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Prima di percorrere la mia strada, io, ero la mia strada” (A. Porchia).

Cari Lettori, 77 anni fa, si concludeva una delle peggiori guerre “dichiarate”, lasciando spazio a tanta voglia di ricostruzione. A parte il fatto che, da allora, si è dato il via allo scoppio di tanti altri conflitti “non dichiarati” ma, ugualmente brutali e dissimilmente ignorati, proviamo a domandarci se, a distanza di tanto tempo possiamo trovare giustificato il sacrificio di milioni di giovani vite, per la riconquista della condizione di Esseri Liberi.

Prima di procedere oltre, vorremmo soffermarci sulla suggestiva immagine di copertina che immortala due animali altamente simbolici:

Il corvo, associato al passaggio da uno stato ad un altro (dall’ignoranza alla conoscenza, dalla vita alla morte, dal male al bene, dalla notte al giorno…) e il rinoceronte (che per quanto possa sembrare aggressivo, è invece una creatura che insegna a delimitare i propri spazi con garbo nei confronti degli altri, imparando a gestire la propria rabbia e tutti quegli istinti viscerali che potrebbero rivelarsi dannosi diventando simbolo di rispetto, potere, solidarietà e libertà).

Due elementi decisamente significativi: Cambiamento e Libertà. L’uno non può esistere senza l’altro…

Evoluzione, trasformazione, scoperta,  curiosità, sfida, coinvolgimento

Senza questa concatenazione di valori, il “Rinoceronte”, stanco, diventa solo un simbolo preistorico da esibire in un circo o, nella migliore delle ipotesi, da “custodire” in un bioparco.

Cari Lettori, in Italia il 25 aprile è la Festa della Liberazione dal regime fascista e dalla occupazione militare tedesca dell’esercito nazista.

Pleonasticamente, potremmo affermare che la libertà costituisce un Diritto (e, al tempo stesso, un Dovere) basilare per ogni individuo. Diviene, quindi, uno stato di autonomia protetto da una precisa volontà e coscienza di ordine morale, sociale, politico.

In pratica, è la capacità di ogni essere umano di agire senza costrizioni o impedimenti esterni.

Ma cosa diventa, questa idea di Libertà guardandola con gli occhi di oggi? 

Chi può definirsi, veramente, libero?  Per esempio, intorno a noi, vediamo strade dove gli “adulti di domani” stazionano (con buona pace del Sars COV 2) perché non sanno cosa fare, dove il tempo è una comoda convenzione, una tabella di marcia da espletare, in cui ogni suo surplus è da riempire in qualche modo…

L’uomo moderno crede di perdere qualcosa – il tempo – quando non fa le cose in fretta; eppure non sa che cosa fare del tempo che guadagna, tranne che ammazzarlo” (Erich Fromm)

Sforziamoci di osservare meglio: probabilmente vedremo gli “adulti di oggi” affannati nella ricerca di mete da afferrare, oppressi dai rimpianti che premono alle porte e dai rimorsi che si cerca di silenziare con la ricerca di un benessere effimero

Restano, alla fine, i segni della sconfitta di un ruolo, di una professione, di un lavoro che, tra l’altro, non ci sono più. A queste condizioni, la dignità subisce la resa definitiva. 

“Chi scalza il muro, quello gli cade addosso” (Leonardo da Vinci).

Chi non ha, per sua fortuna, vissuto sotto regimi dittatoriali, tende a non tenere in conto adeguato il bisogno del sentirsi libero che, ha solo “sfiorato” durante i lockdown pandemici.

Forse la drammatica veridicità di quello di cui stiamo parlando la possiamo avvertire nell’affermazione di Piero Calamandrei quando paragonò questo diritto fondamentale e naturale, all’aria che respiriamo tutti i giorni: ci si accorge di quanto vale, solo quando comincia a scarseggiare, quando compaiono i fantasmi di quei “cittadini che tornano ad essere sudditi”.

“Vorrei essere libero come un uomo, come l’uomo più evoluto che si innalza con la propria intelligenza e che sfida la natura con la forza incontrastata della scienza, con addosso l’entusiasmo di spaziare, senza limiti, nel cosmo e convinto che, la forza del pensiero, sia la sola libertà. La libertà non è star sopra un albero, non è neanche un gesto o un’invenzione; la libertà non è uno spazio libero: libertà è partecipazione” (Giorgio Gaber).

