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Caro Dottore, anzitutto vorrei ringraziarla per i preziosi messaggi che lei fornisce sempre coi suoi articoli in cui riesce a rendere comprensibili argomenti scientifici anche per chi non è esperto in materia. Vorrei, a tal proposito, porre qualche domanda relativa al senso della vita e alla sua “sacralità” anche nella possibilità di “ritardare” l’invecchiamento psicofisico.

Grazie delle sue valutazioni. Chieda pure quello che vuole, proverò a risponderle nella misura in cui riuscirò ad esserne capace.

Dalla lettura di recenti pubblicazioni scientifiche in merito, la prima cosa che mi ha colpito è che, dato il progressivo aumento dell’età media dell’essere umano, per evitare che il prolungamento della vita si riduca ad un allungamento delle sofferenze terrene, è necessario impegnarsi per un “miglioramento considerevole della qualità della vita”.

È vero, infatti non avrebbe molto senso procrastinare una situazione di insoddisfazione.

E’ proprio la realizzazione di questa condizione che mi preoccupa…

Perché?

Ho sempre creduto che, oltre una certa età (più o meno 50 anni), per una sorta di decadimento irreversibile generale dell’organismo, non si possa più vivere bene. Cosa succede, in realtà, con l’avanzare dell’età?

Si prendono meglio le “misure”.

Cioè?

Si comincia capire qual è il punto oltre il quale, l’organismo si “snerva”.

E perché non ci capita anche da giovani?

Perché siamo più presuntuosi, arroganti e privi di esperienza.

E quindi?

Non calcoliamo bene la potenza effrattiva (relativa al danno, cioè) degli eventi. Procedendo negli anni, invece, cominciamo a stabilire per cosa è veramente utile continuare a lottare.

Esistono delle linee guida “oggettive”, che possano fungere da riferimento cui ispirarsi?

Fin dal 1946, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha spiegato che “la salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non, semplicemente, l’assenza di malattia e di infermità”.

Molti anni dopo (precisamente, nel 1984, con la Carta di Ottawa relativa alla prima Conferenza internazionale sulla promozione della salute) si è riusciti ad essere più precisi e circostanziati, elicitando il fatto che, grazie ad un buon livello di salute, bisogna essere in grado di identificare e sviluppare le proprie aspirazioni, soddisfare i propri bisogni, modificare l’ambiente e adattarvisi”

E se non si riuscisse a percorrere questa strada di realizzazione e ci dovesse “arrendere” del tutto?

Si cominceremmo a “vegetare”, perdendo quell’alone mistico costituito dalla magia della vita, con tutti i vari risvolti che ci inducono a sperimentare il bello e il brutto, per essere in grado, poi, di scegliere per il meglio.

Mi permetto di ricordarle una interessante riflessione di Umberto Veronesi, riportata in una delle sue ultime pubblicazioni: “Credo di essere innamorato della curiosità in se stessa. Non mi accontento mai, la mia mente non è mai ferma. Amo il fatto di essere nato curioso e sono convinto che a tutti sia stato dato il medesimo dono, che poi è il senso dell’essere longevi. Più anni abbiamo a disposizione più possiamo imparare e conoscere”

Ma… è possibile riuscire a trovare gradevole il proprio aspetto anche con la pelle che ha perso elasticità e le tante rughe che solcano il viso?

Si, se dietro questo aspetto non si cela il sipario calato sulle luci delle aspettative che ancora ci restano ma, tutto ciò, rappresenta invece il segno evidente della fatica affrontata per vincere e continuare ad aver voglia di esistere. È il modo mediante cui dimostriamo la soggettività della nostra individualità, senza ricorrere ad incongrue “scorciatoie” estetiche che faranno di noi, maschere irreali.

Ma, scusi, non dovremmo continuare a manifestare interesse per la cura del nostro corpo?

Certamente… e tornerà utile anche l’ausilio di tutto ciò che potrà migliorare anche la nostra estetica. Però, senza una valida infrastruttura di personalità, saremo condizionati da falsi ideali che, gradualmente e silenziosamente, si impadroniranno delle nostre convinzioni portandoci a coltivare l’esteriorità, ignorando l’importanza dell’interiorità. Cosa abbiamo intenzione di fare della nostra vita? È questa la domanda cui dovremmo rispondere.

Dal momento che lo stress è una condizione con cui bisogna convivere, cosa si può fare concretamente per evitare quello che lei definisce “stress cronico”?

Posso risponderle in due modi: uno più approfondito e l’altro più sintetico. Il primo estrapola i punti salienti di alcune affermazioni, in merito, dello psicoanalista Jean Bergeret nel suo “Personalità normale e patologica” :

<< Veramente “sano” non è semplicemente colui che si dichiara tale, né tanto meno un malato che si ignora come tale…

Veramente sano è un soggetto che conserva in sé i limiti della maggior parte della gente e che non ha ancora incontrato difficoltà superiori al suo bagaglio affettivo e alle sue facoltà personali difensive o adattive…

Veramente sano è colui che si permette un gioco abbastanza elastico della ricerca del piacere e del senso di responsabilità, sia sul piano personale che su quello sociale, tenendo in giusta considerazione la realtà e riservandosi il diritto di comportarsi in modo apparentemente aberrante in circostanze eccezionalmente “anormali”>>.

Il secondo invita a riuscire a stabilire una priorità basta su indispensabilità, utilità e fatuità.

Cosa caratterizza una buona qualità della Vita?

La possibilità di contare su una buona “strutturazione” di ciò che, psicologicamente si chiama “IO” e che consente, fra l’altro:

  • la mediazione tra Es, Super-Io, realtà;
  • un buon esame di realtà;
  • la possibilità di creare una adeguata immagine di sé;
  • il mantenimento dell’orientamento spazio-temporale;
  • la capacità di giudizio;
  • il controllo delle pulsioni;
  • la tolleranza delle frustrazioni.

A questo punto mi prendo una “licenza” alla Luciano de Crescenzo.

In che senso?

Questo scrittore (uno di quelli che ho avuto modo di apprezzare maggiormente), a volte trasla nei propri libri brani ripresi da altre sue pubblicazioni. Sono talmente efficaci, che non converrebbe cercare di utilizzare altri termini. Bene, vorrei riprendere alcune mie riflessioni che ho già espresso in qualche occasione: ha mai pensato all’assurda trappola in cui siamo costretti a vivere da un sistema economico “guasto” fin dalle fondamenta?

Non lo so.

Osserviamolo insieme

Attraverso tutti i canali di comunicazione di massa, mediante spot pubblicitari, veniamo indotti a comprare una infinita varietà di alimenti ipercalorici (ma a basso contenuto di nutrienti come vitamine, sali minerali, etc.) che riempiono, praticamente, tutte le ore della nostra giornata (dalle merendine mattutine, ai pranzi “che sono diventati un mito”, agli snack pomeridiani, fino a tutte le possibili combinazioni alimentari che costituiranno una “cena indimenticabile”).

Poi, però, sempre attraverso messaggi “mediatici”, ci convincono che l’immagine vincente nel lavoro come in tutti gli altri aspetti della vita, sia quella consistente in un misto di muscoli e anoressia (uomini dinamici, vagamente “dopati” e donne efebiche, autentici “pali” rivestiti di morbida alcantara).

A questo punto, ci vengono in soccorso le pillole cattura calorie, per poter “tranquillamente” trangugiare una Saint Honoré da 5 kg (con buona pace di dentisti e nutrizionisti).

A conclusione di ciò, possiamo analizzare (sempre attraverso disinteressati “consigli per gli acquisti”) le enormi opportunità di acquistare (con comodi pagamenti rateizzabili fino al giorno del giudizio universale) intere palestre da trasportare in casa propria per effettuare comodamente tutti quegli esercizi che non faremo mai perché troppo impegnati a lavorare (e logorarci) per pagare tutte quelle comodità necessarie a migliorare la qualità della vita (quella di chi ce le vende, naturalmente!).

Insomma, come possiamo raccapezzarci?

“La capacità di amore empatico, di gioire del piacere e di sopportare il sentimento di angoscia legata alla paura di restare da soli, costituiscono, tutte assieme, le condizioni di qualunque sanità psichica” (P.C. Racamier)

Ricordo le lunghe chiacchierate che facevo con mia madre, in una casa piccola ma dignitosa, prima che il notevole incremento economico reso possibile delle molteplici attività del mio vulcanico padre, ci facesse un po’ “confondere”.

Fra tanti messaggi di saggezza mi è rimasta impressa una poesia di Nazim Hikmet dal titolo emblematico “Alla vita”. 

Credo che da allora sia nato in me il bisogno di “nobilitare” il mio operato, ad ogni costo. 

“La vita non è uno scherzo. Prendila sul serio come fa lo scoiattolo, ad esempio, senza aspettarsi nulla dal di fuori o nell’al di là. Non avrai altro da fare che vivere. La vita non è uno scherzo. Prendila sul serio ma sul serio a tal punto che, messo contro un muro con le mani legate, o dentro un laboratorio col camice bianco e dei grandi occhiali, tu possa decidere di morire affinché siano in grado di vivere uomini di cui non conoscerai la faccia ma sentirai il valore. E te ne andrai sapendo che nulla è più bello, più vero della vita. Prendila sul serio. Ma sul serio a tal punto che, da vecchio, pianterai degli ulivi non perché restino ai tuoi figli… ma perché non crederai alla morte pur temendola. E la vita peserà di più sulla bilancia”.

Un sentito ringraziamento all’avvocato Erminia Acri per le interessanti sollecitazioni da cui è nato questo articolo.