Il declino della DESTRA POLITICA ed il mancato decollo della SINISTRA POLITICA: la Storia si ripete?
A partire dal Cavour, il costituito Regno d’Italia si riconobbe nella classe dell’alta borghesia, dal momento che l’unità della nazione, faticosamente raggiunta con moti rivoluzionari e guerre d’indipendenza, era stata perseguita, ma solo, dai ceti nobiliari, dai grandi latifondisti, dai nascenti gruppi industriali, ai quali premeva gestire, insieme alla corona, il potere politico, a tutela dei propri interessi.
Il popolo “minuto”, quello costituito dalla massa dei contadini, di proletari, anzi, di uomini adibiti ad ogni sorta di fatica, esposti costantemente alle difficoltà del vivere quotidiano, era stato tenuto debitamente a distanza da ogni possibilità di scolarizzazione e, conseguentemente, dai grandi eventi politici; l’unica possibilità di sopravvivenza, per la massa dei diseredati, la si poteva trovare o nel servizio militare a lunga ferma per i giovani che sopravvivessero alla malaria ed alle malattie figlie della miseria, o nel condividere terra e fatica con le pecore, i buoi ed i maiali, che rendevano tronfi ed accidiosi i grandi proprietari agrari.
A sorvegliare il mondo dei contadini erano adibiti i cosiddetti “fattori”, una sorta di caporalato che dirigeva con aspra autorità coloni e mezzadri; né si pensi che il contadino potesse godere dei frutti arborei e delle rendite del bestiame, a lui affidato, a proprio piacimento, perché tutta la produzione agricola ed il numero dei vari capi di bestiame erano annotati, tutti, nel registro che il “fattore” recava con sé, nelle sue ossessive ed improvvise visite nei vari appezzamenti dei rispettivi padroni, per cui la morte accidentale di un agnello o di un qualsiasi animale da cortile non poteva essere né cucinato, né, tantomeno, consumato dal nucleo familiare del colono: bisognava aspettare l’arrivo del “capoccia” perché constatasse la morte accidentale e non provocata dell’animale, appeso a marcire ad un ramo; altrimenti, se la morte dell’animale fosse stata provocata dolosamente, si rischiava la scacciata dal fondo e la conseguente miseria più cruda e nefasta per tutta la famiglia del contadino; un po’ come sarcasticamente ci descrive il Parini, nel suo capolavoro “Il Giorno” allorché tratteggia, nell’inimitabile verseggiare sacro a Talìa, l’episodio della “vergine cuccia”, la cagnetta dei Serbelloni pestata, accidentalmente, dall’incauto cameriere, che, per tale “misfatto”, viene scacciato e ridotto sul lastrico unitamente alla sua famiglia.
Questa prolissa introduzione consente di esemplificare l’incapacità della “destra liberale” di quel tempo ad affrontare quei difficili momenti che subentrano, inevitabilmente, al sorgere di nuovi rivolgimenti politici e territoriali; ne è esempio attuale l’unificazione della Germania, lo sgretolamento dell’U.R.S.S. e la faticosa, problematica ed ancora di là da venire unità europea.
Dicevamo che la morte di Cavour lasciò incompiuto il grande progetto politico e né il Ricasoli, che gli succedette, (ancorché pervaso da una sorta di puritanesimo morale e religioso) dimostrò qualità politiche degne del suo predecessore; meno che meno, gli altri rappresentanti della destra che guidarono i governi del nuovo Regno d’Italia: parlo dei Lanza, dei Sella e dei Minghetti, per i quali l’unico obiettivo della loro azione amministrativa si incentrò nel perseguire il pareggio del bilancio statale; certamente, questi ultimi furono severi amministratori della cosa pubblica, inasprendo, in modo assurdo, il fiscalismo delle imposte indirette, i cui effetti strozzarono nella miseria più nera la massa dei poveri, in particolare quella dei contadini e degli operai ( oggi subiamo la stessa crisi nella quale sono invischiati anche i ceti impiegatizi ) e, quasi come una nemesi storica, nel momento che il Minghetti, nella seduta parlamentare del 16 marzo 1876, annunciava il risanamento del deficit del bilancio, gli veniva votata la sfiducia ed, insieme a lui, finiva il governo della Destra.
Se gli attuali nostri governanti ponessero mente alla storia politica nostrana dovrebbero ricavarne motivi di salutare ammaestramento: ma l’orgoglio delle ideologie ed il culto della personalità sono demoni ai quali difficilmente si rinuncia, a partire da Cesare fino ai nostri giorni.
Ed iniziò il periodo politico della Sinistra al potere nella quale il popolo vide il sorgere di una era nuova, fatta di progresso economico e sociale; ma ci si dovette ricredere amaramente, perché anche la cosiddetta Sinistra era costituita da elementi borghesi, da avvocati, intellettuali, giornalisti, da scrittori e da poeti, (non molto diversa da quella attuale) che si richiamavano agli stessi ideali risorgimentali della Destra, e che godevano di quel feudale sistema che riservava loro l’esclusiva elettorale, dal quale sistema erano esclusi i nulla tenenti e gli analfabeti. Ovviamente, quelli della destra e quelli della sinistra si distingueva per il diverso modo di “apparire”; riservati e bacchettoni, i primi; esuberanti e goliardici, i secondi; attaccati alla tradizione ed alla rigidità censuale, i primi; riformisti, ma solo, nei proclami, i secondi: tutti, però, incapaci di attuare riforme incisive per il popolo.
Con Depretis va al potere la Sinistra: siamo nel marzo del 1876.
A novembre dello stesso anno vengono indette nuove elezioni che vedono la vittoria schiacciante della Sinistra, con l’elezione di 400 deputati, contro i 120 della Destra; ed i governi del Depretis gestirono l’Italia per quasi un decennio. Ma come fu possibile ciò? Allo stesso modo come fu possibile alla Democrazia Cristiana gestire il potere dal 1948 al 1992. La lezione di Depretis, in merito, fu lampante e significativa: Infatti dobbiamo al metodo di gestione politica del Depretis il termine, oggi in voga, ” TRASFORMISMO”.
Proviamo a spiegarlo, prescindendo, per ora, dalla sua significazione negativa.
In effetti, il Depretis, al fine di garantire il più possibile la durata dei suoi gabinetti e, nel contempo, dare ai cittadini la certezza di un‘amministrazione centrale capace di svolgere i propri compiti e l’attuazione di programmi impegnativi, volle considerare i deputati, tutti, al di là delle loro specifiche aree politiche d’appartenenza, impegnati al benessere della nazione, invitando, perciò, anche “gli avversari” ad una partecipazione amichevole della gestione del potere, per il bene supremo della Italia.
Infatti, nel periodo del suo primo incarico, quando la sinistra non aveva ancora la maggioranza alla Camera, formò il ministero con uomini della sinistra, ma per tenersi buoni i moderati della Destra evitò la nazionalizzazione delle Ferrovie, in modo da evitare la sfiducia da parte dei gruppi della Destra, e frenare i mugugni della Sinistra che, altrimenti, avrebbe dovuto sconfessare i propri ministri ; e ci riuscì in pieno quando, per calmare i più esagitati della Sinistra, promise elezioni anticipate – quelle del Novembre 1876 – che sancirono il trionfo, appunto, della Sinistra, per come sopra specificato. E da allora che il termine Trasformismo – nato per trasformare in sostenitori della politica governativa anche gli avversari, in nome di un interesse superiore – divenne sinonimo di accordi “sottobanco” non per la tutela di interessi generali, ma per rafforzare un sistema di alleanze politiche al fine di gestire il Potere il più a lungo possibile; e siccome l’avidità umana non conosce limiti, in nessuno dei propri fini, e giocoforza pervenire, di poi, al punto di rottura per ricominciare a tessere diversi equilibri che vanno sotto il malinteso termine di “Alternanza”.
E mentre il secondo ministero Depretis è in atto ( siamo nel periodo Novembre 1876, marzo 1878 ) due grandi avvenimenti turbano l’opinione pubblica. il 9 gennaio 1878 muore a Roma, all’età di 58 anni Vittorio Emanuele II; a distanza di quasi un mese, e precisamente il 7 febbraio dello stesso anno, muore, all’età di 86 anni Pio IX, portandosi nella tomba l’anatema contro casa Savoia e lasciando un popolo indeciso se adempiere al dovere verso le istituzione dello Stato oppure al dogma della infallibilità papale sancita dal Concilio Vaticano Primo del Settembre 1870.
Sale al trono Umberto I; la storia d’Italia non ce lo tramanda come un Figlio che abbia saputo eguagliare la grandezza del proprio padre; ma di lui parleremo prossimamente.
Giuseppe Chiaia (9 luglio 2004)
Fine Letterato, Docente e Dirigente scolastico, ha incantato generazioni di discenti col suo vasto Sapere. Ci ha lasciato (solo fisicamente) il 25 settembre 2019 all’età di 86 anni. Resta, nella mente di chi lo ha conosciuto e di chi lo “leggerà”, il sapore della Cultura come via maestra nei marosi della Vita