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La solitudine è per lo spirito, ciò che il cibo è per il corpo (Seneca)

“Io non ho più paura, quando tu stai con me. Se ti tengo per mano, anche negli anfratti più scuri, io mi sento sicuro come se, in mezzo al cielo, fosse già spuntato il primo raggio di sole. Però mi assale un sentimento di angoscia quando mi scopro ad attenderti… con le ombre della paura che mi assalgono; con lo sguardo, ti cerco fra la gente ignara… con questo tuffo nel cuore ogni volta che sto qui ad aspettare te. Ti prego, spiegami cos’è che non mi fa mai stare lontano da te. Spiegami perché sento continuamente il bisogno di accarezzarti. Io non ricordo più com’era prima che tu apparissi all’orizzonte della mia vita. Probabilmente, prima di te c’era poco o niente intorno a me. Spiegami cos’è che… se ti guardo… sono geloso anche di me stesso. Non fa freddo stasera… è perché sei con me. Restiamo ancora un po’ sotto la luce fioca di questo lampione che ci ha visto scambiare il primo bacio… vorrei ascoltare dalle tue labbra che non ci lasceremo più, come un giuramento sacro… come se, questa sera, io fossi Napoli e tu… il suo magnifico golfo” (G. D’alessio – testo riadattato).

“E’ strano quante cose bisogna sapere, prima di sapere quanto poco si sa” (Cit.)

Una difficoltà che ci accomuna è data dalla paura di non riuscire, dalla paura di sbagliare. Molti di noi, infatti, al mattino si svegliano con una speranza: riuscire a costruire qualcosa di bello, qualcosa di buono sia nell’arco della propria giornata, sia per ciò che riguarda tutto il prospetto dell’esistenza, almeno per ciò che riusciamo ad immaginare.

Infatti, all’idea di trascorrere del tempo in maniera immotivata o demotivante ci abbattiamo e ci deprimiamo; però, quanti di noi, poi, rimangono con la certezza di riuscire a dare un senso al tempo che trascorre e quanti, invece, cominciano (magari di fronte alle prime difficoltà) a dubitare di riuscire a portare a casa un risultato degno di tale nome? Beh, l’osservazione che ci proviene tanto dalla gente comune quanto dai più saggi, è quella cui possiamo giungere riflettendo quel tanto che basta per riuscire ad accettare l’idea che ognuno di noi, in fondo commette degli errori e che la vita di ogni essere umano è alternata da successi e insuccessi… e questo non solo per cattiva valutazione ma, soprattutto, per elementi non previsti e difficilmente considerabili, che ci mettono in condizione di dover rimodulare le strategie ipotizzate.

“Non vale la pena avere la libertà se questo non implica avere la libertà di sbagliare” (Gandhi).

In fondo le paure, tutte quante, derivano dal rapporto che ognuno ha con se stesso e con il mondo esterno. Sono preoccupazioni dalle quali, a volte, si cerca di fuggire applicandoci e distraendoci con quello che la Società ci consente e ci mette a disposizione.

Perché si ha paura della solitudine?

Il termine in questione, secondo i dizionari della lingua italiana, identifica la condizione di chi vive solo, in modo permanente o per un lungo periodo, ricercata per acquisire pace interiore o subita per assenza di affetti o appoggi materiali. La risposta, quindi, consiste nel fatto che tutto gira in funzione del peso che le diamo e di eventuali circostanze avverse, perché la solitudine non dovrebbe essere qualcosa nel rapporto fra noi e il mondo esterno ma, al contrario, una situazione che connota un nostro corretto modo di essere, per alcuni aspetti, avvincente.

In realtà, tutto gira intorno ai primi momenti della nostra vita in cui abbiamo percepito di essere “soli” e non “siamesi” di quell’astronave che è stata nostra Madre, durante la gravidanza e almeno fino ai primissimi anni di vita.

Si parla di “lutto originario” o angoscia abbandonica, ma si traduce in “prezzo da pagare per capire cosa significa crescere”.

Che cosa si vuole intendere?

