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Quando avevo 5 anni, mia madre mi ripeteva sempre che la felicità è la chiave della vita. Quando andai a scuola, mi chiesero cosa volessi essere da grande. Scrissi: “felice”. Mi spiegarono che non avevo capito il compito, ed io risposi loro che non avevano capito la vita (John Lennon).

Cari Lettori, non passa giorno che, i più sensibili, non sentano il bisogno di domandarsi come sia mai possibile l’estrinsecarsi di tanta cattiveria, da parte degli esseri umani.

Eppure, come ho scritto altre volte, Essere Umano, per definizione “ontologica” (riguardante la natura e la conoscenza dell’essere come oggetto in sé) dovrebbe essere il risultato premiante di un faticoso percorso che porta a divenire (e, quindi, ad “essere”) un individuo (entità capace di riflettere e provare emozioni, distinguendo se stesso dal resto del contesto che, pure resta condizionato da ciò che si è… che, a sua volta, diviene il risultato dell’adattamento all’Input ambientale) portatore di valori di sensibilità solidale, improntati al bisogno di una crescita condivisa.

D’altronde, come ci ha spiegato il pedagogista Franco Nembrini, il livello umano della realtà è “identificato” dal bisogno di essere felice attraverso la possibilità di conoscere la verità della vita… di poter sperare che la vita, il tempo, siano utili, siano per la “costruzione” di qualcosa

E allora?

Osservando (per ciò che ho potuto, fin da bambino) il mondo degli animali, mi sono accorto che grazie ad una sorta di memoria genetica sanno comportarsi nel modo più adeguato, ad esempio, per ciò che concerne la ricerca di cibo o per tutto quello che è il miracolo del mettere al mondo (con travaglio, parto e “secondamento”) dei cuccioli per una nuova generazione

Per quel poco che ho imparato, in relazione al DNA, trovo, forse, inappropriato e semplicistico pensare che nei geni proteici risieda il serbatoio di ogni nostro comportamento, predefinito.

Ritengo, piuttosto, che, nei gangli della nostra “coscienza nucleare” (allocata nello spazio infinitesimale fra i quark di protoni e neutroni e fra il centro dell’atomo e i suoi elettroni, delle strutture che compongono il DNA) si generi quello che potremmo definire il nostro “IO indifferente”, quello che si pone al di là del Bene e del Male.

Quale arcano meccanismo ha reso possibile la sopravvivenza in epoche storiche (pensiamo, ad esempio, agli Esseri Primitivi) in cui nessuno era in grado di spiegare, ad esempio cosa potesse essere commestibile o quale manifestazione temperamentale potesse costituire un pericolo?

Mi permetto di riprendere dei concetti già espressi in precedenti lavori ma necessari allla comprensione del problema

Secondo grandi rappresentanti della Psicoanalisi (come Freud e Lacan, per intenderci) l’essere umano mancherebbe di un programma istintuale capace di orientare la sua esistenza nel Mondo. E proprio su questo “difetto” che prenderebbe corpo il programma dell’Inconscio.

Proviamo a capire

Al contrario di forme apparentemente meno evolute, non accettiamo passivamente l’idea che, il senso della nostra presenza sia, appunto, la nostra stessa presenza. Abbiamo bisogno di capire che lo scorrere dei granelli di sabbia nella clessidra che misura quanto ci resta, del variegato coacervo di stati d’animo, sia finalizzato al sentirsi delle “brave persone” (se si è cresciuti coi Valori di una volta) o al raggiungimento della possibilità di godere.

Entrambe queste posizioni, rispettano il motivo che guida il cammino di ognuno: il Principio del Piacere che può estrinsecarsi (come ha mirabilmente spiegato Freud, nel 1922, con la sua teoria del dualismo pulsionale) come scontro fra due estremi apparentemente inconciliabili: Eros (Amore e passione) e Thanatos (Morte).

Al primo, Sigmund Freud dava la valenza di pulsione volta alla conservazione della vita; nella seconda, individuava la pulsione che spinge verso la distruzione della vita stessa.

In buona sostanza

Grazie anche all’aiuto di Scienziati del mondo della Fisica, si è arrivati a capire che:

  • Tutto nasce dall’insopportabilità di piccolissime particelle (i quark) costrette a coabitare (nei protoni e nei neutroni del nucleo degli atomi) in maniera conflittuale;
  • dal tentativo di fuga di queste microparticelle (obbligate a ricongiungersi, perchè legate da un elastico di “gluoni”) nasce una danza da cui si creano le prime frequenze (elettromagnetiche) di vita, pianificate da chi ha creato il sistema;
  • l’Energia generata e trasmessa in tal modo cerca, quindi, di realizzare il piano voluto dal Creatore (o da chi per esso) e contenuto (pare) nel Bosone di Higgs, in base a cui si producono reazioni che consentono ogni forma di manifestazione (vitale e/o inerte);
  • dopo miliardi di anni di evoluzione è comparso l’essere umano nel cui DNA dovrebbero essere contenuti i “piani di volo” che, Jung, chiamava “Inconscio Collettivo” capace di orientare e spingere verso il Futuro e la conseguente ulteriore evoluzione;
  • la nostra capacità di “leggere” e “stampare” (senza accorgercene) le informazioni genetiche che ci consentono di assemblare il corpo e di scegliere le indefinite opportunità (di pensiero e di azione) poste su una metaforica tavolozza di colori (da miscelare con sapienza) messa a disposizione da Dio (o dall’Energia stessa…) Jung lo chiamava “Inconscio individuale”;
  • partendo dal principio che è come se fossimo nati potenzialmente dotati di un “sistema operativo” perfetto che va fuori equilibrio ad ogni nuovo apprendimento, il ruolo della nostra Mente, a questo punto, dovrebbe essere quello di (probabilmente) modulare i meccanismi epigenetici generando adattamenti e resilienza, in maniera da riportare in equilibrio il sistema di base (la danza dei quark);
  • se la crescita (psicofisica) di ognuno di noi appaga corretti principi di maturazione, prevale la voglia di continuare questa avventura (Eros), altrimenti inizia a prevalere il ritorno ad uno stato inanimato di materia (Thanatos) per, metaforicamente, avere una nuova possibilità, attraverso la ripartenza da una sorta di brodo primordiale ipotizzato dal grande Fisico Stephen Hawking, nella sua “Teoria del Tutto”.

Sostanzialmente, ognuno, inconsapevolmente, va alla ricerca di quello che gli serve, individuandolo fra quello che gli viene messo a disposizione dall’ambiente,

Tutto ciò è reso possibile dal fatto che il Mondo è composto da particelle che si muovono generando onde che si propagano con una certa frequenza. Ad esempio, quando una particella, “disegna” un’onda con un’ampiezza che varia da 620 a 700 nanometri ( un nanometro è pari ad un milionesimo di millimetro, per intenderci) il nostro cervello decodifica il rosso. Tutto ciò, vale per qualsiasi cosa cada sotto la nostra attenzione. Percepiamo la presenza di un albero, infatti, perchè i suoi contorni sono “disegnati” da particelle che “camminano” determinando onde che decodifichiamo nella maniera opportuna.

Quindi, se abbiamo carenza di calcio, di vitamine, di proteine, di liquidi e/o di altro, dentro di noi avvertiamo il “vuoto” di qualcosa che esiste, in quanto rappresentato da microparticelle che generano una frequenza specifica. Ovunque, incontriamo qualcosa che generi quella stessa frequenza (sprigionata da una spiga di grano, una fetta di pane, una frutto, una fonte d’acqua, etc.), noi la riteniamo potenzialmente commestibile e la assumiamo.

E andiamo ai comportamenti

In base al principio esposto prima, anche il nostro cervello con le sue idee, funziona generando frequenze elettromagnetiche. Quindi, così come il pittore parte dai colori fondamentali e (in base alla propria creatività, frutto, anche, dell’apprendimento) li miscela per produrre nuances non presenti, in partenza, sulla tavolozza, ogni individuo (cosiddetto) pensante, si trova a disposizione un range determinato dalla genetica di ciascuno che, potenzialmente, è simile in ognuno.

Più o meno, accade questo:

  • Ogni manifestazione viene scomposta, all’interno dei campi di elaborazione cerebrale, nei suoi costituenti fondamentali elettromagnetici;
  • Ciascun costituente (micropezzettino del puzzle che abbiamo percepito) viene riconosciuto, come tale, in funzione di quanto di simile ci ritroviamo in memoria;
  • Quello che ripeschiamo dal serbatoio dei ricordi, si porta dietro, anche, lo strascico emotivo che abbiamo provato nel momento in cui abbiamo vissuto l’esperienza che, frammentata, abbiamo poi archiviato;
  • Tale vestito emotivo (acquisito con l’esperienza e, quindi, non geneticamente determinato), condiziona la scelta in funzione del piacere o del fastidio che ci arreca;
  • tutto ciò premesso, con tale meccanismo, riconosceremo il quadro (venuto dall’esterno) assemblando pezzetti di ricordi che gli somigliano e saremo indotti a decidere sul da farsi, in relazione all’evento determinatosi e, a quel punto, percepito;
  • le nostre reazioni saranno diverse in base alla personalità di ciascuno e al momento dell’accaduto ma, comunque, non potranno derogare dal range messo a disposizione da Madre Natura, come i colori fondamentali della tavolozza di cui prima, pur con la nostra capacità di miscelare e sfumare…

il punto è che, ogni decisione, sarà presa dopo un confronto con un parametro di riferimento oggettivo (che si rifà, per intenderci, alle leggi di Natura) che potremo chiamare Logica Universale e che, si ritiene, sia allocato nell’Ipotalamo (importante struttura cerebrale).

In base alle convinzioni, ai condizionamenti, all’ignoranza, al pregiudizio, alla presunzione, alla maturità, alla chiarezza o all’incapacità più o meno temporanea, opereremo scelte che riterremo idonee, anche quando produrremo dubbi in proposito e cambieremo idea. Riterremo giusto riconsiderare e cambiare, per una nuova direzione.

Con questo principio, sarà motivata (anche se non “giustificata”), nella mente, qualsiasi azione, dalla più nobile alla più efferata. Tutto troverà un perchè. Magari frutto di un aggiustamento interiore di comodo accomodamento.

Quindi, ad esempio, è possibile restare indifferenti (all’interno di un’affollata stazione ferroviaria) alla richiesta di aiuto di un giovane senzatetto in lacrime perchè il suo bene più prezioso, il suo cane, è rimasto gravemente ferito per lo scontro con un locomotore ed è comprensibile (ma non accettabile) che la clinica veterinaria contattata richieda al clochard, per salvare il ferito, una cifra vicina ai 1000 Euro!

E, allora, non è affatto strano che si lascino morire affogati bambini e genitori che tentano di salvarsi da guerre che abbiamo creato (direttamente o indirettamente) noi. Non è roba dell’altro mondo che, di fronte a simili tragedie (le cui immagini scuotono le coscienze ma non determinano le azioni) ci si muova solo per lucrarci su come, pare, stia accadendo nei tanti combattimenti dei giorni nostri

Allo stesso modo e con il medesimo principio neurofisiologico ma non certo morale e civile, assistiamo a slanci di solidarietà estrema.

Non c’è malato che con un solo passo, foss’anche quello attraverso la morte non possa ridiventar sano ed entrare nella vita. Non c’è peccatore che con un solo passo, foss’anche quello che lo porta al patibolo, non possa ridiventare innocente e divino. E non c’è uomo intristito, sbandato e apparentemente ridotto a zero che un solo cenno della grazia non possa rinnovare all’istante, facendone un bimbo felice” (Hermann Hesse).

Cosa siamo riusciti a capire, nella nostra vita…

Da giovani abbiamo cercato di capire come intendere la vita; poi abbiamo capito che bisognava aiutare i nostri figli (sostenendoli nell’appagamento delle loro aspirazioni) a capire che direzione dare alla propria esistenza sapendo che, probabilmente, anche a loro sarebbe toccata in sorte lo stesso dilemma.

Allora, forse, la vita, nell’attesa di capirne il senso profondo, può essere intesa come l’obbligo morale e naturale di offrire opportunità

“Non è detto che la felicità significhi una vita senza problemi. La vita felice viene dal superamento dei problemi, dalla lotta contro i problemi, dal risolvere le difficoltà, le sfide. Bisogna affrontare le sfide, fare del proprio meglio, sforzarsi. Si raggiunge la felicità quando ci si rende conto di riuscire a controllare le sfide poste dal fato.” (Zygmunt Bauman)

Ognuno ha una base bimodale comportamentale (che va dal quadro solidale a quello menefreghistico) con varie sfumature molto personali: ciascuno sceglie in base al carattere acquisito, alle capacità del momento, agli egoistici bisogni da appagare, etc. 

“La vera solidarietà si fa in silenzio… altrimenti è palcoscenico!” (Cit.)

La parola “Io”.

In psicologia rappresenta una struttura psichica (organizzata e relativamente stabile) deputata al contatto ed ai rapporti con la realtà, sia interna che esterna, alla capacità di sopportare le frustrazioni, di controllare gli impulsi e tanto altro che rende possibile il relazionarci in maniera opportuna, con noi stessi e con gli altri.

Nella grammatica della lingua italiana, “diventa” un pronome personale che indica un soggetto (che in quanto tale non è disponibile a subire l’essere un oggetto). La sua derivazione etimologica trae origine dal greco “Ego” che, con l’aggiunta di “ismo” (suffisso che tende a formare parole astratte che indicano dottrine o atteggiamenti) diventa, guarda guarda,  egoismo

Ogni qualunque operazione dell’animo nostro ha sempre la sua certa e inevitabile origine nell’egoismo (Giacomo Leopardi).

I saggi sostengono che noinasciamo per portare avanti un progetto. Per quanto si possa speculare su ciò, non si può fare a meno di concludere che, al di là di evolvere le nostre capacità (nel bene o nel male) migliorando la gestione del nostro potenziale genetico e restituendo il tutto (con gli interessi) a “fine corsa” come si fa con i prestiti bancari, non si può andare.

Anche nella sofferenza, vale lo stesso discorso.

Quante volte agiamo, comunque, schiavi dei nostri condizionamenti appresi?

Quando proviamo ad andare oltre lo steccato del recinto in cui le abitudini ci confinano, soffriamo al punto da essere tentati di rifugiarci dentro dei gompa (templi buddhisti anche molto piccoli, all’interno dei quali potersi ritirare e pregare cercando la pace) mentali di arcaici comportamenti. Il meccanismo dell’adattamento.

Chi ce la fa, va avanti, chi esita, “scompare”, o si crea la sua personale realtà dell’indifferenza!

È così buio ciò che resta del nostro giorno?

Cari lettori, il sottoscritto (grazie soprattutto ad un Uomo chiamato Giovanni Russo) ha imparato a non raccontarsi più bugie.

Al massimo, quando vuole guardarsi dal lato “bello” dello specchio, va a leggersi una splendida poesia dell’amico Antonio Rizzuti (professore, filosofo, meridionalista e counselor psicologico):“Erano il tuo stupore e il mio silenzio. Timidamente i nostri cuori vacui si scoprirono. Pena di sguardi, sorrisi acerbi, teneri sospiri trattenuti. Io cerco la tua mano, si uniscono le nostre solitudini, il mondo è ai nostri piedi solo se mi cingi la spalla. Questo sei tu, un’alba nuova. Per me”.

Ecco, cari Lettori… Auguri.

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