Posted on

La prima stesura di questo articolo risale al lontano 2007. Vista la tematica quanto mai attuale, il lavoro è stato completamente riscritto per essere riproposto ricco di contenuti e novità

BUONA LETTURA

Partendo dalla definizione del Dizionario Garzanti della lingua italiana, secondo cui il termine “libertà” equivale a “Condizione di chi è libero, assenza di costrizione, facoltà dell’uomo di pensare ed agire in piena autonomia”, mi sono chiesta: ma cos’è, veramente, la libertà?

“Ho cercato la libertà, più che la potenza, e questa solo perché, in parte, assecondava la prima” (Marguerite Yourcenar). Libertà trae la sua radice etimologica dal latino ed equivale alla condizione di fare ciò che piace e che fa star bene.

Ma non è rischioso dare ad ognuno la possibilità di comportarsi come più gli aggrada? E se ciò si tramuta in un danno nei confronti altrui?

Effettivamente, la condizione di persona libera (termine che, nell’antica Roma, identificava il Cittadino in possesso dei pieni diritti civili e distinto da schiavi e liberti) richiede molta maturità.

Se valutiamo che il problema principale di ogni essere umano è costituito dalla difficoltà di rapportarsi alla propria aggressività e alla paura di perdere il proprio “posto al sole” nella simbolica considerazione che, da figlio, ha avuto nel proprio ambiente di riferimento, ecco che far conciliare il diritto di Libertà con il rispetto degli spazi (fisici e mentali) altrui, non è affatto semplice.

Questo delicato passaggio, infatti, è alla base di ogni principio democratico.

“L’anima libera è rara, ma quando la vedi la riconosci, soprattutto perché provi un senso di benessere quando gli sei vicino” (Charles Bukowski).

La libertà è un valore per il quale si è sempre lottato molto e sono state sacrificate molte vite, ma, nella Società occidentale in cui viviamo, possiamo ritenerci persone “libere”?

“L’uomo è nato libero, ma ovunque io volga lo sguardo, lo vedo in catene” (Jean Jacques Rousseau). 

Mai come negli ultimi tre anni, abbiamo vissuto sulla nostra pelle il principio della limitazione di autonomia e libertà personale, anche se nel nome di un bene “superiore” quale quello della preservazione della salute collettiva (mediante i famosi e tristi Lock down).

Inoltre, le guerre che vengono ancora oggi combattute in nome di chissà quale principio, di fatto evidenziano l’infantile e mai risolta tendenza alla prevaricazione. La verità è che dall’errato rapporto col concetto di libertà, nascono problematiche che, dal semplice osservare la vita con occhi meno “sorridenti”, possono sfociare in conflittualità gravi per se stessi e per gli altri.

Che vuol dire?

Ognuno di noi è sottoposto a delle regole da rispettare, sia sociali che naturali. Per quanto riguarda le prime, è facile rendersi conto di quali siano le codificazioni con cui incontrarsi o scontrarsi (a seconda dei momenti e delle circostanze): per non correre rischi, basta essere edotti sulle leggi più comuni e sui principi più elementari del galateo.

E per le norme naturali?

Qui le cose sono un po’ più complesse

Perché?

Perché è una questione di equilibri. Ora mi spiego. 

Nella crescita personale tendente alla costruzione di una maturità interiore (cioè, l’aver raggiunto tra l’altro, una capacità di esame di realtà, una buona immagine di sé, un controllo delle pulsioni, la tolleranza alle frustrazioni) ad esempio, bisogna mirare ad un’evoluzione graduale, lenta, armonica ed equilibrata.

Chi perde di vista una simile realtà, poi si scontra con la concretizzazione di una personalità che risente di “alti” e “bassi”.

Infatti, dal momento in cui ci si dedica alla realizzazione di un obiettivo che porterà a diventare bravi in un settore (imprenditoria, ricerca scientifica, libera professione, cultura personale, etc.) si finirà per allenare (più o meno consapevolmente) alcune capacità, trascurandone altre.

