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Oggi, 22 Maggio 2000, compio 79 anni ed entro negli 80. Quindi, sono entrato a far parte degli ottantenni. E’ l’età, questa , in cui l’uomo con insistenza volge lo sguardo indietro e passa in rassegna i suoi trascorsi accorgendosi che ha vissuto un periodo veramente lungo mediante i ricordi che si affastellano nella mente, portandoti inesorabilmente alla conta degli episodi vissuti, che sono una miriade e che non riesci davvero a rievocarli tutti, perché molti ti sfuggono.

Mi faccio oggi questo regalo, tentando di non guardare il passato, ma soltanto per descrivere come scorre una giornata quando si toccano gli ottant’anni, quando viene meno la verve che ha costellato il tuo essere per tutta la vita.

Sono giornate monotone, una dopo l’altra, uguali nello spirito che lo si trova di gran lunga scemato, piene di ugge, di malinconia, di tristezza. Malgrado gli sforzi che fai per tentare di stare coi tempi che incalzano con ritmi scanditi e che non puoi frenare, non riesci più a tenere a bada la spinta propulsiva del trascorrere, e vieni coinvolto nel vortice del rilassamento, che ogni giorno di più la fa da padrone sul tuo spirito, sul tuo fisico, che non risponde più ai tuoi voleri, perché deteriorato dalla patina che il tempo ha prodotto.

Il palazzo in cui abito, a Cosenza, è di recente costruzione e, dal mio secondo piano, riesco a godere due distinti panorami!

Il primo, quello a monte, si presenta con uno splendore vivace, specchiato dalle acque del fiume Crati, che scorre tacito nella sua vallata, ai piedi dei monti della Sila, che fanno da corona all’intera città di Cosenza. Su quei monti, ove si scorgono, come perle incastonate, i paesi della fascia Presilana che vanno da Castiglione, S.Pietro in Guarano, Rovito e via via fino a Spezzano, regna eterno il grande bosco di larici, di pini e di abeti e, la sera, dall’imbrunire in poi, emana un profumo di resina che dura tutta la nottata e fino ai primi albori, regalando alle narici la purezza, di un’aria frizzante per la delizia del tuo corpo accaldato durante la giornata afosa e soffocante.

Il secondo panorama è costituito dall’immensa vallata che, dal fiume Campagnano, scorrendo verso il mare, si incontra l’Appennino Calabrese che si specchia nel mare Tirreno ove sono contenuti i paesi che da Paola, passando per S.Lucido, Fiumefreddo, Longobardi, Belmonte ed Amantea per finire poi nella piana di S.Eufemia, mentre a monte sono racchiusi quelli di Rota Greca, S.Vincenzo La Costa, Rende, Cerisano, Mendicino, e via via anch’essi fino alla stessa piana.

Un recinto in ferro battuto lungo circa 300 metri , chiude il mio condominio e lo isola dal suolo comunale, tutto adorno da una lunga siepe sempre verde, impedendo, per la possente consistenza degli arbusti, l?intrusione di gente estranea per evitare di calpestare le aiuole costruite dal giardiniere che per tutto l?anno lavora in tutto il giardino che comprende anche molti alberi, la siepe e i fiori, e un prato seminato con l?erba sempre verde.

Nel palazzo vi sono condomini che amano gli animali, tant’è che non mancano i cani, non mancano i gatti ed i colombi, i quali , la mattina, posati sul davanzale della finestra della camera da letto, tubano e mi svegliano. Mi alzo, a volte molto irritato e li mando via , mentre il sole fa capolino da dietro i monti di Camigliatello.

A questo punto, chi non ha ottant’anni, va in bagno, si pulisce poi prende il caffè e via, fuori per la città a trovare gli amici, a fare le imbasciate di casa, a pagare le bollette del telefono, della luce, a rinnovare il bollo della macchina, e magari , a fare la spesa. Tutto ciò, per me, avviene sporadicamente appunto perché, quando sono costretto ad uscire, si procede prima ad una programmazione con i familiari coi quali vengono divisi i compiti e solo quando gli altri non possono accudire alla bisogna, mi tocca fare lo sforzo ed intraprendere la sortita dopo aver accuratamente provveduto alla preparazione del mio fisico, che risulta molto elaborata per via di certe cure propinatemi dai medici personali.

Mi pesa fare la barba; mi pesa fare la doccia o il bagno; mi pesa persino il vestire, ma lo faccio perché riesco a capire che non bisogna abbandonarsi a se stessi, pena il rilassamento totale che porta a fare il barbone di casa. Scendo nel cortile, apro il garage per tirare fuori la macchina e parto per fermarmi a Palazzo degli Uffici, ove con Tonino, il migliore, abbiamo fissato per telefono l?incontro politico che ormai è divenuto di prassi.

E nel corso del dibattito che intercorre fra noi due, sopraggiungono gli altri amici che non tutti condividono, non solo le nostre idee politiche, ma addirittura non concepiscono il fatto che noi, in ogni istante ci intratteniamo e facciamo intrattenere anche loro su argomenti che non accettano volentieri.

Però ci sopportano, con la loro signorilità!

Quello che brontola di più è Raffaele, un uomo libero, che non mantiene fino in fondo gli impegni assunti con noi e va a ruota libera puntando solo su quello che la mente gli detta, servendosi della sua intelligenza che non è davvero comune, ma acuta e penetrante. Mazzeri è invece il letterato della compagnia e anche se avversario delle mie idee e di quelle di Tonino, non disdegna nel tenere il discorso aperto, difendendo logicamente le proprie tesi ma offrendo quella obiettività che gli uomini di cultura come lui sanno bene distribuire nel corso della diatriba. Alfonso si eleva ed anche quando non è d’accordo, con la sornioneria che lo distingue si sforza a non toccare la nostra suscettibilità e ti propina la propria avversione con la lungimiranza di un uomo navigato, con amabile civiltà.

Geppino, l’istrione di sinistra, spunta sempre con una trovata e infonde tanta simpatia. Egli va fiero delle sue due figliole , appunto perché è riuscito, con propri sacrifici, a dare loro una laurea, una in medicina con 110 e lode e l’altra quale professoressa con gli stessi risultati. Ecco perché Geppino è da noi considerato un grande padre di famiglia, atto a godere della nostra amicizia.

Tutti i nostri amici hanno badato ai figli ed è questa la ragione per cui noi siamo fieri di avere nel coro tanti professionisti. Giovanni, Amedeo, Luigi, Filippo, Valerio, Pinuzzo e tutti gli altri che ci stanno vicino esternano un senso di rigetto per la politica e si sente che in loro c?è tanta amarezza per le delusioni che hanno subito, come del resto è accaduto a tutti, ma anche essi per la signorilità che li caratterizza non osano mai opporre resistenza a priori.

Molte volte si parla a voce alta, si grida e la gente che passa si ferma pensando che stiamo litigando, ma poi considerato gli abbracci che ci diamo, se ne vanno sorridendo, ma anche soddisfatti. Ciò può accadere sia nella mattinata che nel pomeriggio, a seconda della disponibilità che riesco ad offrire e può accadere nell’interno della villetta seduti sulle panchine o all’ombra degli alberi maestosi che offrono una frescura refrigerante stando all’angolo del marciapiede addossati all’inferriata dello spartitraffico.

Se l’impatto avviene di mattina, giunto mezzogiorno mi reco, accompagnato da Tonino, nella salumeria di corso Mazzini, ove puntualmente arriva da Tessano, il migliore pane di Cosenza, caldo e fragrante che io compro a volte con la pezzatura di 2 Kg e a volte di 1 Kg, a seconda delle esigenze giornaliere della famiglia e il tutto mi viene confezionato in busta dal pizzicagnolo che ha cura di non mischiare le altre derrate, pena il deterioramento per il calore emanato dal pane stesso. Passo dal tabaccaio per l’acquisto degli immancabili due pacchetti di Muratti, per fermarmi poi dal fruttivendolo e scegliere la frutta che più mi aggrada essendone io molto goloso, sia essa di qualsiasi specie.

Se mi sono accaldato tolgo la giacca, apro i finestrini della macchina e giù per Via Cosmai. Costeggio il palazzo facendo una brevissima sosta davanti al cancello in attesa che si apra dopo aver operato il telecomando. Già davanti al mio garage c’è l’ombra del caseggiato alto sei piani ed evito così di riaprire la saracinesca perché la macchina ha già il fresco.

Qualche volta trovo l’ascensore guasto e lo scoraggiamento mi assale anche perché le scale da affrontare non sono di due piani ma di tre, in quanto l’ascensore finisce la sua corsa al pian terreno e non già nel cortile.

Sudato così come sono, con le buste della spesa in mano, con la giacca sotto il braccio, cerco di affrontare la lunga scalinata, con pazienza certosina, avendo cura di fare sosta su ogni pianerottolo per dare agio ai polmoni di respirare l’aria che mi manca essendo gli stessi bacati per il fumo che io maledettamente gli propino.

Giunto in casa, sospirando sospirando mi svesto e mi tuffo in una leggerissima tuta per sentirmi libero e non avvinghiato in vari capi di vestiario. Faccio scorrere l’acqua dal rubinetto e, così com’è, fredda, la faccio scorrere prima sul viso infuocato per poi distribuirla in varie parti al fine di dare al corpo una temperatura sopportabile.

