Posted on

Questo articolo / intervista ha visto la sua prima stesura nel 2018. A distanza di quattro anni il bisogno di fornire (soprattutto a me stesso) nuove risposte alle tante nuove domande, mi ha indotto a rimetterci mano.

BUONA LETTURA

BUONA LETTURA

Caro dottore, partendo dalla definizione del termine “conciliazione” (dal latino “concilum” = unione, vincolo) inteso come “raggiungimento di un accordo con pacificazione”, come si può attuare questa condizione nella vita quotidiana, prima nel rapporto con se stessi, poi nel rapporto con gli altri?

Bisogna acquisire la consapevolezza del concetto di libertà relativa.

Cioè?

Ad esempio, rendendosi conto del fatto che la vita è complessa e ci pone di fronte a delle difficoltà fisiologiche, anomale, procurate da altri o da noi stessi.

E allora?

Se riusciamo a ricordarci che esiste una graduatoria di valori (che riguardano bisogni, beni e servizi), dovremmo verificare la possibilità di appagare quelli più importanti e, via via, il resto. In questo modo avremo la certezza di seguire la strada più corretta possibile, anche in circostanze difficili. E questo è il percorso, tra l’altro, che aiuta il processo che porta, poi, ad una maggiore tranquillità della nostra persona. Come vede, è un processo semplice, di cui abbiamo parlato più volte ma che, spesso, dimentichiamo.

Perché? Quali meccanismi entrano in gioco che ostacolano il tutto?

Ogni volta che ci troviamo di fronte a un problema, la nostra mente cerca di studiare delle strategie appropriate per la risoluzione. Quando i problemi sono tanti, si corre il rischio di “intossicarsi” per la produzione di tossine legate al troppo impegno priconeurologico: questo, ci fa perdere di vista quello che è più importante e non riusciamo a distinguerlo da quello che è meno importante, non siamo in grado di accorgerci della priorità di eventi da portare avanti rispetto ad altri elementi che possiamo tralasciare o, comunque, rimandare.

Se poi aggiungiamo che, per tutto ciò di cui non riusciamo a trovare una soluzione (per i motivi che le ho appena citato) rimane la fatica mentale per la ricerca della strada migliore per portarlo a termine, noi avvertiamo il fastidio di questa attività che non smette: è come chiedere a un computer di eseguire più operazioni contemporaneamente: l’apparecchio ne risente, rallenta il lavoro e, a volte, può anche bloccarsi. In questo modo, è fin troppo evidente che non riusciremo a creare alcun tipo di conciliazione interiore; infatti, creiamo dei conflitti interni per troppo lavoro mentale, senza mettere in atto una scala di priorità.

Io avverto spesso un intasamento nella mia mente, per troppi elaborati circa il mio lavoro (i miei problemi personali, etc.) dai quali non riesco a distrarmi! Addirittura, a volte, pur essendo stanca e disinteressata alla TV, accendo il televisore per costringermi a distogliere l’attenzione da continui pensieri problematici. Quando ci si trova in queste condizioni, cosa bisogna fare?

Cercare, o augurarsi di incontrare una persona con le idee più chiare, in grado di trasmettere qualche messaggio più ordinato che dia respiro alla mente. Mi permetto di evidenziare che sarebbe molto utile un confronto con un professionista Psicoterapeuta o Counselor ma, in assenza, ci si potrebbe accontentare anche di un conoscente che, in quel momento, abbia meno conflitti interiori. Questa azione servirà a distogliere l’attenzione da elaborati mentali che creano un eccessivo logorio psicologico e che portano anche alla produzione di disturbi, per stress neurovegetativo.

Però, se una persona si trova sola, come capita a me abitualmente?

Sono situazioni critiche, legate a un impegno complessivo che, come le ho detto prima, non tiene conto di una scala di valori adeguata ad una vita sana ed equilibrata.

Mettendosi in condizione di rendersi conto del fatto che, invece, si può realizzare una progettualità corretta, sarebbe utile fare in modo che ciò avvenga. Comunque, qualunque condizione (mentale e/o fisica) di stress protratta nel tempo, porta a difficoltà nelle scelte da attuare, perché i cataboliti (sostanze di scarto) prodotti sono complessi da eliminare, rispetto alle possibilità di smaltimento previste dal nostro organismo in funzione di regime di vita più “tranquillo”. Questo comporta anche difficoltà durante il sonno, con fastidi di vario genere che complicano una situazione già critica.

Ma, allora, bisognerebbe fermarsi del tutto, in certe condizioni?

La gente cerca di risolvere compensando “alla meglio”, cioè cercando delle situazioni gratificanti, gradevoli, (acquisto di beni voluttuari di vario genere, etc.): in sostanza, qualunque cosa possa riequilibrare il “sistema” psicologico e corporeo. L’ideale sarebbe mettere in piedi una modalità di gestione diversa e migliore, così da far funzionare la nostra mente in una maniera più adeguata, altrimenti, si porta avanti una situazione che, prima o poi, condurrà alla produzione di disturbi sempre più evidenti.

Quanto incide il fatto di vivere in un ambiente malsano, che crea una “biosfera” completamente inadeguata?

Purtroppo, quello in cui viviamo è un complesso che ci affatica ulteriormente in cui, però, tutto sommato, riusciamo a sopravvivere, perché abbiamo delle buone capacità di adattamento, ma mette a dura prova la nostra integrazione rispetto al mondo esterno.

Ma se il mondo esterno è troppo lontano dai criteri naturali coi quali noi viviamo bene, allora dovremmo andare a trovare un posto dove trovarci meglio?

Certo, esistono dei luoghi più “a misura d’uomo”, come (ad esempio) alcuni paesi del Nord Europa. Però, chiunque abbia messo su, un’attività lavorativa o una famiglia, in un certo luogo, creerebbe comunque una situazione di stress non indifferente di fronte alla necessità di “emigrare”; allora, è necessario attuare una serie di considerazioni per stabilire cosa conviene fare: una sorta di valutazione comparativa fra costi e benefici.

Mi rendo conto delle difficoltà notevoli che comporterebbe il trasferimento in un’altra nazione, magari più civile. Ma, rimanendo in un posto come il nostro, è possibile riuscire ad adattarsi, vivendoci bene?

Possiamo riuscire ad adattarci più o meno bene. Dovremmo evitare di ingorgarci per troppo lavoro, o, comunque, di troppe situazioni da smaltire. Se ci fa caso, anche in momenti di difficoltà come quelli che l’attuale congiuntura ci mette di fronte, noi riusciamo, comunque, a trovare il modo di stressarci!

Proprio perché, in tempi come questo, non si può andare troppo per il sottile, o si sceglie il precariato, oppure si finisce con lo svolgere un’attività che comporta un notevole impegno sia come quantità di tempo, sia come frequentazione di luoghi, di persone. Come si rimedia?

Se ne pagano le conseguenze. In effetti, tutti noi interagiamo con persone e tecnologie che ci creano frustrazioni: e sarà sempre peggio. Una volta si usavano i computer… e già, molti, generavano stress e senso di inadeguatezza, nell’utilizzo. Oggi siamo passati agli Smartphone e ai tablet che, se ci pensa bene, costituiscono una fonte di fastidio di vario genere. Gli antichi sostenevano che quello che non c’è, non si può rompere (e, soprattutto, non può arrecarti alcun danno); trasferendo questo motto nella vita contemporanea, possiamo osservare che, effettivamente, più opportunità abbiamo, più possibilità si determinano, di produrre conflitti decisionali, di generare frustrazioni o, anche gratificazioni (ma solo se ci siamo bene “attrezzati”); infatti, per ogni sollecitazione che noi riceviamo, la nostra mente produce delle pulsioni di risposta, che innescano dei meccanismi a catena i quali, anche nella migliore delle condizioni, producono reazioni, con effetti di affaticamento.

Qualunque cosa, anche la visione di un bel panorama (o l’ascolto di buona musica), comporta un’applicazione mentale che, alla lunga, stanca; infatti avvertiamo, a fine giornata, la necessità di riposare.

Caspita, è vero!

Ecco, figuriamoci una serie di eventi stressanti cosa creano, in noi! Quello che ci manca, è la cultura dell’equilibrio e l’assenza di flessibilità, che dovrebbero portarci a capire quando è il momento di fermarci e su quante cose dovremmo accontentarci, senza pretendere di realizzare ciò che facciamo, al massimo delle nostre possibilità. Noi finiamo col diventare qualcosa di simile a delle macchine costrette a funzionare sempre al top. E’ chiaro che ne risentiamo.

Come fanno, quelli che sembrano immuni, da questo stress?

Ecco, ha detto bene… “sembrano” immuni. Posso riportarle quanto descritto da Hermann Hesse in Narciso e Boccadoro“Non c’è una pace così come tu la intendi. C’è la pace, senza dubbio, ma non una pace che alberghi durevolmente in noi e non ci abbandoni più. C’è solo una pace che si conquista continuamente con lotte senza tregua, e tale conquista dev’essere rinnovata giorno per giorno. Tu non mi vedi lottare, non conosci le mie battaglie nello studio e neppure quelle nella cella delle preghiere. È bene che tu non le conosca. Tu vedi solo che io sono soggetto meno di te agli umori variabili e credi che ciò sia pace. Ma è lotta, è lotta e sacrificio, come ogni vera vita, come anche la tua”.Ma se viviamo in un sistema rigido, dove si subiscono le scadenze che impone il mondo esterno, come possiamo fare?

Ci sono dei professionisti impegnati intensamente su vari fronti, che non hanno una famiglia, che non hanno amici, che non vivono il loro tempo libero per come dovrebbero e si occupano solo di lavoro. Si dice che lo facciano per mancanza di tempo a disposizione. In realtà, realizzano questo tipo di vita, non equilibrato, molto spesso, a livello inconsapevole, per non avere altre frustrazioni da altri eventi. Mettono in atto una sorta di meccanismo compulsivo, per annebbiare la mente e non riflettere su ambiti esistenziali, particolarmente spinosi.