Ognuno di noi, nell’arco della propria giornata, trascorre tantissimo tempo a riflettere, a meditare, a volte a rimuginare… e di questo ce ne accorgiamo attraverso quello che comunemente si definisce “umore”. Anche quando ci troviamo immersi in una folla, per intanto cerchiamo di capire come contestualizzarci e, quindi, come integrarci e come inserirci per cui, anzitutto “viene” il rapporto con se stessi poi, con chi ci sta vicino o intorno.

Allora, siccome la solitudine può essere considerata il nostro alter ego, perché si utilizza questa frase per identificare qualche cosa di negativo?

“Solo chi si isola da se stesso e dal prossimo è veramente solo” (Nicola Abbagnano).

La solitudine, siccome ci sintonizza con le frequenze del nostro mondo interiore, costituisce un amplificatore di stati d’animo; di conseguenza, pur appartenendo a principi di Natura, ci fa consapevolizzare la paura sentirci inadeguati a sostenere il dialogo con quella parte di noi che ritroviamo ogni mattina quando ci osserviamo in quello che Eduardo De Filippo chiamava “ò guarda n’faccia”, colui il quale ha mancanza di rispetto nei nostri confronti, quello che ti dice esattamente come stanno le cose. Quando, furtivamente, ci incrociamo con chi sta dall’altra parte riflesso nello specchio dell’anima e qualcosa non va, beh… quest’ultimo ce lo manda a dire!

Ecco perché la solitudine, a certe condizioni, può diventare difficile da sopportare.

Cosa conviene fare? Come si affronta e come si risolve il problema?

Proviamo ad imparare (da 5autodidatti o con l’aiuto di qualcuno di cui potersi fidare) come fare per andare meglio d’accordo con l’unica persona che ci accompagnerà tutta la vita: noi stessi. In questo modo cominceremo ad apprezzare il tempo da trascorrere in nostra compagnia… leggendo un libro davanti ad un caminetto, ad ascoltare il crepitio della fiamma, o in mezzo ad una moltitudine di persone: in fondo non conta.

La paura di rimanere soli potrebbe condurre a fare delle scelte avventate?

Dipende dalla difficoltà del sostenere la presenza di chi ci crea disturbo. Mi spiego meglio. Immaginiamo come deve sentirsi una persona, a pranzo, seduta a tavola con un partner con cui non ha più nulla da spartire… il silenzio che cade diventa insostenibile e si attivano dei meccanismi interiori che hanno una ripercussione sul sistema neurovegetativo producendo, alla lunga, dei malesseri fisici. Quel silenzio, infatti, dichiara meglio di mille parole, tutto il fastidio, tutte le delusioni, tutti i dolori, tutta la rabbia che sta all’interno di quel silenzio privo di concettualizzazioni verbali ma ricco di trasmigrazioni di intenti conflittuali. Ecco, il partner più fedele che noi possiamo avere è quello che incontriamo, come dicevo prima, ogni mattina allo specchio e che non ci abbandona fino all’ultimo momento di vita, fino all’ultimo respiro… Quanto è difficile sostenere il suo sguardo sapendo che, magari, stiamo commettendo un errore, dei torti nei nostri e nei suoi confronti… e allora, pur di non essere costretti ad un resoconto consuntivo, cominciamo a cercare dei mezzi, dei sistemi per allontanarci: la compagnia di qualcuno “a prescindere”, la compagnia di qualcosa “a prescindere”…

Perché, a volte, capita di alternare periodi in cui si sta veramente bene con se stessi a momenti in cui si cerca di sfuggire la propria compagnia?

Dipende da quello che si sta attraversando, il che coinvolge più fattori e non tutti, necessariamente negativi. È facile immaginare che, in presenza di momenti conflittuali, si è portati a cercare qualcuno con cui sfogarsi, così come se, alla stregua di un bambino molto preso dal piacere della scoperta neutrergica, ci trovassimo a riflettere su elementi estremamente interessanti, vorremmo prolungare i momenti di solitudine. Al di là di questo, si cerca la compagnia altrui anche in altri frangenti. Ad esempio, ognuno di noi si trova a trascorrere periodi di tempo propositivi e costruttivi, realizzando progetti e, di conseguenza, “costringendo” il nostro metabolismo neurofisiologico a subire un certo quantitativo di stress. In conseguenza di ciò, nel caso di prolungata attività (soprattutto se non ce ne accorgiamo perché assorti in applicazioni interessanti) così come gli aerei in volo continuativo che necessitano di rifornimento senza possibilità di atterraggio, ci diventa utile e necessaria la presenza di qualcuno da cui ricevere carica positiva ed a cui trasmettere un po’ di tensione che disturba i nostri elaborati. 

La vita, insomma è fatta di equilibri. 

“La morte non è nel non poter comunicare, ma nel non poter più essere compresi” (Pier Paolo Pasolini)

Esistono altri motivi che ci spingono a cercare gli altri?

Se, per caso, ci siamo resi conto di aver fatto qualcosa di veramente interessante, di aver costruito una nuova idea, di aver realizzato oltre ogni aspettativa, in quei momenti torniamo ad essere i bambini che volevano mostrare al mondo intero il risultato della loro opera e non vediamo l’ora che arrivi qualcuno per poterci confrontare.

Com’è possibile ignorare se stessi e pensare di farla franca?

Per lo stesso motivo per cui si imbroglia, si ruba, si rapina, si violenta, si vive sistematicamente al di là della norma. Basterebbe riflettere sul principio che, è solo una questione di tempo e poi, inesorabilmente, si viene scoperti. Ma in quei momenti prevale l’ebbrezza di essere riusciti a fare qualcosa nonostante le nostre incapacità… e poi in qualche modo, si farà fronte al prezzo da pagare.

C’è una sorta di immaturità aggiuntiva che complica il discorso perché rende difficile l’aiuto che qualcuno ci potrebbe dare perché, fin tanto che noi non riconosciamo di avere necessità di una parola di chiarimento o di conforto, ebbene, sarà oltremodo improbabile uscire da uno schema che si avvita in maniera restrittiva e non ci porta alcunché di positivo. In effetti, chiunque provi ad andare contro principi di correttezza per lungo tempo, ne pagherà le conseguenze in maniera variabile in funzione dei danni che ha prodotto a se stesso o agli altri e alla successiva capacità di riparazione o di miglioramento di se stesso.

Esistono, infatti, delle condizioni, come ad esempio quelle che riguardano persone che hanno commesso delitti per i quali è stato comminato l’ergastolo che, grazie ed a seguito di questa esperienza, scoprono il valore di sentirsi utili per tentare di fare pace con quella parte buona di sé, che altrimenti li condannerebbe a vita… e questo sarebbe peggio di qualunque altro tipo di punizione.

L’amicizia verso se stessi è di fondamentale importanza, perché senza di essa non si può essere amici di nessun altro (Eleanor Roosevelt).

Come ho avuto modo già di scrivere, esiste una solitudine diversa per ognuno di noi perché, ognuno di noi, ha un diverso modo di approcciarsi alla solitudine. A volte è un bisogno da soddisfare, altre volte un mostro da cui scappare.

Cos’è, che determina la differenza?

La Cultura, intesa, non solo come “quel bagaglio di conoscenze importanti, che vengono trasmesse di generazione in generazione” ma, anche, nel rispetto della definizione latina, che si riferiva alla capacità di “coltivare”, soprattutto l’animo umano. Questa “base” (la cultura, appunto), ci consente di sintonizzarci al meglio alla realtà, cioè all’evidenza del fatto che siamo soli, in qualsiasi circostanza e contesto.

E allora, siccome siamo tante isole con castelli dagli infissi murati, dopo aver accettato questo aspetto della vicenda, in base a come organizziamo il rapporto con la nostra solitudine, all’interno di quelle stanze, ci “vivremo” come degli autistici disadattati, o come dei Robinson Crusoe, capaci di uscire nei cortili di questi nostri castelli (magari attraverso cunicoli) e mandare e ricevere messaggi, inviati mediante delle catapulte che superino, nella gittata, l’altezza dei muri di cinta.

Solo quando smarriamo il senso delle cose che facciamo, avremo paura di restar soli e di non avere qualcuno con cui confrontarci e da cui avere sostegno.

Cari Lettori, nell’immagine di copertina risalta una bambina che disegna con un gessetto un cerchio che andrà a chiudersi con gli eventi della propria esistenza. Nel mentre, accarezza il proprio peluche che, simbolicamente, ricorda il passato ma che, agli occhi di questo essere in crescita, diventa un trampolino da cui partire verso l’avventura della vita.

In fondo, “solo nei sogni, gli uomini sono davvero liberi: è da sempre così e così sarà per sempre”

Chi ci ha preceduto, ci ha insegnato che esistono “dolori” che hanno perduto la memoria e non ricordano perchè sono dolori e ci ha esortato a non “perdere di vista” le cose veramente importanti perché lo spegnersi di un’anima è lieve, moto lieve, quasi silenzio. Eppure, anche le difficoltà passano, come tutto passa, senza difficoltà. Col senno di poi.

Al netto di ogni condizionamento, nessuno di noi, consapevolmente, prenderebbe per il sentiero che conduce a morire.

Eppure, la Fisica ci spiega che le nostre particelle di tempo giocano con l’eternità per cui, con sufficiente tranquillità, possiamo concludere che se non ci fossero luci che si spengono, le luci che si accendono non illuminerebbero il cammino già tracciato ma, ancora da migliorare.

Buona passeggiata, allora, in propria ottima compagnia.

“Solo da non poterne più , tra due nuvole e l’alba, passo da un camion all’altro e la faccio da padrone. Solo, in mezzo a questa confusione, solo così mi riesco a contare, così solo che mi parlo e mi posso ascoltare! Solo come una scarpa su un biliardo, pronto per un nuovo imbarco: ma è lontana la mia nave. Difficile arrivare, per ora usiamo il cannocchiale. Solo come un’armonica a bocca senza bocca… un bacio caduto per terra… Solo come uno che sta per tornare dalla guerra, tra la verità che non si dice e una bugia detta male. Qui, comunque, qualcosa non funziona: bisognerebbe controllare! E’ solo chi sta in casa tutto il giorno e a non far niente si stanca… o quelli che, per forza, li trovi ogni sera dove si beve e si canta. Solo e pesante come il sonno dei bambini… soli ogni notte nel letto. Era solo anche mio padre, poveretto che, per farmi dormire, rimase solo e la favola è ancora li da finire. Solo come in America, seduto davanti al mare… Ti ricordi che solo che ero a Los Angeles quando ti ho vista arrivare… che eri sola anche tu. Bene, mettiamoci insieme e non pensiamoci più! Il ragionamento filava, non ti sembra? Eravamo due soli Che si guardavano in faccia. Ci si guardava a vicenda. Se questa è la vita di qui non si scappa. Ogni cosa ogni giorno la cambia: nel deserto, una tempesta di sabbia; S’incazza anche il mare ma dopo un’ora si calma. Telefoniamoci, magari vediamoci. No, aspetta, stasera non so… No, va bene lo stesso… Proviamo a parlarci, ad amarci più spesso. Va bene, parliamo domani però, perché proprio adesso? E no, ciccia mia, la vita è la mia… Ci sono altre cose che si possono fare, per intanto mi chiudo in casa e ricomincio a pensare. Solo da non poterne più, tra due nuvole e l’alba. Ma ero più solo quando c’eri anche tu!
Però qualcosa mi manca… Solo davanti a tutti i campanelli, così solo che mi metto a suonare… sono i momenti più belli e con te non si poteva mai fare. Solo come in America, seduto davanti al mare… Ci scommetti che torno ci torno e mi siedo? Qualche cosa dovrà pur arrivare!” (Lucio Dalla).

La solitudine è una cosa senza la quale non si fa niente, senza la quale non si guarda più niente. (Marguerite Duras)