Ciò crea uno sviluppo disarmonico che produrrà una serie di reazioni mentali conseguenti le quali, alla lunga, presenteranno un conto, fatto di disagi sotto varie forme. Questo è uno dei motivi per cui le persone di un elevato livello sociale e culturale si scontrano con problematiche interiori più o meno impegnative. Non a caso, gli orientali sostengono che per produrre benessere e riuscire a goderselo, bisogna essere saggi, cioè equilibrati, aggiungo io.

Insomma, “sviluppare meno ma sviluppare meglio”! Mi ricorda un antico slogan politico di sinistra, legato al mondo del lavoro. Ma non si corre il rischio di limitare le proprie capacità?

Non si può prescindere dai limiti che la Natura ha imposto all’essere umano fin dalla nascita…

Allora è vero che c’entra la predisposizione genetica!

La genetica include un libro di Storia: quella che riporta tutto ciò che è già accaduto  ma, anche e soprattutto, quella che di base è già scritta (nel senso che le dinamiche di espansione dell’universo sono già state determinate da chi ha creato l’intero “sistema”) ma che, ciascuno, ha il diritto e il dovere di realizzare con le proprie idee e con le azioni che, da esse, scaturiscono.

Io, però, intendevo riferirmi, semmai, alle “regole” che determinano il funzionamento della mente di un individuo, fin dai movimenti subatomici delle molecole che costituiscono il DNA delle “cellule pensanti”. L’accelerazione funzionale deve seguire criteri di gradualità ed equilibrio, altrimenti si determina la “sindrome della coperta corta”, che ti consente di coprire bene o i piedi o la testa, ma non contemporaneamente.

Da qui il concetto di “genio e sregolatezza”?

Effettivamente, molti personaggi fuori dal comune nel campo della cultura, delle scienze o delle arti in genere, hanno mostrato negli altri settori della propria personalità delle carenze in evidente contrasto con quanto prodotto dalla propria creatività. Questo è il prezzo che si paga nel volere eccellere partendo da una condizione di mediocrità com’è quella che la Società in cui viviamo ci “offre”.

A queste condizioni, siamo realmente liberi nel decidere i nostri percorsi di vita?

In linea di massima, la risposta potrebbe essere affermativa nel senso che basterebbe poter scegliere ciò che più piace (nel senso che si trova aderente ai gusti sviluppati nel nostro percorso di crescita avendo dei modelli di riferimento autorevoli, ovviamente) e verso cui ci sentiamo più “legati”. Nella realtà dei fatti, qualunque attività decidiamo di intraprendere, dovremo sopportare dei costi pur traendone dei vantaggi.

Quali potrebbero essere questi costi?

Innanzitutto il tempo da dedicare per prepararci ad affrontare una determinata professione; poi le difficoltà da affrontare per inserirsi in un circuito lavorativo dignitoso; inoltre c’è da considerare le frustrazioni con cui, inevitabilmente, ci si scontra durate un percorso occupazionale; infine, non si può trascurare la necessità di sapersi barcamenare tra il tempo da dedicare al lavoro e quello da utilizzare per dare alla propria vita una dimensione di completezza ed equilibrio: affetti, amicizie, tempo libero, miglioramento personale, etc.

Secondo Benedetto Croce “La libertà al singolare esiste soltanto nella libertà al plurale”: cosa c’è di vero in questa osservazione?

“Non è la libertà che manca. Mancano gli uomini liberi” (Leo Longanesi ). 

Molte volte abbiamo parlato di egoismo positivo (o di altruismo scevro dal bisogno di farsi perdonare i sensi di colpa). Mi sembra che in questo caso nulla sia di più calzante. Tanto meglio stanno coloro i quali vivono intorno a noi, tanto più possiamo goderne, in maniera diretta o indiretta… ovviamente se viviamo in un contesto solidale e maturo cosa che, a dire il vero, non si trova facilmente al giorno d’oggi!