Ma dove termina il tuo diritto e comincia il mio bisogno di “aria pulita”? 

Come giudicare, a questo punto, i profughi che solcano il mare alla ricerca di uno spiraglio di speranza, i giovani e i meno giovani nelle piazze, con le loro grida di gioia e le urla di dolore? Che pensare dei morti inconsapevoli e dei feriti innocenti che ci hanno lasciato per le varie “Ragion di Stato”?

Diranno che sei su una strada sbagliata, se sei sulla tua strada” (A. Porchia)

Gran ruolo, in tale ambito, tocca alla Scuola, vera prosecuzione di quella Famiglia che prepara le coscienze al principio di crescita e condivisione. Tristemente, non possiamo non osservare che, a livello politico non abbiamo mai assistito ad una vera riforma, capace di affrontare a testa alta le sfide di un ventunesimo secolo pieno di paure, dubbi e lati oscuri…  

Qui è il problema: La vera libertà. “Quella facoltà di pensare, di operare, di scegliere a proprio talento, in modo autonomo, capace di creare e mantenere una vera Democrazia” (Norberto Bobbio)

La nostra Costituzione è senz’altro un atto legalmente ed eticamente stupendo ma si ridurrebbe a poco più di un “pezzo di carta” (seppur nobile) se non risuonasse emotivamente nella nostra interiorità tanto da farci lanciare il cuore oltre l’ostacolo senza la paura di andarlo a riprendere…

“…libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta”.

Le parole sono quelle che Virgilio, parlando di Dante, indirizza a Catone (detto “Uticense”, uomo politico e scrittore, all’epoca degli antichi Romani), il quale essendo pagano e suicida, avrebbe dovuto essere collocato fra i grandi spiriti del Limbo nel primo cerchio o fra i suicidi nel settimo cerchio dell’Inferno e, invece, lo troviamo come custode del Purgatorio.

Questa scelta di Dante (nella sua Divina Commedia), apparentemente strana, può essere spiegata studiando la vita e il pensiero di quest’uomo che scelse il suicidio piuttosto che rinunciare alla libertà politica che ormai Cesare aveva tolto a chi, come lui, era un pompeiano.

Ed è proprio “Libertà” la parola che ci aiuta a capire perché Catone si trova nel Purgatorio: egli è morto per non accettare una condizione di schiavitù morale e, quindi, quello è il posto giusto, in quanto simbolo della libertà dal peccato che le anime dei pentiti cercano.

Cari Lettori, chi ha conquistato la libertà per noi ha sacrificato la propria vita, spesso giovane, senza poter vivere un’esistenza lunga e piena potenzialmente di tante esperienze.

Potremmo concludere che, chi non ha scelto la via del compromesso o della rassegnazione, psicoanaliticamente è come se avesse deciso di affrontare il proprio personale conflitto edipico contro l’oppressione di un simbolico potere opprimente e, invece di vestire  i panni di un Telemaco melanconico in attesa di un Ulisse giustiziere, decide di partire per mare affrontando le tempeste di ciò che troverà oltre le colonne d’Ercole di omerica memoria…

A ben riflettere, le strofe di “Bella Ciao”, la famosa canzone della Resistenza Italiana, cos’altro sono se non l’espressione di un’angoscia di morte affrontata col coraggio di un’ideale?

Ultimamente, ovunque sia concesso posare lo sguardo c’è qualcosa che sta fuori posto o che manca all’appello. E’ una sensazione strana, che rasenta il malessere; qualcosa di indefinito che scava in profondità, che non fa stare bene.

La percezione di una sorta di delirio di onnipotenza tutto proteso ad azzerare qualsiasi altra forma differente di stile di vita, di diverso modo di pensare, di alternativa manutenzione della propria dignità e coscienza. Viviamo in un paese dove le storture più eclatanti sono all’ordine del giorno: lavoratori morti in sequenza, ingiustizia penale e civile senza precedenti; bambini separati dai compagni e dal filo spinato dei diritti inalienabili degli innocenti…

C’è un feroce dispendio di aggettivi e parole sacre sul rispetto degli altri, ma quegli altri debbono risultare subalterni, prostrati, supini. Se questa è la maniera di intendere la relazione, il rispetto, la contrapposizione e la positiva conflittualità politica, allora va da sé che perfino il valore della vita umana valga quanto il peggiore dei pensieri.

