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Nel precedente articolo è stato trattato, in forma necessariamente succinta, la problematica relativa alla FEDE e alla RAGIONE; come, quest’ultima, sia parte integrante del bisogno di fede; e come la medesima scaturisca dall’intelletto che si serve della ragione per riordinarsi e coordinarsi.

Non so fino a qual punto sia giunto l’interesse del lettore in merito; pur tuttavia, mi accingo a svolgere ulteriormente il Tema, avvertendo che, quanto sarà oggetto del presente scritto, è da intendersi come manifestazione di una interpretazione dialettica e mai apodittica. Nel precedente articolo si è fatto cenno al filosofo PORFIRIO di Tiro, nato intorno al 232 d. C. e morto agli inizi del 305.

A Lui si deve la conoscenza della produzione scritta del suo maestro PLOTINO: le ENNEADI; ma, oltre a ciò, notevole fu la sua attività letteraria e filosofica, e, fra le proprie opere, assume grande importanza la “Introduzione alle Categorie aristoteliche “, trattato che è più noto col titolo di “ ISAGOGE “ termine greco che sta ad indicare “ discorso introduttivo”. Con tale scritto, PORFIRIO si pone un arduo problema: quello di spiegare se le “ Categorie “ – le quali costituivano, per Aristotele, concetti ultimi elaborati dalla Ragione – non avessero soltanto un valore propedeutico a sostegno della “ logica “, ma, addirittura, un valore metafisico, capace, cioè, di spiegare lo stadio intermedio tra l’ “ UNO “ di PLOTINO ed il mondo sensibile. Questa concezione sviluppava il dualismo platonico, costituito dal mondo sensibile e dal mondo delle “ IDEE “; infatti, con PLOTINO ebbe inizio la scuola “neoplatonica“ che fu l’antesignana della filosofia scolastica, tesa a comprendere razionalmente le Verità di Fede, nel senso che esse Verità non bisognano di indagini razionali, in quanto sono garantite dalla Tradizione , ma vanno difese e spiegate; ed a ciò, dà valido aiuto la filosofia della logica, elaborata dai Greci. Bisogna, ancora, premettere che, col termine “ SCOLASTICA “ si intende quella scuola di pensiero, che improntò di sé il periodo medievale che va dal secolo XI, al secolo XIV, la cui attività didattica si svolse, precipuamente, nelle chiese e nei conventi, nelle abbazie e nelle cattedrali, dove venivano impartite le “ Arti del Trivio e del Quadrivio “,meglio note come “ Arti Liberali”.

Le materie del Trivio ( tre vie ) avviavano allo studio più esaltante ed erano costituite dall’insegnamento della Grammatica, della Dialettica e della Retorica, intesa, quest’ultima, non nell’accezione negativa con la quale, oggi, viene intesa, ma come la più alta forma di eloquenza. Le arti del quadrivio comprendevano, invece, studi specifici, di natura scientifica e che riguardavano l’Aritmetica, la Geometria, la Musica e l’Astronomia.

Ne derivava che a questi studi, di natura “filosofico-teologica“ fu di grande ausilio la filosofia greca, ed in particolare, quella platonica ed aristotelica, se non altro, per l’indirizzo ed il metodo epistemiologico che se ne ricavava .

Ma c’è un motivo più profondo che informa di sé il rigorismo pedagogico della Scolastica e che vale la pena segnalare.

E’ notoria la caratteristica storica del Medioevo; esso rappresentò il lento rinascere di una società che si strutturò, faticosamente, sulle ceneri dello IMPERO ROMANO, travolto, militarmente, dalle invasioni barbariche , dal momento che ogni forma di economia, ogni scambio commerciale cessarono di colpo e per lunghi decenni: città e vie di comunicazione furono sconvolte. L’ unica possibilità di sopravvivenza veniva ricavata da un tipo di agricoltura, resa sempre più povera dallo sfruttamento intensivo del terreno.

Ovviamente, anche il pensiero e la cultura, in genere, si erano atrofizzati ed una visione stoicamente rassegnata si era impossessata dei superstiti.

“ L’AGORA’ “ del V e IV secolo a. C. si era spopolata fin dal tempo della invasione macedone; del Foro di Roma non rimanevano che colonne smozzicate arabescate dall’edera e dalle ortiche. L’unica aspettativa di salvezza era riposta nei testi sacri ; la vita terrena , vissuta nella miseria, nelle sofferenze e nelle pestilenze, diventava caparra necessaria per la conquista del Paradiso.

Ma, una volta cessato il furore barbaro, furono gli stessi nuovi dominatori a recuperare l’eredità amministrativa e giuridica della Roma classica. Furono dissepolti gli antichi codici che furono travasati nelle leggi romano-barbariche.

E poiché anche gli dei erano stati sepolti sotto le macerie dei loro templi, i re barbari compresero l’importanza morale del Cristianesimo, il suo valore politico ed il carisma personale che ne avrebbero ricavato.
Rinasceva l’Impero, romano solo di nome, a cui si affiancava la Chiesa, il cui prodotto fu il Feudalesimo. Queste tre grandi strutture – Chiesa Impero e Feudalesimo – gerarchicamente rigide, riuscirono, tra il secolo VIII ed XI , a proporsi come istituzioni necessarie e capaci di garantire una parvenza di ordine sociale e politico. Ma, allorché il castello ed il suo feudatario persero ogni importanza e divennero inutili baluardi per un invasore che non esisteva più, i traffici, i commerci, l’artigianato e gli scambi economici ripresero vita, una volta superata l’angoscia del “ Mille e non più Mille “ (e che ha fatto capolino, appena due anni or sono, in qualche fragile e superstiziosa coscienza, allorché siamo entrati nel terzo millennio) Conseguentemente, la rigida gerarchia precedente divenne un ostacolo alla libera intraprendenza individuale. Nacquero le libertà comunali, l’uomo riacquistò fiducia in se stesso, ed avvertì il bisogno di autoregolarsi con proprie strutture politiche ed amministrative.

E nasce la società comunale guidata dai suoi Borgomastri, dai Podestà, dalle assemblee dei saggi; rinasce la filosofia, prende forza una nuova libertà di pensiero che, pur riconoscendo il valore della Rivelazione, ripropone l’accordo tra Fede e Ragione.

Ma è, anche, il bisogno di ampliare l’indagine che il pensiero vuole svolgere, sulla natura, sulla politica, sulle scienze, su tutta la realtà, che è l’immagine tangibile della potenza creativa di Dio.

In ciò svolgerà grande influsso la filosofia scolastica che, meditando sulla complessità dei misteri divini, si servirà della Ragione per ricavare varie e diverse formulazioni teologiche, nei periodi storici che vanno dall’ XI al XIV secolo.

Se, culturalmente, la Scolastica ha la propria origine storica nel neoplatonismo di Plotino, storicamente, essa si riallaccia a quella notte di Natale dell’ 800, allorquando Papa Leone III impose, sulla testa di Carlomagno, il diadema imperiale. E con tale cerimonia nasceva il potere temporale del Papato; ed il Re dei Franchi, erroneamente, interpretò quel gesto come sottomissione della Chiesa al potere imperiale; semmai, fu il contrario, dal momento che la corona non era offerta ma calata, per grazia di Dio, sulla testa del prescelto, al triplice grido di esultanza dei presenti – ecclesiastici e nobili – secondo l’usanza per l’incoronazione dei Cesari: “ A CARLO, piissimo augusto, coronato da Dio, grande e pacifico imperatore, vita e vittoria “.

In tal modo la Chiesa trovava tutela nel braccio secolare dell’imperatore, ma sviluppava una potestà politica che avrebbe informato di sé tutta la storia del mondo occidentale; con ciò non si vuole esprimere un giudizio negativo sulle vicende storiche del Papato; qui preme rilevare l’importanza di quell’evento che ha consentito alla nostra civiltà – da POITIER in poi – di fermare la penetrazione araba nell’ Europa, oltreché raccogliere, preservare e curare gran parte della letteratura classica latina.

Carlo Magno non fu soltanto un illuminato imperatore, capace di regolare, tutelare e sviluppare, con l’azione amministrativa, legislativa e militare, il suo vasto impero; egli fu, altresì, il propugnatore della cultura classica che si sviluppò, grazie all’istituzione della Scuola Palatina, da lui voluta ed affidata al saggio monaco Alcuino.

A questa scuola affluirono letterati e sapienti da ogni paese europeo, qui affinarono il loro sapere laici e chierici, alcuni dei quali influenzarono notevolmente la cultura di quel tempo; nella scuola palatina si approfondirono gli studi dei testi sacri, ma anche quelli sui testi classici; dove, in definitiva, nacque, per la prima volta, l’amore e lo studio delle “ HUMANAE LITTERAE “ e che non fu patrimonio esclusivo di quell’ esaltante periodo della nostra letteratura, più noto come “ UMANESIMO “.

E non è azzardato affermare che ,con Carlo Magno, non solo riprende nuova vita l’immagine dell’ Impero Romano, ma l’ intuizione di uno Stato sopranazionale, antesignano di quel progetto europeistico, che dopo 1200 anni comincia, appena, a realizzarsi. E poiché Carlo Magno è considerato il più importante e famoso discendente dell’ antico popolo germanico dei Franchi, gli storici tedeschi tuttora lo considerano il fondatore del primo “REICH “.
Con queste finalità e dall’incontro fecondo di culture diverse, la Scuola Palatina si propose come il crogiolo del sapere filosofico e teologico dell’ epoca, dove, sotto l’ influsso del pensiero classico greco, la Ragione sposta i propri orizzonti, osando oltrepassare i limiti dell’ esperienza naturale per alzare la propria indagine oltre l’ ultima barriera del mondo sensibile, alla ricerca affannosa della Verità ultima e che, con un atto di coraggiosa volontà, potremmo scoprire soltanto se fossimo capaci di guardare in noi stessi; “ IN INTERIORE HOMINIS HABITAT VERITAS “, AMMONIVA San Tommaso; ma, ancor più lapidario risuona nei secoli il motto, qui scritto come si legge in Greco Antico, inciso sul frontone del tempio di Apollo a Delfi “ GNOTHI SAIUTON “, tradotto in Latino “ NOSCE TE IPSUM “, in Italiano “CONOSCI TE STESSO “.

Ancora una volta, FEDE e RAGIONE confluiscono nell’unità psico-fisica dello Individuo e dalla scuola palatina, dalla filosofia scolastica sboccia quella vivacità di pensiero che darà vita al problema degli “ UNIVERSALI “; problema che, suscitato dalla “ ISAGOGE “ di Porfirio, infiammerà una parte cospicua del pensiero filosofico medievale e moderno e che sarà, più opportunamente, trattato nel prossimo articolo che questo giornale pubblicherà.

Giuseppe Chiaia (26 aprile 2002)