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L’art. 1 solennemente afferma che la sovranità appartiene al popolo, il quale la esercita attraverso la propria delega elettorale ai parlamentari, i quali ultimi esercitano una funzione delegata, altamente qualificata, senza vincolo di mandato; come è possibile – ci si chiede – svolgere la più prestigiosa delega – quella legislativa – prescindendo dall’obbligo di adempiere al mandato?

Eppure, nella trascorsa legislatura, abbiamo assistito ad un vero esodo biblico di deputati e senatori, trasferitisi da una coalizione politica ad altra di opposta ideologia; qualcuno afferma che questi emigranti atipici erano tutti esperti latinisti che, con il loro comportamento, hanno voluto dare pratica attuazione al famoso verbo latino “PETERE”, che, fra i vari significati, annovera la famosa espressione “PETERE AB ALIQUO AD ALIQUEM”, cioè, “passare da un partito ad altro partito”.-

Ciò era lecito ai nostri antichi padri del diritto ” e noi che figli siamo……”

All’art.2 della precitata Costituzione si legge che “la Repubblica….. …..richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica , economica e sociale”; ma, ad oggi, per quanto ci si guardi intorno, ancora non si riesce ad individuare l’ente, la persona giuridica, la struttura operativa alla quale spetti l’adempimento e la tutela dei suddetti doveri.

La Rivoluzione Francese sancì, con la parola “Fraternità”, il principio solidaristico al quale erano tenuti tutti i cittadini, avendoli considerati come i principali protagonisti e fautori del benessere sociale.

 Quell’ideale illuministico ha pervaso tutte le moderne costituzioni democratiche, per cui, anche la nostra, per analogia storico-politica, propugna un confronto dialettico e pacifico delle ideologie politiche; purtroppo, ai nostri giorni, c’è chi, ancora, confonde la libertà del pensiero con la lotta di classe, per cui si sente legittimato a munirsi di mazze e spranghe (trent’anni or sono usava la P 38) ed, in corteo tumultuante, mettere a soqquadro una città e distruggere ed incendiare i beni dei privati cittadini; allora ci si domanda: ma ha ancora validità costituzionale il divieto di riorganizzare il disciolto partito fascista, visto che chi la pensa diversamente rischia manganellate in testa ?

Qualcuno, poi, dovrebbe spiegare, almeno a me, quella che sembra un’altra contraddizione logico-linguistica che si riscontra leggendo l’art. 34 della Costituzione, laddove si garantisce il diritto allo studio (“la scuola è aperta a tutti!”), subito ridimensionato dal successivo corollario: “la Repubblica riserva ai capaci e meritevoli il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”; concetto, quest’ultimo, che mette i brividi a tutti i moderni pedagogisti. Ed allora ci si domanda :

-Chi sono i capaci?

Quando e come si diventa meritevoli?

-Si è capaci per nascita, censo, per struttura fisica eugenetica?

E si è meritevoli solo se si frequentano scuole e collegi esclusivi riservati ai figli delle agiate classi politiche e alto-borghesi, le cui rette e costi rappresentano il più efficace mezzo di esclusione per chi non dispone di redditi adeguati?

-E di quelli che frequentano le varie scuole delle tante Pietralata o delle tante Barbiana che ne facciamo?

La risposta sembra ovvia: li avviamo ad ingrossare le fila dei lavoratori socialmente utili; e se va un po’ meglio, tutt’al più, sulle incerte impalcature dell’edilizia o lungo le assolate e tragiche autostrade gestite dall’ANAS.

E se si ha la sventura di nascere nei quartieri spagnoli o negli ZEN delle tante Napoli e Palermo, a questi bimbi mal nutriti, mal vestiti, maleodoranti perché a loro manca persino l’acqua potabile, chi spiegherà loro il concetto di “EGALITE'”?

È bene, però, tenere sempre in debita considerazione l’enorme potenziale evolutivo-giuridico che rende la nostra Carta Costituzionale una delle migliori del mondo civile.

Prof. Giuseppe Chiaia – preside (13 ottobre 2002)