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Noi credevamo è un film del 2010 (vincitore di 7 David di Donatello) diretto da Mario Martone e di Giancarlo De Cataldo. Liberamente ispirato a vicende storiche realmente accadute durante le guerre del Risorgimento, si articola in quattro capitoli raccontando la storia di tre di tre giovani del Cilento che si uniscono alla Giovine Italia animati da ideali patriottici e repubblicani. Attraverso una disamina storica priva di illusioni,  la pellicola si conclude al Palazzo Carignano di Torino, sede del primo parlamento del Regno, con un monologo interiore dello stesso protagonista (l’unico dei giovani, “sopravvissuto”) che medita sull’Unità realizzata da uomini di potere per i propri interessi, senza un autentico coinvolgimento del popolo.

“Caro Sigismondo, sono venuto in Parlamento come mi avevate chiesto. Avevo anche portato la lettera da mostravi , con cui sono stato licenziato con la motivazione di essere un Repubblicano pericoloso e fomentatore di disordini sociali. Ho bisogno di lavorare per vivere e voi vi siete dimostrato un uomo generoso, con la vostra proposta di aiuto. Ma desideravo incontrarvi soprattutto per parlare con voi e interrogarmi. Perché io, ora, mi ritrovo al punto di partenza: la lotta si è conclusa in un fallimento e vorrei trovare il bandolo della matassa. Capire se un’errata interpretazione delle idee che ho sostenuto sia responsabile o meno di quel che è successo. L’Italia di oggi, gretta, superba, assassina. Ma, entrato in Parlamento, ho capito che questo punto non lo saprò mai più. Vi ho visto da lontano, don Sigismondo, il vostro volto era segnato da un fiero disgusto più che dalla vecchiezza, circondato da gente che ha saputo approfittare dalla nuova situazione politica solo per accrescere il proprio potere. In questo Parlamento non sarà mai concesso discutere di quanto un Patriota ha sofferto e fatto: gli esuli e gli ex galeotti saranno celebrati tutti allo stesso livello, come dei rottami da enumerare sbrigativamente, i cui discorsi non producono che noia. Sono andato via come sono arrivato: nessuno mi ha notato. Ma, io, non conto. Eravamo tanti, eravamo insieme: il carcere non bastava. Noi, la lotta dovevamo incominciarla quando ne uscimmo. Noi, dolce parola. Noi credevamo….”

Venti Settembre 1870. Roma, Porta Pia. L’inizio di una nuova era. L’Italia. Finalmente. Tutta unita, tutta intera. Ventiquattro Ottobre 1917. Caporetto, Fiume Isonzo. Probabilmente per consentire l’epurazione del generale Cadorna (disumano carnefice di migliaia di soldati mandati allo sbaraglio), l’Italia rischia di sparire sul piano politico per restare né più né meno che un’espressione geografica prospiciente sul mar Mediterraneo. Nove Maggio 1936. Roma. Proclamazione dell’Impero dell’Africa Orientale italiana, dopo la conquista dell’Etiopia. Otto settembre 1943. L’Italia si arrende, continuando a combattere, da alleata comprimaria contro quello che resta dei tedeschi di Hitler. Anni 1958 – 1963. Il nostro tasso di crescita economica (Prodotto Interno Lordo) è superiore alle migliori performance dei paesi che, attualmente, dettano legge sul panorama internazionale. Otto dicembre 1970. Inizio (abortito) del colpo di stato guidato dal principe Junio Valerio Borghese. Gennaio 1987. Una serie di “lettere aperte” firmate da diversi militanti, sancisce la vittoria dello Stato sull’organizzazione terroristica più potente degli anni settanta: le Brigate Rosse. 17 febbraio 1992, Inizio dell’epopea di mani pulite e parabola discendente di quello che fu erroneamente creduto il secondo miracolo economico italiano…

18 aprile 1993. Con il referendum che abolisce il sistema politico proporzionale nasce, di fatto, la seconda Repubblica, con l’inizio del bipolarismo e del “muro contro muro” che, apparentemente, darà un po’ di ossigeno al nostro paese, riportandolo agli onori di quella cronaca che raggiunge il suo apogeo il 28 maggio 2002 quando, a Pratica di Mare (Roma) George Bush e Valdimir Putin firmano la nascita del consiglio Nato – Russia che mette la parola fine alla guerra fredda. (salvo, poi, ricominciare il triste “teatrino”, con la guerra contro l’Ucraina del 2022, mai veramente dismesso).

