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Da solo, lungo l’autostrada, alle prime ombre della sera… quante volte ho ripetuto il rituale che mi porta lontano dalle cose del mondo, quando può bastare un niente per farti stare bene, al di là del già vissuto.

Ma questa volta ho qualcosa, si… qualcosa che lascia la mia mente incollata al finestrino dell’immaginazione: perché non so capire che cosa c’è di vero, nell’arco della vita, fra l’impegno e il desiderio di qualcosa di più.

Qualcosa che mi porta a pensare al rapporto con mia Madre

Madre è un termine comune a quasi tutte le lingue del mondo e significa “misuratrice, ordinatrice”, da cui tutto trae origine, in maniera ordinata. Ecco quindi, che, etimologicamente, identifica “ciò che produce”“che contiene” e, quindi, porta in sé, la sorgente, la causa prima.

Ciascuno di noi viene concepito e cresce in un mondo femminile che, fisicamente (quindi, senza voler mancare di rispetto ad alcuna), può essere definito come un “contenitore attivo equivalente ad un terreno di coltura capace di induzione epigenetica, anche se condizionato dall’esterno”. Cioè, un organismo in grado di fornire tutto quello che serve (dalle primordiali frequenze di oscillazione elettromagnetica, all’aria, al cibo…) per far si che, cellule a forma di mora, diventino un bambino!

In momenti come questo, tenta (e, a volte, ci riesce) di farsi strada un sentimento misto, di nostalgia e malinconia.

Si, perché ricordo abbastanza bene il particolare rapporto di reciproco affetto e stima, con chi mi ha dato la vita ma, anche, il senso di colpa legato al non esserle restato adeguatamente vicino, quando lei ne aveva maggior bisogno.

Eppure, io, sto bene.

Non come quando sogno: è come un’apparente, illogica allegria, dal momento che ho deciso di prendermi il diritto di vivere il presente. Il mio appartenere al qui ed ora.

“E tu mi vieni a dire che l’uomo muore lontano dalla vita lontano dal dolore e in questa quasi indifferenza non è più capace di ritrovare il suo pianeta fatto di aria e luce”

Già, il vecchio Gaber (ammirazione condivisa con mia madre)… quante notti, trascorse insieme convinti di non accorgerci di essere al capolinea, al termine del mondo! Ma quand’è che qualcuno sceglie, veramente, oltre lo smarrimento, al di fuori del pentimento?

“E sento che hai ragione se mi vieni a dire che anche i più normali, in mezzo ad una folla diventano bestiali e questa specie di calma del nostro mondo civile è solo un’apparenza, solo un velo sottile”.

E se io volessi dirmi che tutto quel che accade fa parte della vita?

L’ultimo giorno di scuola, il primo bacio, il bar aperto per il bicchiere della staffa… il vero amico, l’amore… l’ultimo e il primo, quello più vero e il più sofferto, che mi ha costretto a diventare grande senza invecchiare, a saper guardare nella giusta direzione… al tutto e al niente: un’ellissi onirica che sta per giungere al suo apogeo!

Quel che resta insostituibile della madre è la testimonianza che può esistere ancora, nel nostro tempo, una cura che non sia anonima,  una cura capace di accogliere la rugiada che viene alla luce del giorno… Ed è proprio questo amore che la maternità ha il compito di custodire”. (Massimo Recalcati)

Per essere aiutati a “crescere”…

Niente più passato, niente più rimpianti, in una vita a colori con qualche istante di bianco e nero, facendo sì da evitare i toni di grigio.

Cara Madre, cosa dirti?

Qualcuno ha detto che, essere stati amati profondamente, ci protegge anche quando, la persona che ci ha amato, non c’è più.

In quanto parte di me (la parte tenera del bambino che attende la tua mano) sei ciò che vorrei sognare per svegliarmi, al mattino e regalarti il mio “grazie”, pensando: “Però che bella, la ruga del sorriso!”

“E tu mi vieni a dire, che c’è anche odio ci sarà sempre qualche guerra qualche altro genocidio e anche in certi gesti che sembran solidali non c’è più un individuo siamo ormai tutti uguali”.

Mi hai aiutato a capire il fatto che, senza impegno, non avrei ottenuto  alcun risultato e, soprattutto, mi hai spinto (in una sorta di “salto edipico”) a comprendere e ad accettare l’idea che avrei dovuto camminare da solo ad affrontare i mali della vita, magari sotto i tuoi occhi vigili capaci di assorbire la mia angoscia del vuoto, nell’attesa di una Donna adeguatamente “responsiva”, in grado di ricordarmi la tua incredibile reverie.

Una figura, insomma, per uscire dall’inverno “esistenzialista” ed abbracciare la  primavera, con lo stupore dell’uomo coi capelli da ragazzo che, chiudendo gli occhi, riesce ad ancora ad immaginare l’Amore, pur nell’alba del proprio tramonto.

Un cielo, un mare. Un orizzonte e un approdo, una stretta di mano, come la gioia e il dolore che, comunque, alberga nel mio cuore.

Una volta mi spiegasti che si invecchia solo quando non si ha più voglia di imparare, o quando si crede finito il proprio tempo dell’amore… quando si perde la voglia di meravigliarsi perché, la vita, costringe (per fortuna) a rinascere, giorno per giorno.

“Caro Giorgio, conserva sempre una frase o un pensiero sul quale riflettere ogni giorno. Io faccio così. Di tante cose che leggo salvo sempre qualcosa. E ricorda, tanto più ti accetterai per come sei, tanto più facilmente potrai diventare quello che vorrai”.

Io non sono più quell’animale che pretendeva di incantare e strappare la scena con movenze consumate dalla mia sfrenata ambizione. Tu invece, per me sei sempre quella stella che non muore: “perché la vita è fantasia, è coraggio, è lotta dura con la voglia di inventare…”

“E tu mi vieni a dire, quasi gridando, che non c’è più salvezza, sta sprofondando il mondo ma io ti voglio dire che non è mai finita che tutto quel che accade fa parte della vita”

Ciao, Ma’. Pur essendo un soldato della vita, porterò per sempre l’immagine di noi che, mentalmente, ritrovo in ciò che ho scelto per la copertina di questa lettera che ti ho dedicato: due stelle che si sorridono.

Per quanto difficile possa essere la vita, c’è sempre qualcosa che è possibile fare. Guardate le stelle invece dei vostri piedi! (Stephen Hawking)

Da solo, lungo l’autostrada, alle prime ombre della sera… riesco a scorgere, finalmente, il segnale della mia uscita: seconda stella a destra…

Quello, è il cammino.

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento particolare ad Amedeo Occhiuto, per gli aforismi proposti