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Questa è la terza parte del lavoro “Fede e Ragione” ( per continuità espositiva si propone di leggere le parti precedenti presenti in questa sezione del magazine ) e qui si tratterà Il tema degli ” Universali “, che necessita, ora, di una più completa analisi storica, ancorché, come già detto, anticipata nei due precedenti articoli apparsi su questo giornale.

Cominciamo col domandarci che cosa si intende, in filosofia, col termine “Universale”.

Si è già detto che questa problematica venne innestata da un trattato sulle “categorie aristoteliche” dal filosofo Porfirio di Tiro ( 234 – 305 ), al quale si deve il merito di aver fatto conoscere anche le opere ed il pensiero di Plotino, filosofo, quest’ultimo, che operò un vasto commento alla filosofia platonica; da cui, il ” Neo-Platonismo “.-

Con la sua ” ISAGOGE ” , o, ” Introduzione “, Porfirio si propose di svolgere – sotto la forma letteraria del dialogo – un commento alle ” Categorie “, considerandole non come strutture razionali (che Aristotele, invece, aveva mutuato dal linguaggio comune), bensì, come astrazioni che non appartengono alla capacità razionale dell’uomo, ma il cui valore è, addirittura, di natura metafisica.

Lo scritto di Porfirio fu, poi, ripreso e tradotto in Latino dal filosofo Anicio Torquato Severino Boezio, con l’intento di armonizzare il pensiero dei due massimi filosofi greci: Platone ed Aristotele.

Da quel periodo storico, iniziò una delle più interessanti questioni filosofiche che coinvolse i pensatori della scolastica, a partire dal secolo XII e che dura ancora al giorno d’oggi.

Ci si cominciò a chiedere quale fosse la natura di termini, universalmente usati, come quelli di : “Specie”, “Genere”, “Tempo”, “Luogo”, “Sostanza”, ecc.

Con questi termini, Aristotele dava una spiegazione linguistico-grammaticale alla sua “Logica”; Con Porfirio e Boezio, si accentuò la specificità ontologica e metafisica dei suddetti termini. Ma, è con la filosofia Scolastica che le “Categorie” perdono il significato classico, per divenire “IDEE”, non più platoniche, ma realmente esistenti nella mente di Dio; aventi una propria realtà la quale preesiste alla singolarità delle cose materiali, e verranno chiamate: “UNIVERSALI ANTE REM” ( ovvero Universali preesistenti alla sostanza materiale); ed una volta che queste idee si concretizzano nella realtà, sono esse stesse a qualificarsi di per sé per diventare “UNIVERSALI IN RE” ( ovvero Universali calati nella sostanza materiale ); solo a quel punto la Ragione è capace di astrarre, “a Posteriori” ( dopo ), dalle essenze delle cose, la loro significazione specifica, per cui si hanno gli “UNIVERSALI POST REM ” ( universali ricavati dalla sostanza materiale ); in tal modo, l’uomo li concretizza in concetti, raffigurazioni mentali, parole.

Sarà questa la soluzione – alla quale perverrà la scolastica – da cui scaturirà la preminenza della Fede sulla Ragione , e non solo; si darà validità razionale alle verità di Fede. Le “Categorie Aristoteliche” – intese, originariamente, come attributi di sostanze finite – diventano, allora validi supporti per una intelligibile trattazione della Essenza divina.

Prima di proseguire oltre, appare opportuno un breve cenno sulle “Categorie” che, per Aristotele, rappresentavano i “predicati” necessari a spiegare, in modo scientifico, “ciò che una cosa è”, allorchè, in una formulazione logico-grammaticale, si vuole dare significazione ampia al soggetto della frase, per meglio spiegare cosa il soggetto rappresenti, quale il suo rapporto con la realtà, è necessario l’uso di attributi e complementi, capaci di meglio determinare la funzione del soggetto.

Aristotele, nella sua ” Logica “, spiega i modi in cui l’Essere si qualifica attraverso le “Categorie “, delle quali ne elenca dieci, esse sono:

  • la “Sostanza “: ad es.: l’uomo,
  • la “Quantità “: ad es. uno, molti, tutti,
  • la “Qualità “: ad es. il genitore,
  • la ” Relazione”: ad es. il figlio,
  • il ” Luogo “: ad es. in casa,
  • il ” Tempo “: ad es. oggi,
  • il “Trovarsi “: ad es. sul letto,
  • l’ ” Avere “: ad es. la proprietà,
  • l’ ” Agire “: ad es. correre,
  • il ” Patire “: ad es. la condanna.

Fra tutte le categorie, però, Aristotele considera la “Sostanza” come la più importante; tant’è che egli distingueva tra “Sostanze Prime” e “Sostanze Seconde”; la sostanza prima, proprio perché tale, non è mai attributo di un soggetto, e non può mai identificarsi con soggetti diversi; le sostanze seconde, invece, sono rappresentate sotto l’aspetto della “specie” e del “genere ” ; per cui, se consideriamo la specie più semplice, ad es. l’individuo, notiamo che esso è la specie di un genere più ampio: l’animale, che, a sua volta, è conglobato in un genere ancora più ampio: quello dei ” viventi “.

Ma, oltre i termini ultimi, la Ragione non è più capace di formulare ulteriori “generi “; allo stesso modo, pur prefigurando una causa da cui scaturisce un determinato effetto, è inimmaginabile innescare un procedimento a ritroso, all’infinito, per cui diventa razionalmente necessario prefigurare una “Causa Prima” che abbia dato origine alla realtà dell’universo, atteso che gli attuali astrofisici propendono per la finitezza del Cosmo.

La conclusione dell’articolo alla prossima settimana, nel frattempo….non cambiate canale ( di comunicazione).

Prof. Giuseppe Chiaia (13 maggio 2002)