14 dicembre 2005. Con la modifica del sistema elettorale verso un nuovo proporzionale, nasce (zoppa e agonizzante) una sorta di terza Repubblica.

14 dicembre 2007. Il prestigioso Ney York Times recita il de profundis per ciò che resta dei pronipoti di coloro che insegnarono cultura e civiltà in Oriente e Occidente: gli antichi Romani. “Gli italiani? Un popolo triste, il più triste d’Europa. L’Italia? Un Paese alla frutta”. (Ian Fisher, corrispondente da Roma del quotidiano Usa).

12 Novembre 2011. LA FESTA (ove mai ci fosse mai stata) E’ FINITA. Dopo avergli consentito una condotta (in ambito privato – istituzionale) altamente demoralizzante, si stabilisce (“colà dove si puote”) di chiudere l’era Berlusconi, costringendolo ad una ingloriosa uscita di scena attraverso un attacco speculativo senza precedenti che porta il “Sistema Paese”, ad un passo dalla Bancarotta economica, morale, sociale.

16 novembre 2011. Si mette in scena quello che era stato stabilito già durante l’estate dello stesso anno: investire dell’incarico (apparentemente) di salvatore della italica Patria e dell’Europa intera, il prof. Mario Monti, il quale instaura una sorta di dittatura (ammantata da senso di opportunità e responsabilità) deprimente e recessiva, capace di far scoppiare in lacrime uno dei suoi ministri di punta: la “famigerata” Elsa Fornero.

28 aprile 2013. Dopo una inutile consultazione elettorale, la stessa Regia che ha imposto il “Bocconiano” decide di collocare, come Presidente del Consiglio dei Ministri, il più mite Enrico Letta definito “Cunctator (Temporeggiatore).

22 febbraio 2014. Evidentemente, su spinta della “Troica” (Commissione Europea, Fondo Monetario Internazionale, Banca Centrale Europea), per allontanare definitivamente il rischio di “Insolvenza Sovrana” e per accelerare il passo delle Riforme Costituzionali (in grado di ridurre ulteriormente l’autonomia del nostro Paese), viene concesso il posto di Premier a Matteo Renzi, “Maleducato di talento” (definizione della Stampa Straniera).

12 dicembre 2016. Spesso, colui che governa per delega di altri più potenti di lui, si convince di essere libero da ogni legame e gravame. E, al Toscano presuntuoso e arrogante, viene preferito il nobile Paolo Gentiloni.

04 Marzo 2018. Frutto di una consultazione elettorale il cui esito (a causa di una legge “ad hoc”) era ampiamente scontato, in termini di ingovernabilità, si dà, probabilmente inizio ad una sorta di duumvirato (Di Maio – Salvini) subornato da chi, Matteo Conte, avrebbe dovuto svolgere il ruolo di prestanome.

05 settembre 2019. Si riparte con nuove speranza, vestendo una casacca giallo rossa (che sostituisce la precedente giallo verde) e che dovrà affrontare il cataclisma pandemico SARS COV 2

17 febbraio 2021. Nasce il governo di Unità Nazionale che deve traghettare l’Italia fuori dai problemi sanitari e al riparo dalle turbolenze economiche. A guida Mario Draghi.

14 luglio 2022. Si riparte per un nuovo giro di giostra. Dimessosi l’ex Banchiere Centrale, si prova a creare una difficile nuova dimensione politica, all’interno di un sistema molto più deteriorato di quello cha ha portato alla fine della cosiddetta “Prima Repubblica”.

C’era una volta l’Italia

Se la Storia insegna qualcosa, dovremmo ricordare che, la sua nascita, è frutto di interessi internazionali volti a ridurre il potere agli Spagnoli, a favore soprattutto (ma non solo) della Gran Bretagna…

Ed è per questo che si sono messi insieme popolazioni diversissime fra loro, trasformando  le (più) ricche regioni del Sud in cenerentole del Nord.

Ma chi credevamo di essere?