Osservando gli altri, inoltre, possiamo renderci conto della nostra reale condizione in termini globali.

Che significa?

Che risultati abbiamo concretizzato, tenendo conto delle difficoltà che il mondo ci pone di fronte? Quanto riusciamo a godere dei traguardi raggiunti?

Il benessere economico può migliorare la nostra condizione di libertà?

Indubbiamente avere del denaro da spendere in cambio di beni e servizi può migliorare la qualità della vita. Bisogna vedere, però, a quanto si è rinunciato in cambio dei soldi. 

Sono avaro di quella libertà che sparisce non appena comincia l’eccesso dei beni” (Albert Camus).

Lei, varie volte, mi ha spiegato che la libertà assoluta non esiste, ma esiste la libertà relativa: come si traduce questo concetto nella vita di tutti i giorni?

Potrei rispondere che ognuno è libero all’interno di un terreno di “gioco” nel quale deve rispettare i parametri delle regole sociali (“la mia libertà termina dove comincia la tua”) che naturali (non si possono violare i principi e le leggi che la Fisica studia). Potrei aggiungere che, il saper stare al proprio posto senza farsi pestare i piedi dipende da come abbiamo risolto il problema del complesso Edipico e dell’efficienza di un padre che ha insegnato il binario delle regole…

In realtà, come spesso ricordo, è con la Carta di OTTAWA del 1984 (al termine della prima Conferenza  internazionale sulla promozione della salute), che si è capito il senso dell’essere “sani” e “liberi”, sul piano fisico e mentale: “Grazie ad un buon livello di salute, l’individuo e il gruppo devono essere in grado di identificare e sviluppare le proprie aspirazioni, soddisfare i propri bisogni, modificare l’ambiente e adattarvisi”.

Ringraziandola delle interessanti domande, vorrei accomiatarmi prendendo spunto da ciò che ho avuto modo di scrivere nell’articolo “Equilibri, squilibri e gettoni di libertà”, citando un passo del libro di Luciano de Crescenzo Storia della filosofia greca, in cui l’autore fa dissertare Tonino Capone, filosofo elettrauto napoletano, sulla saggezza del vivere.

“La vita quotidiana” dice Tonino “è come il Monopoli: all’inizio ogni giocatore riceve dal banco ventiquattro gettoni di libertà, un gettone per ogni ora del giorno. Il gioco consiste nel saperli spendere nel modo migliore. Noi per vivere abbiamo bisogno di due cose: di un po’ di soldi, per essere indipendenti dal punto di vista economico e di un po’ di affetto, per superare indenni i momenti di solitudine. Queste due cose però non le regala nessuno: te le devi comprare e te le fanno pagare a caro prezzo con ore e ore di libertà. I meridionali, per esempio, sono portati a desiderare il posto sicuro, lo stipendio fisso tutti i ventisette. Non dico che si tratti di un mestiere stressante, tutt’altro, però in termini di libertà l’impiego è un impegno tra i più costosi che esistono: otto ore al giorno significano otto gettoni da pagare, senza considerare gli straordinari e un eventuale secondo lavoro. E veniamo all’amore: anche in questo caso l’uomo si orienta per una sistemazione di tutto riposo, si trova moglie e spera di ottenere da lei quello stipendio affettivo di cui sente il bisogno. Pure questa soluzione ha il suo costo: nella migliore delle ipotesi sono altre ore di libertà che vanno a farsi benedire. La moglie aspetta il marito che appena finito l’orario di ufficio e lo sequestra. A questo punto facciamoci i conti: otto ore per il lavoro, sei per la moglie, ne restano ancora dieci e bisogna dormire, lavarsi, mangiare e andare su e giù con la macchina tra la casa e il posto di lavoro.”

Erminia Acri &  Giorgio Marchese

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *