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Il decreto legge n. 269/2003, convertito nella legge 326/2003, ha introdotto un nuovo regime delle spese legali nelle cause previdenziali, sostituendo il contenuto dell’art. 152 disposizioni di attuazione codice di procedura civile, il quale nella formulazione originaria, così disponeva:

“Il lavoratore soccombente nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali non è assoggettato al pagamento di spese, competenze ed onorari a favore di istituti di assistenza e previdenza, a meno che la pretesa non sia manifestamente infondata e temeraria”, e che è stato così riscritto dal legislatore del 2003:

“Nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali o assistenziali la parte soccombente, salvo comunque quanto previsto dall’art. 96, primo comma cpc., non può essere condannata al pagamento delle spese competenze ed onorari quando risulti titolare, nell’anno precedente a quello della pronuncia, di un reddito imponibile ai fini IRPEF, risultante dall’ultima dichiarazione, pari o inferiore a due volte l’importo del reddito stabilito ai sensi degli articoli 76, commi da 1 a 3, e 77 D. Lgs. n. 113/02. L’interessato che, con riferimento all’anno precedente a quello di instaurazione del giudizio, si trova nelle condizioni indicate nel presente articolo formula apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione nelle conclusioni dell’atto introduttivo e si impegna a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito verificatesi nell’anno precedente. Si applicano i commi 2 e 3 dell’articolo 79 e l’art. 88 del cit. D. Lgs. n. 113/02”.

Emerge, quindi, che la parte soccombente può essere condannata alle spese per il semplice fatto di avere un reddito superiore a certi limiti stabiliti con riferimento alla normativa sul gratuito patrocinio.

Tralasciando ogni valutazione politico-sociale sulla scelta del legislatore, i procedimenti avviati dopo il 30 settembre 2003 possono concludersi, in caso di soccombenza, con una condanna dell’interessato alle spese oltre che in caso di infondatezza e temerarietà della sua domanda, anche se ha un reddito superiore a certi limiti stabiliti con riferimento alla normativa sul gratuito patrocinio, cioè specificamente, quando non risulti titolare, nell’anno precedente a quello della pronuncia, di un reddito imponibile ai fini IRPEF, risultante dall’ultima dichiarazione, pari o inferiore a due volte l’importo del reddito stabilito ai sensi degli articoli 76 e 77 del Decreto legislativo n.113/02. Per l’anno 2023 il reddito da non superare ( compreso quello dei familiari conviventi) ammonta ad euro 25.676,02.

 Erminia Acri-Avvocato