I pronipoti dell’antico Impero Romano? Forse… ma abbiamo dimenticato che (per fortuna nostra), nel frattempo ci siamo “contaminati” con culture meno determinate ma, senz’altro più “umane” sul piano della solidarietà.

Nel tempo, siamo diventati “Quelli” capaci di creare valore dalla Terra e con le Persone: le stesse per cui, una stretta di mano, valeva più di un contratto scritto.

E, questo, non (ci) poteva essere consentito.

Cari Lettori, man mano che abbiamo realizzato eccellenze, queste ultime sono state rispettate e alimentate solo fuori dai confini nazionali mentre, all’interno dei nostri confini, si è consumata (attraverso quel grande inganno chiamato “Globalizzazione”) la nostra trasformazione in qualcosa che sa meno di un protettorato di (più di) una super(pre)potenza.

Gradualmente, con scippi all’ENEA e lo smantellamento di MONTEDISON, ci hanno privato di una forte presenza ne campo della Chimica; hanno delocalizzato le migliori aziende elettromeccaniche; non abbiamo più infrastrutture autostradali e di telecomunicazioni; abbiamo perso la compagnia aerea di Bandiera e le grandi distribuzioni non portano il vessillo italiano…

Ovviamente, tutto ciò genera malessere: lo stesso che si è espresso, collocando in alto, partiti politici di “rottura”.

Un senatore della Repubblica, commentando lo sviluppo economico del nostro Paese negli anni sessanta, ebbe il coraggio di dichiarare: “Avevamo capito subito che non saremmo stati capaci di dirigere la Società italiana che, dal canto suo, dimostrava di essere più forte e capace della nostra politica. Non fare nulla fu la scelta migliore di tanti provvedimenti governativi. Il paese fu lasciato nella logica della foresta e, per fortuna, ci è andata bene“.

Probabilmente ciò che muove i fili, nel cervello di chi si è proposto per provare a governarci, non è lontano da questi propositi. Si spiega così, il valzer dei “buoni” ( e folkloristici) propositi come la pretesa della cancellazione di parte del debito pubblico o della richiesta di uscire dall’EURO dopo che i danni dell’esserci entrati, li abbiamo pagati già tutti…

Alcune testate giornalistiche straniere hanno condotto più di una indagine su di noi che si riassumono con la domanda: “ Ma perchè altre Nazioni come, ad esempio, la Spagna, sono emerse dalla recessione e l’Italia, di fatto, no?

La risposta tiene conto, oltre che delle motivazioni di oppressione fiscale, soprattutto della nostra condizione emotiva. Ed ecco la conclusione di chi ha realizzato il lavoro: “Anche lì le persone erano tristi, ma con la voglia di cambiare le cose. Da voi, manca questa speranza. Non c’è da meravigliarsi se i vostri giovani hanno, come obiettivo prioritario, quello di perdersi dietro a ciò che li stordisce prima. A voi, soprattutto, hanno tolto il piacere di immaginare il Futuro e vi hanno reso sempre più aridi, interiormente“.

Parafrasando la famosa affermazione coniata da Ferdinando Martini nel 1896 per sintetizzare un concetto di Massimo D’Azeglio (predecessore di Cavour alla guida del governo sabaudo), “Fatta l’Italia bisogna fare gli italiani”, sono pienamente convinto del fatto che, noi Italiani siamo pronti a continuare a combattere in difesa dei diritti. I nostri e quelli degli altri. Quello che manca è, purtroppo, l’Italia!

“Se ti assumi la responsabilità di quello che stai facendo, del modo in cui produci i tuoi sintomi, del modo in cui produci la tua malattia, del modo in cui produci la tua esistenza al momento stesso in cui entri in contatto con te stesso, allora ha inizio la crescita, ha inizio l’integrazione”. (Fritz Perls)

La scomparsa di Eugenio Scalfari, il 14 luglio 2022 (in concomitanza con la fine del Governo Draghi)  è una occasione importante per fare qualche riflessione su un secolo di storia italiana e mondiale che lui ha accompagnato con la sua lucida intelligenza e competenza.

Si poteva certo anche non essere d’accordo con lui, ma anche l’avversario più tenace era, a denti stretti, costretto ad ammettere che stava discutendo con persona di grande cultura e di profonda documentazione dei fatti e delle scelte politiche.

Ha scritto Alberto Asor Rosa: “Eugenio Scalfari ha perseguito con incredibile energia e una forza intellettuale e vitale assolutamente eccezionale una battaglia inesausta per riuscire a fare dell’Italia un paese democraticamente maturo, rispettoso delle regole, fermo sui principi, operoso e civile, e in definitiva, puramente e semplicemente, un Paese normale, almeno secondo il canone democratico occidentale”.

Solo che, come soleva dire Brecht, la semplicità è difficile a farsi.

Scalfari e pochissimi altri, per decenni, si sono posti il modo di raccontare il mondo, invitando i lettori a riflettere e a partecipare alla vigilanza democratica ogni qual volta poteri “forti” tentavano di disturbare la crescita di un Paese che cercava ogni giorno di più di innamorarsi della Carta Costituzionale, vista non come un nobile pezzo di carta ma come linfa vitale tramandata da tanti che dettero la vita per consentire a noi di agire in democrazia e libertà.

Non è questa la sede per soffermarsi su tante inchieste basilari ove venivano denunciati atteggiamenti criminosi di politici, militari e uomini di affari e di imbrogli.

Tutte le guerre sono state seguite e analizzare con occhio critico e democratico. Molti di noi giovani, su “Il Mondo”, sul “l’Espresso” e poi su “La Repubblica” abbiamo fatto quotidiana esperienza di analisi che avevano, al centro, i problemi di un mondo che si andava ogni giorno trasformando e che andava letto secondo parametri di libertà e senza pregiudizi o rifiuti a priori.

Nel 1967, Scalfari, durante la Guerra dei Sei giorni, davanti ad attacchi di ben precisi gruppi di potere, osserva con grande lucidità democratica: “Noi, il nostro campo lo abbiamo scelto da molto tempo e una volta per tutte. Siamo contro tutte le dittature di qualsiasi colore, sovietiche, greche, spagnole o nasseriane che siano, siamo contro la violenza e l’incitamento alla violenza da qualunque parte provenga… Siamo, dovunque, con le colombe e contro i falchi, anche se è vero che talvolta, per sopravvivere, le colombe debbono mettere becco e artigli. Per difendersi. Mai per aggredire “.

Da tanti decennali discorsi, emerge forte l’invito a conformare la nostra vita secondo valori etici e morali in grado di dare un senso all’esistenza, senza chiusure e steccati di nessun tipo. Eugenio Scalfari non era credente ma portò avanti un dialogo appassionato, vivo e fecondo con due grandissimi uomini di fede del nostro tempo :il cardinal Martini e papa Francesco.

Noi, oggi, che eredità manteniamo di tutto ciò?

Il consuntivo è per molti versi modesto. Gli ultimi decenni (ma, a ben vedere, è una storia che si ripete) hanno favorito una corsa al “particulare” e si sono imposti con successo arrampicatori sociali e persone prive di scrupoli morali.

Invitare i giovani a studiare, leggere, approfondire suona come presa in giro laddove gli ignoranti, i presuntuosi, i servi sciocchi sono sul treno del successo e fanno scelte epocali per nostro conto.La storia è andata così, scriveva Franco Fortini alcuni decenni fa, con spirito profetico, la vita anche. Mutare il ribrezzo in lucidità, la speranza in certezza. E in impazienza.

Il negativo dell’esistente deve essere per noi un forte stimolo per lavorare per una positività di azione.

In tale ottica dobbiamo dare adeguato valore pedagogico e operativo a tutte le esperienze culturali e alle iniziative di operosa socialità perché solo così vinceremo l’abulia, l’avvilimento, la frustrazione, l’idea di lasciar perdere tutto.

A momenti ci sentiamo soli, avvertiamo dentro un silenzio paralizzante e avvertiamo un vuoto desolante.

Dobbiamo sconfiggere questo modo di (sopra)vivere e lavorare per una strategia che veda il silenzio come ascolto non solo del nostro intimo ma dei segnali che vengono dagli altri.

“Nella vita non stancarti mai di cercare, accetta la fatica del vivere e del pensare, del credere e del dubitare: non accontentarti di ciò che appare in superficie ma indaga, interroga, fatti delle domande anche se a volte non trovi risposte. Il sapiente è sempre un cercatore” (Enzo Bianchi)

La nostra via d’uscita?

“Ricordo ancora la domanda che fece il professore di filosofia il primo giorno di liceo: A che serve studiare?

Chi sa rispondere?

Qualcuno osò rispostine educate: a crescer bene, a diventare brave persone… Niente, scuoteva la testa.  Finché disse: Ad evadere dal carcere.

Ci guardammo stupiti.

L’ignoranza è un carcere. Perché là dentro non capisci e non sai che fare.

In questi cinque anni dobbiamo organizzare la più grande evasione del secolo. Non sarà facile, vi vogliono stupidi, ma se scavalcate il muro dell’ignoranza poi capirete senza dover chiedere aiuto. E sarà difficile ingannarvi. Chi ci sta?

Mi è tornato in mente quell’episodio indelebile, leggendo che solo un ragazzo su venti capisce un testo. E penso agli altri diciannove, che faticano ad evadere e rischiano l’ergastolo dell’ignoranza.

Uno Stato democratico deve salvarli perché è giusto. E perché il rischio poi è immenso: le menti deboli chiedono l’uomo forte.”

(Corrado Augias, La Repubblica, 6 dicembre 2019)

Partendo dal concetto che, veramente, nulla sarà più come prima, non resta che accettare il principio in base al quale, solo la creazione di un Valore, personale e intrinseco, possa salvare il senso della nostra vita. Di Italiani e cittadini del Mondo.

Riprendere il concetto di sacrificio finalizzato alla crescita condivisa, figlia del piacere dell’essere solidali con chi soffre per imparare, da costui, l’arte della Resilienza intesa come capacità di far fronte, in maniera positiva, agli eventi traumatici, riorganizzare correttamente la propria vita dinanzi alle difficoltà con la capacità di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità che la vita offre. 

Senza perdere la propria umanità.

“La ricchezza è poter addentare una focaccia calda la mattina. La ricchezza è poter salire le scale da soli. Poter vedere i passanti guardando dalla finestra, Poter chiudere la propria porta ogni sera, Avere accanto chi ti accarezza i capelli e, al polso, un orologio che segna il futuro. E’ poter fare progetti per la settimana che verrà. Poter aspettare l’arrivo di giorni migliori. Talvolta è un piatto di pasta. Talvolta due pomodori e una pagnotta fresca. E’ poter credere in te stesso. La ricchezza è tutto ciò che ti fa felice perché esiste. Invece la povertà…E’ quando si conosce una cosa  per, poi, dover imparare a stare senza”.  (Ferzan Ozpetek)

Viva l’Italia, l’Italia liberata, l’Italia del valzer, l’Italia del caffè. L’Italia derubata e colpita al cuore, viva l’Italia, l’Italia che non muore. Viva l’Italia, presa a tradimento, l’Italia assassinata dai giornali e dal cemento, l’Italia con gli occhi asciutti nella notte scura, viva l’Italia, l’Italia che non ha paura. Viva l’Italia, l’Italia che è in mezzo al mare, l’Italia dimenticata e l’Italia da dimenticare, l’Italia metà giardino e metà galera, viva l’Italia, l’Italia tutta intera. Viva l’Italia, l’Italia che lavora, l’Italia che si dispera. l’Italia che si innamora, l’Italia metà dovere e metà fortuna, viva l’Italia, l’Italia sulla luna. Viva l’Italia, l’Italia del 12 dicembre, l’Italia con le bandiere, l’Italia nuda come sempre, l’Italia con gli occhi aperti nella notte triste, viva l’Italia, l’Italia che resiste (Francesco de Gregori)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento affettuoso ad Amedeo Occhiuto, per avere suggerito molti degli interessanti aforismi inseriti nell’articolo.

2 Replies to “Noi credevamo…”

  1. Articoli sempre interessanti e piacevoli, risultato di cultura e ricerca documentale. Un arricchimento per chi legge.
    Noi credevamo ma… non crediamo più, i giovani non credono più. Questo è il piu grande danno fatto al nostro Paese, purtroppo dalla nostra generazione.

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