Ma avere una famiglia, degli amici e riservarsi del tempo libero, non sarebbe, invece, un aspetto gradevole?

Certo, tutto ciò porta delle gratificazioni, ma anche un altro impegno mentale. E se già si è raggiunta la saturazione sul piano lavorativo, andare a cercarsi altro, significherebbe attingere a delle riserve senza incrementare il patrimonio di energia disponibile. Sarebbe come prelevare dei soldi in banca non avendo deposito.

Si dovrebbe vivere senza sfruttare il capitale a nostra disposizione, cercando di far fruttare ciò di cui noi siamo capaci, senza intaccare troppo il nostro organismo: noi, addirittura, lo “consumiamo” del tutto. E’ come se arrivassimo alla fine di un fido che la banca ci concede e, a volte, andassimo anche oltre.

Ma l’energia, non si rigenera continuamente?

L’energia si rigenera (grazie all’azione dei quark dei nuclei dei vari atomi e dei mitocondri nelle diverse cellule) ma, noi, la utilizziamo per affrontare nuovi impegni, invece di limitarci a portare a termine quelli che abbiamo in corso. Molte volte, mettiamo in atto una cosa del genere, perché questo ci impedisce di pensare a quello che non va.

Cioè, se io assumo nuove incombenze, posso dedicare poco tempo e poco spazio allo studio degli impegni che ho in corso e produrrò dei risultati insoddsfacenti. Maggiore sarà il volume di lavoro, minore sarà la possibilità che, io, avrò di pensare adeguatamente, magari, sia a quello che mi preoccupa che a tutto ciò che mi consenta di effettuare valutazioni per il medio e il lungo periodo. questo sistema del valutare solo per l’immediato, innesca un meccanismo non positivo. E’ come l’imprenditore che cerca di ottenere appalti usando la liquidità dei primi pagamenti per far fronte a delle spese di lavori che ha già in corso, senza portare a termine questi ultimi, dai quali non riceverà saldi… e si mantiene solo con gli anticipi. Prima o poi, fallirà.

In una vita difficile come la nostra, è necessario crearsi degli elementi che funzionino in qualche settore, per far riposare la mente quando ci interfacciamo con questi ultimi. Se, nelle varie operazioni che portiamo avanti nella giornata, impattiamo solo con frustrazioni, non ce la facciamo a smaltire e finiremo col rifiutare di averci a che fare.

E quindi?

Saremo vittime, prima o poi, di crisi isteriche, che scateneranno o reazioni violente col mondo esterno o qualche psicosomatosi.

A queste condizioni, cosa bisogna fare?

Fermarsi.

Infischiandosene degli impegni?

Tanto, prima o poi, se non si cambia “musica” ci si dovrà fermare lo stesso per i malesseri prodotti. Bisogna non perdere di vista la priorità, cioè:

1) io devo sopravvivere;

2) devo cercare di vivere bene;

3) devo rendermi conto di quello che ho e che, tutto sommato, funziona.

Comunque, non è facile vivere in maniera equilibrata perché noi ci troviamo ad interagire con un sistema disequilibrato.

In conclusione, cosa possiamo aggiungere per capire, fino in fondo, cosa significa conciliare?

Posso riproporre quanto ho già scritto in un precedente articolo. Il termine conciliare indica il raggiungimento di un accordo con pacificazione. Questa condizione dimostra il grado di maturità raggiunto nella capacità di comunicare, con se stessi e col mondo esterno, evidenziando un meccanismo di adattamento, cioè quel processo per cui un individuo, un gruppo o una popolazione subiscono modificazioni favorevoli alla loro sopravvivenza, in risposta a un cambiamento ambientale. La necessità di conciliare, con se stessi e con gli altri, nasce dal bisogno di armonizzare dentro il proprio mondo (per vivere più tranquillamente), sentimenti ed emozioni vitali che, altrimenti, diverrebbero torrenti impetuosi nei vortici dell’inconsapevole.

Come si fa ad avere un buon rapporto tra la propria energia psichica e la propria energia corporea?

Rispettando le proprie esigenze ed appagando le proprie necessità, in maniera adeguata, godendo dei traguardi raggiunti e senza costringersi a fare ciò che non si vuole. Ognuno di noi è in grado di generare la propria salute psicofisica: tanto più si riesce a creare accordo e condizioni di armonia di sentimenti, opinioni ed idee, tanto meglio si vive.

Ciò accade nel momento in cui si dà valore a quello che si realizza, con il piacere di fare pace con se stessi e riuscendo a battersi una pacca sulle spalle Le proprie, ovviamente.

Come ci salutiamo?

Con un aforisma.

Bene!

Forse gliel’ho già proposto. Comunque, riconsiderarlo non guasta: “La serenità è ascoltare, tra piante e cespugli, la voce del vento. E sentirsi parte dell’Universo” (Anonimo).

Si ringrazia Erminia Acri, per la formulazione delle interessanti e motivanti domande senza le quali, questo lavoro difficilmente avrebbe visto la luce.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *