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Non solo “cosa”, ma anche “come”

«È davvero sorprendente che con doti così modeste io sia stato capace d’influire in modo tanto notevole sulle opinioni degli scienziati su alcuni importanti problemi». Con queste parole Charles Darwin chiudeva la sua autobriografia.

Quando pensiamo alla storia del naturalista che riuscì a spodestare l’essere umano dal trono della creazione, la nostra attenzione viene comprensibilmente attratta dalla teoria presentata nel 1859 con la pubblicazione del celebre “L’Origine delle specie” [On The Origin of Species by means of Natural Selection].

Al di là della brillante idea, che ancora oggi rimane in nuce esatta e valida, vorrei concentrarmi su un altro aspetto altrettanto rilevante che spesso passa in secondo piano.

Attratti dal “cosa” scoprì Darwin raramente ci interroghiamo sul “come” raggiunse questi risultati, sul metodo che lo proiettò nell’Olimpo dei grandi d’Occidente.

Il coraggio

Il giovane Charles ebbe il coraggio di intraprendere un viaggio a dir poco avventuroso intorno al mondo, che durò ben 5 anni. Stipato su un brigantino di 27 metri che trasportava 75 persone, costretto a condividere la camera (si fa per dire, parliamo di una specie di armadio nel quale poteva sdraiarsi) con il comandante del vascello, l’arcigno Robert FitzRoy, il coraggioso naturalista ebbe modo di osservare una varietà di fenomeni e animali inimmaginabili. Proprio in questo contesto ebbe un’intuizione che avrebbe cambiato il corso della storia.

Pazienza

Se l’intuizione è solitamente il momento venerato da storici e letterati, un istante di magica sintesi durante il quale, grazie a processi misteriosi, il nostro cervello plasma nuove conoscenze, ciò che segnò davvero il corso degli eventi fu quello che accadde negli anni successivi. Darwin infatti non fu l’unico a formulare la celebre ipotesi: qualche anno dopo un suo amico e collega  più giovane, Alfred Russel Wallace, giunse alle stesse conclusioni mentre si trovava nell’arcipelago malese. Animato da una comprensibile e giovanile euforia, decise di pubblicare e presentare subito le sue conclusioni. E sapete cosa successe? Nulla. Assolutamente nulla: pochi presero sul serio le sue argomentazioni, nessuno ne rimase impressionato. Perché? Perché nella scienza, come nella vita, non basta una buona intuizione.

Falsificare la propria ipotesi

In che senso? Cosa fece di diverso Darwin da Wallace? Per semplificare il più possibile il concetto potremmo dire: dopo aver formulato un’ipotesi plausibile, ma tutta da dimostrare, Darwin divenne il critico più severo di se stesso. Lavorò instancabilmente, per anni, con l’onestà intellettuale propria di chi cerca di scoprire qualcosa libero da pregiudizi e interessi personali: tentò in tutti i modi di falsificare il suo assunto e fu così che trovò invece prove che ne confermavano la validità.

Il naturalista di Shrewsbury, uomo dai modi pacati, tipico gentiluomo inglese, celava un’indole determinata e metodica: un connubio vincente se hai intenzione di cambiare il mondo. Quando a un certo punto si stancò di lavorare assiduamente alla teoria dell’evoluzione per selezione naturale che covava da anni e che aveva effettivamente dimensioni spaventose – perché riguardava più o meno tutte le creature viventi in un arco di tempo pari alla vita del pianeta, – decise di prendersi una pausa e di dedicare un po’ di tempo a un oggetto di studio concreto e preciso. Fu così che passò otto anni a studiare i cirripedi, divenendo così uno dei più grandi esperti al mondo di questi esseri non proprio entusiasmanti. Ricordando in seguito questi otto anni di faticoso lavoro, confessò di aver sentito il bisogno di capire tutto, di scoprire ogni segreto di un piccolissima parte del mondo.

Era fatto così: metodico, preciso, acuto e paziente.

Scriveva ancora nella usa autobiografia: «Ho sempre cercato di tenermi libero da idee preconcette, in modo da poter rinunciare a qualunque ipotesi, anche se molto amata (e non so trattenermi dal formularne una per ogni argomento), non appena mi si dimostri che i fatti vi si oppongono. Non è mi dato di agire diversamente».

Lavorò in questo modo per venticinque anni. Venticinque.

D’altronde tanto più vasta e importante è la teoria, tanto più è necessario lavorare per tentare appunto di falsificarla.

Quando fu certo, oltre ogni ragionevole dubbio, dell’ipotesi formulata tanti anni prima e più volte rivista e migliorata, diede alle stampe il suo volume. Senza che nessuno se lo aspettasse (tanto meno l’editore) il libro andò esaurito in pochi giorni.

La stessa idea proposta un anno prima da Wallace, ma alimentata dal metodo di Darwin infiammò gli animi dando vita a un dibattito senza precedenti. Oltre a descrivere con precisione la teoria, Darwin riuscì a illustrare con chiarezza e onestà le risposte che aveva trovato a tutte le possibili obiezioni, a tutte le critiche che avrebbero immediatamente soffocato ogni possibile analisi.

Onestà intellettuale

Saper mettere alla prova ogni propria convinzione, con la stessa severità con cui dubitiamo di un fatto non verificato. È questa l’eredità più preziosa che ci ha lasciato oggi quest’uomo: perché al di là della sua teoria, oltre i confini della biologia e più in generale della scienza, questo modo di procedere è una regola aurea per qualunque ragionamento, in ogni ambito e occasione.

Ogni volta che la nostra mente è portata a generare una legge che spieghi dei fenomeni, in ambito scientifico, politico, economico, filosofico, ma anche puramente personale, dovremo essere pronti a lavorare duramente per dimostrarla. Tanto più duramente quanto più ampia e generale sarà la legge che intendiamo formulare. Inoltre non dovremo cercare prove a favore della nostra ipotesi iniziale, perché così facendo rischieremo di cadere in un tunnel cognitivo che ci mostra solo indizi favorevoli (magari deboli o addirittura fallici) portandoci a scartare o a non vedere gli indizi contrari. Falsificare la propria ipotesi aiuta a metterne in luce i difetti: per abbandonarla (dobbiamo essere pronti a farlo spesso) oppure per migliorarla. In questo modo rafforzeremo il nostro pensiero critico e di conseguenza il nostro giudizio.

Questa impostazione ci porta inoltre a una seconda riflessione: imparare a spostare la propria emotività dall’idea al processo conoscitivo. Nel senso che non dobbiamo attaccarci morbosamente ad un ipotesi (anche se è umano e comprensibile), ma dobbiamo divertirci nel mettere in atto il suo processo di validazione.  Non dobbiamo legarci a una verità, ma al processo di conoscenza e dunque orientare diversamente la nostra emotività.

Il valore degli altri

Non solo: se e quando riusciremo a ragionare davvero in questo modo, vedremo nel confronto con le altre persone un’ulteriore verifica: non proporremo più la nostra teoria agli altri per ottenere plausi e lodi, ma per migliorare il nostro processo conoscitivo.

Il confronto con le persone tornerebbe a essere un momento di costruzione del sapere e non una mera ricerca di approvazione o peggio di scontro. Come dovrebbe essere in un ambiente democratico e scientifico.

Quali erano dunque le “modeste doti” a cui faceva riferimento Darwin nella sua autobiografia? «L’amore per la scienza, un’infinita pazienza nel riflettere lungamente su ogni argomento, gran diligenza nell’osservare e raccogliere dati di fatto, e una certa dose d’immaginazione e buon senso».

Dario De Santis Phd

Storico della scienza

storie.di.scientifica.ironia@gmail.com

Storie di scientifica ironia:

Le regole del gioco #2 – Falsificare la propria ipotesi: l’eredità di Darwin

2 Replies to “Falsificare la propria ipotesi: l’eredità di Darwin”

  1. Interessante presentazione. Osservo solo che l’introduzione del concetto di falsificazione dell’ipotesi richiederebbe almeno un accenno a Popper, che su ciò ha fondato la sua teoria della scienza.

  2. Nell’ordine nel quale si leggono nell’articolo: modestia, coraggio, pazienza, mettersi in discussione, costanza, onestà intelletuale, distacco dalle emozioni, condivisione e confronto con gli altri…beh, basterebbe anche la metà di queste virtu’ per fare di una persona qualunque, come ipotesi minima, un uomo saggio. Tutte queste doti concentrate in un uomo di scienza non poteva che portare ai risultati che ha lasciato all’umanita’. Forse, il caso, la sorte tante volte tirati in ballo nelle scoperte scientifiche non sono altro che il risultato imprevedible di una miscela esplosiva di queste doti mescolate assieme (non necessariamente tutte ovviamente).
    Leggendo poi sull’onesta’ intellettuale di Darwin mi ha fatto ricordare, non le parole esatte, ma il concetto di uno dei tanti aforismi di Oscar Wilde secondo il quale “l’ideologia è spesso una buona idea che, quando sono in troppi a condividerla, bisognerebbe avere il coraggio di cambiare” . Ed e’ indubbio che quando tutti pensano la stessa cosa e’ un segnale inequivocabile che in generale si pensa poco. Non sono sicuro che c’entri con la falsificazione dell’ipotesi ma con qualcosa che ci rassomiglia…forse.
    In ogni caso sono sempre stimolanti i tuoi punti di vista ‘alternativi’ ed è sempre un piacere leggerti.

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