oltre la morte. Il filo d’erba, dalla cenere di una foresta…

Ecco, “aprire gli occhi” a ciò di cui siamo capaci, come creature dell’Universo, è l’unica via che ci consente di scoprire Dio, dentro di Noi. Per poter ricominciare, tracciando nuove strade di Vita e di Amore.

Cari Lettori, immaginiamo di poter parlare a un figlio (vicino o lontano che sia)… Probabilmente gli descriveremmo il rimpianto di ciò che non è stato ma che sarebbe stato possibile, di un’altra vita vissuta, di un amore che ci ha sfiorato senza fermarsi… di questa immagine sfocata, allo specchio, per un “tu” che non ha incontrato il “noi”… della voglia di poter essere, ancora una volta, con lui a indicargli la strada senza costringerlo, ad esserci senza imporci.

Ad Amarlo, insomma, in nome dell’Amore.

Father to son

Somewhere down the road, you’re gonna find a place
(Da qualche parte lungo la strada, troverai un posto)
It seems so far, but it never is
(Sembra così lontano, ma non lo è mai)
You won’t need to stay, but you might lose your strength
(Non avrai bisogno di rimanere, ma potresti perdere la tua forza)
On the way
(Sulla strada)
Sometimes you may feel you’re the only one
(A volte potresti sentire di essere l’unico)
Cos all the things you thought were safe, now they’re gone
(Perchè tutte le cose che si pensava fossero al sicuro, adesso non ci sono più)
But you won’t be alone, I’ll be here to carry you along
(Ma non sarai solo, io sarò qui per portarti avanti)
Watching you ’til all your work is done
(Ti osservo finchè il tuo accrescimento non sarà finito)
When you find your heart, you’d better run with it
(Quando trovi il tuo cuore, faresti meglio a correre a con esso)
Because When she comes along, she could be breaking it
(Perchè quando lei arriva, lei potrebbe romperlo)
No there’s nothing wrong, you’re learning to be strong
(No non c’è niente di sbagliato, stai imparando ad essere forte)
Don’t look back
(Non guardare indietro)
She may soon be gone, no don’t look back
(Lei potrebbe presto andarsene, no non guardare indietro)
She’s not the only one, remember that
(Lei non è l’unica, ricorda questo)
If your heart is beating fast, then you know she’s right
(Se il tuo cuore batte forte, allora sai che ha ragione)
If you don’t know what to say, well, that’s all right
(Se non sai cosa dire, bene, va tutto bene)
You don’t know what to do?
(Non sai cosa fare?)
Remember she is just as scared as you
(Ricorda che lei è spaventata quanto te)
Don’t be shy, even when it hurts to say
(Non essere timido, anche quando fa male a dirlo)
Remember, you’re gonna get hurt someday, anyway
(Ricorda, ti farai male un giorno, comunque)
Then you must lift your head, keep it there
(Poi è necessario alzare la testa, e tenerla lì)
Remember what I said
(Ricorda cosa ho detto)
I’ll always be with you don’t forget
(Io sarò sempre con te non dimenticare)
Just look over your shoulder I’ll be there.
(Basta guardare oltre la tua spalla, io ci sarò.)
If you look behind you, I will be there
(Se guardi dietro di te, io ci sarò)

“Nessuno nasce odiando i propri simili a causa della razza, della religione o della classe alla quale appartengono. Gli uomini imparano a odiare, e se possono imparare a odiare, possono anche imparare ad amare, perché l’amore, per il cuore umano, è più naturale dell’odio”. (Nelson Mandela)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento affettuoso ad Amedeo Occhiuto per la collaborazione offerta 

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