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Questo articolo è stato pubblicato, per la prima volta, il primo maggio 2007. A distanza di tempo si è ritenuto utile riproporlo co considerevoli arricchimenti, anche per meglio capire un fenomeno in preoccupante ascesa.

BUONA LETTURA

INDICE

“Spesso è da forte, più che il morire, il vivere” (Vittorio Alfieri).

La bellissima immagine proposta come illustrazione dell’articolo (tratta dal film “Il monello”, prodotto, diretto e intepretato da Charlie Chaplin nel 1921) basterebbe da sola, a spiegare, se socchiudessimo gli occhi e contattassimo la nostra interiorità più profonda (quella dove albergano i ricordi di quando, bambini abbiamo tentato di vincere la paura dell’abbandono con la maschera di un lupo cattivo, una volta divenuti adulti ma rimasti immaturi…), il concetto di angoscia:

  • nel momento in cui capiamo di doverci assoggettare anche a quello che non ci piace ma che, in fondo, non potrebbbe essere diverso (e si chiama ANGOSCIA DI CASTRAZIONE);
  • ogni volta che sentiamo il peso di ritrovarci da soli e non siamo preparati ( e prende il nome di ANGOSCIA ABBANDONICA);
  • allorquando avvertiamo la paura di non potercela fare e ci sentiamo “persi” oltre ogni limite (e gli esperti la chiamano ANGOSCIA DI FRAMMENTAZIONE).

Il mio pianto è un grido dell’anima che spezza le vene e altera i sensi… un pianto dignitoso che soffoca i pensieri. Non riesci più a capire chi sei… Vivi ore in un oblio di niente, sconfortato dal tutto che è al di là di una porta aperta e inattraversabile… Un sibilo ti spezza le orecchie: è un suono leggero per chi ascolta da fuori ma, dentro, è come un urlo che rimbomba nel cuore. Questo è il pianto di chi è solo, con la testa sotto il cuscino, senza incrociare con gli occhi la finestra… strane idee mi girano da troppe ore per la testa .

Non è il prologo malinconico di un “esteta” crepuscolare. Questa è realtà, signori. Dalla pagina del diario di uno studente vittima di soprusi che i più chiamano “bullismo”.

BULLO

Questo termine deriva dall’olandese Boel (che significa “fratello”) e, successivamente, trasformatosi in “Bully” (“tesoro”) che, in origine, connotava le buone qualità di un individuo.

Da ciò ricaviamo che, all’origine non aveva un’accezione negativa e che, da originario sinonimo di “bravo ragazzo”, ha finito con l’identificare il “molestatore di deboli”.

Infatti, secondo i dizionari della lingua italiana, il bullismo consiste in “attività svolta da chi, benchè giovane o giovanissimo, con estrema e disumana cattiveria si diverte a bersagliare solo vittime percepite come incapaci di difendersi adeguatamente, camuffando la propria essenziale vigliaccheria, in apparente forza e prepotenza”.

Sostanzialmente, quello che accade, è descritto in ciò che la psicoanalista Melanie Klein (ma non solo lei) chiamava “Identificazione proiettiva” e “spostamento”. In pratica, dei meccanismi di difesa dell’Io (l‘interiorità, la propria identità) che, in maniera del tutto inconsapevole (e che, quindi, sfuggono al controllo cosciente), fanno vedere nell’altro aspetti della propria personalità e spostano sulla “vittima”, elementi ritenuti inaccettabili del proprio modo di essere.

In questo caso, il bullo ritrova nell’altro aspetti di sé che odia profondamente e, quindi, con il sopruso e l’annichilimento altrui, è come se annullasse (e/o punisse) questi elementi caratteriali che non accetta. Di tutto questo, ne è inconsapevole

Seduti uno di fronte all’altro. In fondo sanno di essere dei “prigionieri” ma guardano dritto, con aria di sfida: le pupille incrociano i guantoni senza mostrare il più piccolo cedimento. Una goccia. È un attimo, un solo momento. Tanto basta per accorgersi, a chi sa e vuole osservare, che lo specchio d’acqua in cui riflettono il proprio passato, fa fatica a sbiadire l’immagine di una casa ancora in costruzione.