Mio Dio, non ho quasi mai creduto in te, ma ti ho sempre amato” (A. Porchia).

La libertà autentica non è “da” qualche cosa, non ha una causa, è invece uno stato dell’essere libero in sé: è libertà in sé. A livello psicologico, oltretutto, libertà significa avere la capacità della propria gestione emotiva.

Come ci ricorda, infatti, Massimo Recalcati, la libertà non è una nostra proprietà, ma una condizione della nostra vita in comune.

Cari Lettori, oggi lo scenario investe una libertà che non è quella invocata ieri, perché coinvolge confini, terre, mondi, uomini e politiche diverse che divengono vere e proprie sottrazioni globali.

In questo presente, ciò che più colpisce è il significato che si evince da parole come solidarietà, giustizia e diritto, che diventano echi di un Vangelo lontano, stili di vita che avrebbero dovuto costituire una diga insormontabile per qualunque spinta all’uso della violenza.

È grave essere diversi? È grave sforzarsi di essere uguali e conformati!”

Nessuno ci ha mai spiegato che, in verità, il dolore sta in alto e non in basso. Ecco perché tutti vogliamo inerpicarci sulla scala del Successo. Qualcuno cantava che è meglio fingersi acrobati, piuttosto che sentirsi dei nani…

Insomma, cosa vogliamo, veramente, per dare, liberamente, uno scopo al nostro tempo terreno?

Cari lettori, la verità, probabilmente è che siamo delle marionette nelle mani dell’Infinito. Che, forse, sono le nostre mani…

Anche se ci sono cose che non vorremmo più imparare perché sappiamo che ci faranno soffrire, anche se esiste la tentazione di abbassare la nostra luce interiore perché siamo abbagliati da troppe verità per le quali non siamo pronti… non possiamo nasconderci il fatto che, ognuno, vive con la segreta speranza di arrivare a diventare un bel ricordo nella mente di chi gli sopravvivrà.

Mi piace camminare da solo per i viottoli di campagna, fra piante di riso ed erbe selvatiche, poggiando un piede dopo l’altro con attenzione, consapevole di camminare su questa meravigliosa terra. In quei momenti, l’esistenza è qualcosa di prodigioso e misterioso. Di solito si pensa che sia un miracolo camminare sull’acqua o nell’aria. Io credo invece che il vero miracolo sia poter camminare sulla terra”. (Il miracolo della presenza mentale di Thich Nhat Han).

Giù la testa è un film del 1971 diretto da Sergio Leone e interpretato da Rod Steiger, James Coburn e Romolo Valli (secondo, della cosiddetta trilogia del tempo, preceduto da “C’era una volta il West” e seguito da “C’era una volta in America)

Ambientato nel Messico del 1913, descrive la trasformazione di un miserabile rapinatore di carovane, in un eroe della Rivoluzione. Il prezzo, per questa conquista, sarà il dolore della perdita di tutti gli affetti più cari. D’altronde, come spiega la psicoanalisi, il superamento del “lutto delle origini” (il passaggio che ci farà crescere sul serio) comporta delle sofferenze che vanno osservate e accettate come la contropartita per avere voluto capire cosa significhi essere “adulti”

Cari Lettori, il nostro augurio è che nessuno si fermi sul cammino della illuminazione interiore ma, se qualcuno si sente troppo stanco per continuare, perché la libertà ha preteso un costo troppo alto (e, alla fine, ci si è ritrovati con delle ali di cera) faccia molta attenzione nel chiudere la finestra dove si affacciano i suoi occhi: lo spegnersi di un’anima, infatti, è lieve, moto lieve. Quasi un silenzio.

E, a quel punto, il corvo, nulla potrà per aiutare il rinoceronte morente

Se giri in tondo fissandoti la coda, sarà del tutto inutile che qualcuno provi ad offrirti nuovi Orizzonti. (Maria L. Spaziani)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento affettuoso ad Amedeo Occhiuto, per avere suggerito molti degli interessanti aforismi inseriti nell’articolo.

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