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Questa storia si svolse nel corso di un’epoca stupefacente, il Settecento. Il tempo della ragione, un’epoca nella quale il genere umano si rese conto di poter svelare i misteri dell’universo con la mente. I filosofi naturali erano a tal punto affascinati, addirittura inebriati da questa idea da svegliarsi col solo pensiero di voler scoprire qualcosa anche a costo di morire.

Fra questi vi era René Antoine Ferchault de Réamur. René era per un usare un eufemismo uno molto portato per la scienza. Dopo brillanti studi era diventato fin da giovanissimo membro dell’Accademia reale delle scienze di Parigi. Quando c’era un problema chiamavano lui. René andava, risolveva e poi da signore rifiutava pure il compenso, come quando nel 1722 portò a termine importanti studi sulla creazione dell’acciaio dalla ghisa o come quando inventò il termometro ad alcol con la scala che ancora oggi porta il suo nome.

Fra tutte le meraviglie del creato ve n’è una che lo faceva letteralmente impazzire: gli insetti. Perché gli animali e le rocce sono si affascinanti, ma gli insetti? Creature piccolissime che però sembrano possedere un ordine, una gerarchia, una struttura sociale, una mente unica al lavoro. E fra gli insetti in particolare il suo cuore batteva per le api, che per anni studiò con attenzione maniacale. Fu così attento da riuscire ad andare oltre all’imperante pregiudizio patriarcale che vedeva anche questi sagaci insetti capeggiati da un Re e a capire che sono invece condotti da una Regina. Dall’immenso lavoro ricavò sei volumi che oggi sono considerati la base dell’entomologia moderna.

Fra le tante curiosità che lo colpivano una riguardava gli alveari e in particolare il favo: la parte che contiene il miele con la sua struttura che oggi chiamiamo “a nido d’ape”. Come mai sempre quella forma?  Esisteva uno schema, una regola per agire in quel modo?

E qui l’intuizione geniale, un fulmine nella mente di René che racchiude tutto il Settecento, tutta la scienza di ieri e di oggi. Una domanda meravigliosa che probabilmente gli spezzò il respiro, gli tolse il sonno e la fame. E se le api seguissero le regole auree della matematica per costruire con meno materiale il contenitore più solido e grande possibile?

Così, da scienziato, chiese aiuto a un suo amico matematico, tale Johan König. Il problema sottoposto all’ignaro amico al quale non doveva svelare l’interesse per le api per non influenzarlo, recitava: tra tutte le celle esagonali a fondo piramidale qual è quella che può essere costruita con minor materia?

Capite la meraviglia di questa ipotesi? Le api che muovono intorno alle stesse leggi che regolano le stelle?

König, dopo aver faticato non poco, arrivò al seguente risultato: l’angolo ottuso deve essere di 109 gradi e 26 primi e l’acuto di 70 gradi e 34 primi. Una differenza minima, di soli due primi di grado, rispetto alle rilevazioni eseguita sul favo.

Grandioso, non trovate? Certo una discrepanza minima c’era e doveva apparire anche fastidiosa. Nel Settecento infatti la natura era un’orchestra fatta di piante, rocce e animali e quell’errore di due primi suonava come una stecca, una sbavatura irritante.

Così la questione fu accantonata. Almeno per un po’. Fino a quando al largo delle coste inglesi un vascello, con lenta e inesorabile sicumera, si sfracellò contro la costa. Più che di una tragedia si trattò di un evento imbarazzante: la nave era proprio inglese e tutti i membri dell’equipaggio furono tratti in salvo. Certo un conto era naufragare tra i ghiacci del passaggio a Nord Ovest o su qualche scoglio della Papuasia dopo una tempesta tropicale, ma centrare la madrepatria non era ciò che ci si aspettava dalla flotta più potente e prestigiosa del mondo. Così, senza perdere il proverbiale contegno inglese, fu aperta un’inchiesta. Il comandante con il sussiego tipico dei comandanti inglesi dichiarò senza indugio di aver calcolato correttamente la rotta. E l’ammiragliato chiese allora di poter verificare. Ed effettivamente i calcoli del comandante erano giusti. Solo che la nave sarebbe dovuta passare pochi metri più in là, a distanza di sicurezza dalle rocce che aveva invece centrato.

Se il comandante non aveva sbagliato i calcoli, allora qualcos’altro doveva esser sbagliato. Il colpevole a sorpresa risultarono essere le tavole logaritmiche che servivano a calcolare la longitudine, guarda a caso le stesse che avevano usato König e René.

Così una volta corrette le tavole ed effettuati nuovamente i calcoli emerse che il lavoro delle api e i calcoli umani combaciavano perfettamente. Le api avevano risolto da secoli il problema matematico di costruire con meno materiale possibile il vaso per contenere il miele più solido e grande.

Ora, a parte il fatto che le api da secoli probabilmente si tramandano questa storia da generazioni, torniamo per un attimo alla domanda di René, a quel geniale istante in cui fu colto da un fantastico dubbio. Torniamo a quella domanda perché nonostante siano passati praticamente tre secoli da allora e noi oggi di una tecnologia inimmaginabile fino a pochi decenni fa, quella domanda se ci pensiamo bene, non ha perso il suo fascino e la sua profondità.

Torniamo a quella domanda per chiederci se oggi è ancora viva quell’idea, quel sentimento di meraviglia che animava René e i suoi coevi. Perché nonostante la tanta tecnologia, a me pare che oggi quell’idea sia andata persa o che sia quantomeno sbiadita.

Mentre se invece ce ne riappropriassimo ogni mattina ci ricorderemmo che il nostro mondo è ricco di giacimenti di bellezza ancora inesplorati che sono alla portata di tutti, ci sveglieremmo con la voglia di scoprire e conoscere, con la piacevole necessità di dare ordine al caos, con la consapevolezza di far parte di una poesia alla quale non si può scrivere la parola fine; ci sveglieremmo innamorati di ciò che circonda e dunque più disposti a costruire che a distruggere, a sorridere che ad arrabbiarci, a sopportare più che a lamentarci.

Per qualunque consiglio bibliografico, per ogni approfondimento o anche solo per l’inconsueto piacere di fare due chiacchiere con un storico, vi invito a scrivermi a storie.di.scientifica.ironia@gmail.com

E vi ringrazio per ogni prezioso commento che vorrete lasciare.

Dario De Santis, PhD

Canale Youtube Storia di scientifica ironia [https://www.youtube.com/channel/UCE5_5h12f8xrGo1_7jbJe8Q]

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