Perché non hai paura?”

“Perché il coraggio lo mostri quando la tua casa senza ferro e cemento affronta la tempesta perfetta. Quella in cui capisci che, dopo, nulla sarà più come prima”.

In gruppo, il bullo cammina che sembra un uomo ma, a guardarlo bene… niente di più “che un grissino che si spezza al primo imbocco” (V. Andraous).

È importante considerare che il cervello raggiunge la sua completa maturazione solo intorno ai vent’anni.

QUESTIONE D’ETÀ.

Lo psicoanalista Andrè Green (allievo di Jaques Lacan) nel 1991 ha spiegato che una condizione carenziale di cure genitoriali (soprattutto materne), non consente di interiorizzare la capacità di modulare le proprie emozioni (in particolar modo quelle aggressive) che, a quel punto disregolate, si possono esprimere (a seconda del modello di apprendimento e del contesto storico/ geografico) in specifici comportamenti antisociali o acting-out (abuso di alcol e droghe; disturbi comportamentali, etc.) e/o acting-in (psicosomatosi anche gravi). Non riuscendo ad elaborare mentalmente le proprie emozioni, si può “urlare” attraverso il disturbo psicosomatico e/o i dis-comportamenti

DAL PUNTO DI VISTA PSICONEUROLOGICO

L’irresponsabilità nel gestire i propri comportamenti dipende anche da una carente maturazione della corteccia cerebrale. Infatti, ogniqualvolta “l’adolescente”, reagisce in maniera aggressiva perché non sa prendere le decisioni più giuste, una porzione della zona responsabile dei processi decisionali, lavora molto più intensamente rispetto alla stessa regione degli adulti che si trovano ad affrontare circostanze simili. Il cervello degli adolescenti, inoltre, fa meno uso di altre aree del cervello che potrebbero essere d’aiuto. In condizioni di forte stress, dunque, potrebbero reagire in maniera meno efficace rispetto agli adulti. I processi cerebrali che governano il controllo cognitivo del comportamento delle persone sotto ai vent’anni, secondo queste acquisizioni scientifiche, non sono ancora maturi. E, se aggiungiamo qualche fattore di condizionamento di iposviluppo (tipo la necessità di dover mostrare un esercizio di potere) a complicare la situazione, ecco che, a certe condizioni, ci si può trasformarsi in una bomba a orologeria.

Due cose mi hanno sempre sorpreso: l’intelligenza degli animali e la bestialità degli uomini”(Tristan Bernard)

DIFFICOLTÀ DI AUTOCONTROLLO.

La Psicoanalista Melanie Klein attraverso la simbologia della “Triade” scissione – introiezione – proiezione ha spiegato che ogni bambino, fin dalla nascita, vive una sorta di conflittualità tra la voglia di vivere e quella di tornae da dove è venuto (pulsione di vita e pulsione di morte). L’angoscia provocata dalla pulsione di morte viene separata dalla pulsione di vita (scissione) e proiettata su elementi esterni (proiezione sull’oggetto), mentre la pulsione di vita invece viene riferita a sé (introiezione). Questa dinamica sta alla base dell’Io buono e dell’Io cattivo e porta a quella che Klein chiama “posizione schizoparanoide”.

Sul piano delle neuroscienze, come evidenziano recenti studi, le differenze nella corteccia prefrontale, l’area del cervello responsabile del comportamento volontario, potrebbero costituire una delle più importanti distinzioni tra adolescenti e adulti. Beatriz Luna, direttrice del laboratorio di sviluppo neurocognitivo dell’Università di Pittsburgh, ha accertato queste differenze osservando il cervello di giovani e meno giovani con la risonanza magnetica funzionale, durante alcuni test sul sistema motorio. La professoressa Luna ha scoperto che i teen-ager utilizzano maggiori risorse ricavate dalla corteccia prefrontale rispetto agli adulti. In effetti la porzione di corteccia prefrontale utilizzata è simile a quella usata dal cervello di un adulto nell’esecuzione di un compito molto più complesso. Dov’è il problema? Un affidamento eccessivo su questa regione, sottolinea la ricercatrice, può indurre all’errore, soprattutto quando le difficoltà aumentano.

Essere adulti, non significa, necessariamente, essere felici ma anche saper rinunciare quando occorre rinunciare, saper soffrire quando tocca di soffrire… e, soprattutto, continuare a lavorare e a darsi da fare, sempre e comunque (Cit.)

MA COS’È IL BULLISMO O “MOBBING IN ETÀ EVOLUTIVA”?

Come spiegato già prima, con questo termine di (relativa) nuova generazione si vuole indicare un fenomeno sociale, in continua ascesa, che fa riferimento ad episodi di violenza a scuola (ma non solo) generalmente nel periodo adolescenziale e preadolescenziale, caratterizzati da atti vandalici e aggressioni, ma anche da abuso di alcool e altre sostanze stupefacenti, con riflessi evidenti all’interno della famiglia e, più in generale del comparto di appartenenza (ambiente in cui si vive).

LE RAGIONI DELL’IMPULSIVITÀ.

In sostanza, gli adulti ricorrono ad altre parti del cervello per distribuire in modo migliore il carico di lavoro. Quindi se succede qualcosa di imprevisto in una situazione stressante, un adolescente potrebbe esaurire le proprie risorse della corteccia prefrontale. Un adulto che riesca a mantenere adeguatamente il proprio sangue freddo, invece, ha un’autonomia e un’efficienza di gran lunga maggiore. Questo è uno dei motivi che spiega perché gli adolescenti mostrano un comportamento impulsivo.

A volte, l’uomo è il peggior nemico di sé stesso (Cicerone).

MATURAZIONE PROGRESSIVA…

La mancanza di integrazione tra le strutture cerebrali è stata rilevata anche da Susan Tapert, docente di psichiatria all’Università della California a San Diego, che ha condotto ricerche sulla memoria di lavoro spazio temporale nella prima e nella tarda adolescenza. La Tapert pensa che gli adolescenti più maturi mettano al lavoro un numero minore di neuroni e impieghino strategie diverse per eseguire lo stesso compito. Comunque, soltanto alla fine dell’adolescenza, la memoria di lavoro spazio temporale è distribuita efficacemente tra le diverse regioni del cervello. Jay N. Giedd , psichiatra infantile del National Institut of Mental Health, ha dimostrato che una particolare porzione di corteccia cerebrale (quella prefrontale dorsolaterale) importante nel controllo degli impulsi, è soggetta ad un’eliminazione di collegamenti superflui tra neuroni. La conseguenza di questo fenomeno è una più efficace trasmissione degli impulsi nervosi.

L’infanzia è, spesso, una condizione stressante cui si può rimediare solo crescendo (Gabriel Mandel).

SFOLTIRE PER “CRESCERE” ? FONDAMENTI ANATOMOFISIOLOGICI DELL’AGGRESSIVITÀ.

Questo “sfoltimento”, secondo i ricercatori, costituisce la base di un meccanismo fondamentale della maturazione del cervello in quanto aumenta l‘efficacia elaborativa in termini di velocità e qualità. Poiché agli adolescenti risulta più difficile eseguire compiti che richiedono un controllo volontario, potrebbero essere più propensi a prendere decisioni sbagliate.

Alcuni neuroscienziati ritengono che, durante questo processo, si potrebbero determinare delle anomalie di funzionamenti relative alla corteccia prefrontale che si rifletterebbero sul comportamento di alcuni individui , rendendo loro più difficile il controllo degli impulsi .Alcuni scienziati ipotizzano che la corteccia orbitofrontale , un’area coinvolta nei processi decisionali , inibisca il sistema limbico , in particolare l’ipotalamo e l’amigdala , da cui hanno origine la paura e l’aggressività. Se un problema blocca la comunicazione tra queste due aree del cervello , una persona potrebbe diventare incapace di moderare le proprie reazioni emotive. Anche le alterazioni dell’ippocampo possono danneggiare l’elaborazione delle informazioni emotive; in alcuni casi, un cattivo funzionamento dell’amigdala potrebbe dare origine a comportamenti violenti. Questa ipotesi spiegherebbe la mancanza di paura e l’assenza di rimorso che caratterizza i criminali in grado di pianificare i loro delitti e di commetterli a sangue freddo .

C’è, poi, da aggiungere che, fina dalla più tenera età (come riportato dai grandi autori della psicodinamica), una condizione carenziale di cure materne, non consente di interiorizzare la capacità di modulare le proprie emozioni che, a quel punto disregolate, si possono esprimere (a seconda del modello di apprendimento e del contesto storico/ geografico) in specifici  acting-out (abuso di alcol e droghe; disturbi comportamentali, etc.) e/o acting-in (psicosomatosi anche gravi).

LO SVILUPPO DEL CERVELLO

Per riprodurre la sequenza dello sviluppo anatomico del cervello umano, i ricercatori del National Institut of Mental Health si sono resi conto (mediante esami effettuati con risonanza magnetica) del fatto che le regioni che maturano per ultime (non prima dell’età adulta) sono quelle collegate a funzioni complesse come pianificare, riflettere e controllare gli impulsi.

“Costruisco questa casa Senza tetto e pavimento. Costruisco questa casa senza tetto e fondamento. E ci faccio quattro porte Per i punti cardinali, che ci possa entrare il cane Quando sente i temporali, Quando cambia la stagione. Costruisco questa casa Con il legno e col cartone. Costruisco questa casa. Senza inizio e senza fine; Come il sole a mezzogiorno, quando incendia le colline Costruisco questa casa, Questa casa sul confine E ci pianto quattro spine e quattro rose, che raccontano la vita, che raccontano l’amore Quattro spine e quattro rose Da portare dentro al cuore…” (Francesco de Gregori)

CULTURA O NATURA ?

Però, secondo Robert Epstein, psicologo, professore all’Università della California e fondatore del Cambridge Center for Behavioral Studies, incolpare di ogni cosa negativa il cervello non rende onore al vero, perché è l’ambiente, in buon sostanza (grazie al meccanismo epigenetico), che ne modifica l’evoluzione biologica. Questo si spiega con la valutazione relativa al percorso di crescita che ogni essere umano si trova ad affrontare: autostima corretta, sicurezza interiore e prevalenza di elaborati scevri da inquinamenti aggressivi diventano un assioma consequenziale composto da elementi imprescindibili.

Con la violenza puoi uccidere colui che odi, ma non uccidi l’odio: la violenza aumenta l’odio e nient’altro (Martin Luther King)

LE RAGIONI DELLA VIOLENZA

Perché un essere umano uccide un suo simile per poche decine di Euro? Perché un adolescente si gioca il futuro attuando comportamenti “bestiali”? Il comportamento violento non si può ricondurre ad una singola causa, ma è il risultato di una combinazione di numerosi fattori di rischio, tra cui, una predisposizione familiare (alias l’ambiente in cui ci si trova a crescere) un’infanzia traumatica e altre esperienze negative: questi elementi interagiscono e si rinforzano reciprocamente.

VIOLENZA È “MASCHIO”?

In base a dati puramente statistici, appartenere al sesso maschile, è il più importante fattore di rischio per commettere crimini violenti. Ciò non significa che le donne siano meno aggressive, come si è ritenuto fino agli anni novanta. Il fatto è che le donne prediligono un’aggressività più indiretta e nascosta, mentre gli uomini tendono a una violenza fisica immediata e aperta.

E qui entrano in gioco i ruoli sessuali appresi. In genere si trasmettono messaggi che condizionano la manifestazione della propria aggressività. Ad esempio: “Le ragazze non fanno a botte !”; “Un ragazzo deve sapersi difendere!”

A questo, sommiamo che le strategie aggressive indirette richiedono un livello di intelligenza sociale relativamente alto, che nelle ragazze si sviluppa prima e più in fretta. I rappresentanti del sesso maschile, a partire dall’infanzia e per un certo periodo di tempo, evidenziano, in genere scarsa tolleranza alle frustrazioni, carenze nell’apprendimento delle regole sociali, problemi di attenzione, ridotta capacità di empatia, basso quoziente di intelligenza, e, sopra ogni altra cosa, un’estrema impulsività. Il fatto, però, è considerevolmente legato al “software ambientale” instillato, a prescindere dal sesso!

È sempre il più furbo che, alla fine della corsa, pagherà per tutti invecchiando “dentro”, come il pezzo di carcere che lo ha sepolto… (Vincenzo Andraous).

UNA MISCELA ESPLOSIVA ?

I fattori biologici, dalla predisposizione genetica alle alterazioni strutturali del cervello, sembrano quindi aumentare il rischio di comportamenti violenti in alcuni uomini. Tuttavia, con l’eccezione di lesioni molto gravi e molto precoci, non sono sufficienti a scatenare la violenza. E’ quando si combina con fattori di rischio psicosociali che la predisposizione biologica può diventare una miscela esplosiva, come è stato dimostrato da varie ricerche. Fra questi rischi psicologici figurano carenze gravi della relazione madre – figlio nella prima infanzia, esperienze di maltrattamento e abuso da piccoli, abbandono o presenza saltuaria dei genitori, con conflitti continui nella famiglia, disgregazione del nucleo familiare, criminalità dei genitori, povertà e disoccupazione. La comunicazione intima ed emotiva tra madre e neonato comincia poco dopo la nascita, e i loro comportamentismi rinforzano reciprocamente in senso sia positivo sia negativo. Una relazione problematica può portare con il tempo a gravi disturbi dello sviluppo, fra cui un minore controllo degli impulsi e una ridotta capacità di risoluzione di conflitti, dando l’avvio a un circolo vizioso. Una personalità ricca di elementi positivi (in termini di valori ) può, comunque, aiutare l’adolescente a superare le influenze negative dell’ambiente sociale.

Chi è nell’errore compensa con la violenza ciò che gli manca in verità e forza (Johann Wolfgang von Goethe).

COME CONTROLLARE GLI IMPULSI? IL SEGRETO DELLA NOSTRA MENTE.

La Natura ci ha “plasmato” a propria immagine e somiglianza. Questo vuol dire che siamo, innanzitutto e fondamentalmente, energia (meccanica, cinetica, termica, potenziale, nucleare, elettromagnetica. gravitazionale, etc.). Questa parola, che deriva dal “tardo” latino energîa e, a sua volta, dal greco energheia (usata da Aristotele nel senso di azione efficace), etimologicamente composta dagli elementi en – ergon, identifica la capacità di agire in maniera intensa. In pratica, “visualizza” flussi di microparticelle elementari (elettroni, quark, etc.) che, viaggiando ad altissima velocità “compiono” un lavoro spostando una forza.

Ognuno, quindi si ritrova a gestire un serbatoio potenzialmente immenso di “carburante” che dà, al sistema nervoso, la possibilità di generare impulsi che porteranno a manifestazioni comportamentali che possono orientarsi in maniera costruttiva o distruttiva. La “scintilla” bioelettrica che si propaga lungo neuroni e nevroglia risulta, però, da attivazioni atomiche endonucleari. In pratica, all’interno del DNA delle cellule nervose, esiste un’organizzazione teoricamente perfetta basata su archetipi preistorici (molecole ed atomi) in grado di generare informazioni (nel nucleo degli atomi) in funzione di stimolazioni provenienti dal mondo esterno (trasportate dagli elettroni) che verranno inviate (sempre mediante gli elettroni) a strutture atomiche viciniori per le comparazioni e le valutazioni necessarie che andranno a generare pulsioni subliminali che, propagandosi nel DNA, creeranno il fondamento della depolarizzazione (inversione di segnale elettrico): a quel punto, gli impulsi viaggeranno in determinate zone cerebrali consentendo quel miracolo che si chiama inconscio (quando si ferma nelle zone “profonde”) e che viene alla luce, a determinate condizioni (per il coinvolgimento sincronizzato di corteccia, formazione reticolare mesencefalica, talamo e ippocampo) producendo quello che gli esperti chiamano “la coscienza di esistere”.

Da bambini incidiamo un disco che da adulti continuiamo a sentire. Ma sapevamo incidere dischi, da bambini? (Gabriel Mandel).

Siccome noi siamo il risultato delle dinamiche energetiche conseguenti alle esperienze che creano il database della nostra memoria (grazie alla quale è possibile assemblare idee e concetti), uno sviluppo equilibrato della personalità (inteso come passaggio da “momenti transitori” a “fasi mature”) garantisce approdi verso lidi di autorealizzazione (grazie ad autostima e autoaffermazione) pur partendo da zone d’ombra come quelle minimaliste (identificazione, competizione con gli altri e ambizione scorretta, gregarietà, autoritarismo, ricerca di protezione e sicurezza in funzione di altri, etc.).

Nel 1999, un gruppo di ricerca guidato dallo psicologo e neuroscienziato Ernest S. Barratt, ha intervistato alcuni criminali detenuti nello Stato del Texas , scoprendo che molti erano continuamente coinvolti in risse, anche se ne capivano gli svantaggi e si ripromettevano di controllarsi la volta successiva, in linea di massima non avevano fiducia nelle proprie capacità di controllare i loro impulsi. Alcune ricerche sembrano indicare che una gran parte di questi individui sia vittima di alterazioni fisiologiche sia nel sistema libico che nella corteccia prefrontale (due aree del cervello coinvolte all’origine e nel controllo delle emozioni).

Come dire, il pane buono si produce miscelando con perizia e sapienza, ingredienti semplici quali, ad esempio, farina, sale, acqua e lievito naturale.

Ci hanno imposto dei valori… ma non ci hanno autorizzato a verificare se sono validi o meno (Gabriel Mandel).

ROMANZO CRIMINALE…

“Avrei potuto giocare meglio le mie carte, senza dubbio, e ci sono cose di cui mi vergogno, ma quando mi guardo allo specchio, sono fiero di quello che sono. I tratti del mio carattere che hanno permesso di farmi valere”. Quando scriveva queste parole Edward Bunker era ormai uno scrittore di successo , ma fino a40 anni la sua vita era stata un viavai tra riformatori , istituti psichiatrici e galere . Alle spalle aveva una discreta carriera di criminale : furto , spaccio di stupefacenti , estorsione , traffico d’armi e contraffazione, con ripetuti episodi di violenza. Poi, la svolta. Prima i romanzi (Come una bestia feroce, Little Boy Blue, Cane mangia cane), poi l’autobiografia Educazione di una canaglia e il cinema, recitando in una ventina di film tra cui Le iene, cult movie di Quentin Tarantino. Natura aggressiva, famiglia sfasciata e disagio sociale ne avevano fatto il prototipo del criminale, ma Bunker è la dimostrazione che nessuno è predestinato a una vita violenta.

Il presente è carico del passato ma non necessariamente gravido dell’avvenire (Gottfried Wilhelm von Leibniz)

MA PERCHÉ NASCE IL “BULLISMO”?

Ma cosa spinge alcuni giovani ad instaurare nei confronti di loro coetanei o di ragazzi minori di età comportamenti violenti e marcatamente persecutori? Di certo la voglia di prevaricazione, vissuta come esigenza per controllare la paura dell’altro, considerato un avversario da sconfiggere, anzi se possibile, da abbattere e la necessità di competere e di sfidare l’altro in un gioco al massacro, con l’eliminazione del più “debole”. Subentra, pertanto, l’istinto primordiale di sopraffazione per il timore dell’altro che si placa attraverso il dominio e l’annientamento quanto meno psicologico.

Conclusione: il trionfo delle fasi di immaturità intese, però, come zavorra e non come rodaggio necessario.

Si rende, quindi, necessario invertire la rotta con nuovi messaggi miranti a sottolineare l’importanza di costruire un buon rapporto con sé stessi, rafforzando l’autostima e favorendo il raffronto e non il dominio sull’altro, considerato non più un nemico ma come un occasione di scambio e di arricchimento reciproco.

Un progetto, pertanto, per la lotta e la prevenzione della violenza tra i giovani nelle sue diverse forme e manifestazione non può che passare per l’educazione alla legalità, intesa come allenamento continuo e costante, volto all’osservanza di norme e regole di comportamento che, in generale, devono caratterizzare la vita di relazione e possono essere ben inserite nel contesto scolastico, dove si rende necessario, al di fuori di qualsiasi forma di autoritarismo, il rispetto dei ruoli.

Da qui l’importanza della Scuola nella creazione di una cultura della legalità che non si impara sui libri, ma si coltiva attraverso l’esempio, nelle coscienze. Educare alla legalità, in definitiva, consiste nell’aiutare a mettere in atto le buone inclinazioni dell’animo e la potenza della mente, attraverso regole che disciplinano il comportamento in funzione della pubblica utilità.

Il cubo di Kubrik, in questo caso, si risolve, aggiungendo nell’abbecedario che ci accompagna fin dalla scuola materna, ai termini Onore (Sentimento che ci porta ad aver cura del nostro buon nome ed è segno di rettitudine), Rispetto (Riguardo verso qualcuno ritenuto degno di ciò) e Orgoglio (Fierezza che si basa sui valori dell’onore), il significato della parola Dignità, intesa come nobiltà d’animo, che induce a rifuggire da ogni bassezza per riuscire a darsi un valore.

“- Non possono arrestarmi alla mia età, e poi non mi prenderanno mai, sono troppo furbo io.

– Eppure è sempre il più furbo che alla fine della corsa pagherà per tutti; guarda me: sebbene per qualche giorno sia qui con te, sono invecchiato dentro come il pezzo di carcere che mi ha sepolto.

– Vince, mi piace fare casino e stare in giro fino a tardi: che male c’è a prendere un cappellino o un giubbotto a chi ha più soldi di me?

Mi guarda e cerca di soppesare le mie reazioni, vuole la mia approvazione, il mio rispetto: non me lo chiede, quasi me lo impone. Incredibile, ho innanzi un piccolo duro che non intende fare sconti, neppure a me. Marco, il disadattato, ha trovato nel rischio e nella provocazione la risposta più immediata alla propria sofferenza. Marco che teme il domani.

– Voglio essere tuo amico, Vince. Mi piace quando mi racconti le tue cadute e sono contento che ora sei cambiato, ma io non posso cambiare, perché sono fatto così, e poi cosa ho combinato di tanto grave?

Penso a sua madre oltre oceano, a suo padre troppo impegnato nel lavoro per ritrovarlo la sera in casa, e inciampo in quel suo linguaggio secco e sgangherato da sembrare ordinato.

– Quanti anni hai Vince? Vuoi venire a casa mia ? Dai, andiamo a fare un giro in centro.

In silenzio, lo osservo mentre gesticola e narra le sue avventure, mi ostino a percepire il suo vero intento. Si accorge della mia trappola e tenta più volte di aggirare l’ostacolo, d’improvviso avvicina le sue mani alle mie, ci tocchiamo più volte le nocche: é il rito che si consuma nel linguaggio del corpo, dell’immagine che effonde potenti ruggiti… O sono vagiti? Il giorno del mio rientro in Istituto, al termine del permesso, lui era lì ad aspettarmi:

– Quando ritorni Vince?

– Presto.

I guerrieri in erba della mia generazione stavano insieme, in gruppo, formavano una banda di minorenni, perché avevano come nemico da combattere, il mondo degli adulti, dei cosiddetti grandi, che vedevamo intruppati e in fila per tre (come plotoni di esecuzione) nelle loro belle e comode certezze, oggi invece ci si mette insieme, in gruppo, in babygang, per competere e scontrarsi con il gruppo dei pari, per una griffe, per un telefonino. Così il destino disegna la propria trama, ci si incontra sempre più ai bordi delle vie maestre, fino a dimenticarle, inizia una visione unidimensionale, interpretando la vita come un rettilineo privo di curve, di uscite di emergenza, dove l’inciampo è lì dietro l’angolo, e nel tentativo di esorcizzare le troppe assenze, le lacerazioni, le solitudini, irrompono i rischi estremi, la droga, il reato, e gridare:

– Ehi regista, sono stanco, fammi uscire dalla storia! ” (Vincenzo Andraous – Il falco dagli occhi lucidi)

Una goccia. è un attimo, un solo momento. Ma basta per accorgersi che, a certe condizioni, il peggio è, oramai, alle spalle. C’è sole, sul tetto del palazzo in costruzione.

“Se esprimi un desiderio è perché vedi cadere una stella, se vedi cadere una stella e perché stai guardando il cielo e se guardi il cielo è perché credi ancora in qualcosa…e ti rifiuti di morire!” (Cit.)

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