Le serrande delle finestre e dei balconi che aprono ad ovest sono già chiuse per il sopraggiungere del sole, mentre vengono aperte quelle ad est dalle quali giunge, anche se lievemente, una piacevole brezza proveniente dai monti della Sila, distanti un tiro di schioppo. Si attendono le ore 14 per essere a tavola, tutti assieme, orario questo dovuto ad impegni di lavoro di altri componenti della famiglia. Dopo la tazzina di caffè sento il bisogno di sdraiarmi sul letto, sul quale a volte mi appisolo e a volte punto gli occhi sul soffitto rimuginando con la mente e passando in rassegna un po’ del mio passato che lo trovo lusinghiero per certi versi e per altri no.

Una vita costellata di gioie e di dolori, spensierata e giocosa nella giovinezza, divenuta man mano più vibrante e poi ,col passare degli anni più scialba, ma intensa di preoccupazioni e di responsabilità. Gli amici, tutti più giovani di me, quando parliamo della vita dicono che non bisogna avere paura della morte e che ad essa non bisogna mai pensare.

Forse anch’io, quando ero più giovane non badavo alla morte !

Ma oggi, con questi ottant’anni sulla groppa, il terrore mi sfiora ad ogni piè sospinto sapendo che a quest’età c’è poco da sperare. Diviene deleterio il fatto di voler credere ad ogni costo che si può rimanere in vita per l’eternità.

Il tempo che è trascorso non lo si afferra più, è volato inesorabilmente così come inesorabilmente vengono scandite le ore che ti sono rimaste ricorrendo perfino a contare i minuti ed i secondi che riesci ancora a fare scandire.

Ho paura di lasciare le cose terrene!

Il cielo infinito, i monti, l’acqua, l’aria, i parenti non vivranno più con noi. Tu hai finito di bramare, non sai il mondo che vivrà dopo di te, che fine faranno i tuoi cari tenuti sempre sotto il tuo occhio vigile per divenire poi preda di chissà quale truce destino.

E questi pensieri ti afferrano quando, meditabondo, stai con le mani incrociate sul davanzale e punti gli occhi nel giardino, sui fiori, sugli alberi ove si posa una capinera che ti regala una dolce melodia, o quando un gatto, miagolando, va a ripararsi all’ombra della siepe o anche quando un cane con la bava in bocca per il caldo che soffre, si appisola dietro il muricciolo. Tutto ciò avviene mentre la terra continua a girare intorno al sole cocente, arrotolandosi su stessa, incuneata in una delle tante orbite sparse nell’infinito rispettando un ritmo sancito chissà in quale epoca, ma certamente milioni e milioni di anni fa, con una monotonia snervante, con le sue albe, con le sue notti, con le sue giornate che si differenziano sempre una dall’altra.

E tu giri con essa, in essa, ove con gradualità si consuma la tua breve esistenza invecchiando così come invecchia essa stessa, senza che te ne accorgi, appunto perché il suo logorio avviene lentamente a differenza del tuo corpo che è destinato a sparire in un baleno.

Un albero dura più di un corpo umano, un palazzo costruito dall’uomo dura più della vita di un uomo, mentre la terra, che pure invecchia, impiega secoli per subire le trasformazioni che avvengono, ma che si constatano nel corso delle nuove generazioni avendo imparato dai libri lo stato primitivo della sua conformazione.

Si parla di atmosfera, di ozono, di imponderabilità, di aria, di forza di gravità; elementi questi studiati e acclarati dall’uomo mentre non si è riusciti a scoprire quali sono invece gli elementi negativi che vagano intorno alla terra, nella terra stessa, e che in pochi anni logorano il corpo umano, lo distruggono rendendolo in poltiglia, in cenere.

La scienza, col passare degli anni, è riuscita a scoprire cose straordinarie: la penicillina, il chinino e altri farmaci che hanno certamente migliorato la resistenza del corpo umano, consentendo un’esistenza più duratura , anche se più convulsa. Purtroppo, non si intravede ancora la scoperta adeguata per l’eliminazione di quegli elementi negativi che gironzolano nell’apparato terrestre e che ti portano alla morte.

Sono certo che col passare dei secoli si giungerà anche a questa conquista e permetterà ai nostri posteri di dire: UNA VOLTA SI MORIVA!

Ma, purtroppo, io sono figlio di questa generazione nella quale ancora si muore ed è qui la mia rabbia e dico“PERCHE? NON SI SONO AFFRETTATE QUESTE SCOPERTE? PERCHE? SON DOVUTO NASCERE QUANDO ANCORA NON MI E’ DATO DI VIVERE PER L’ETERNITA?”

E, siccome ho scoperto che, malgrado i lati negativi, la vita è veramente bella, non me la sento con ipocrisia di dire: “TANTO DOBBIAMO MORIRE !”

Io vorrei vivere per sempre ma so che non posso…

Non vorrei pensare alla morte ma dal momento che c’è, che vige col suo impeto terrorizzante, mi servo delle sensazioni che provo per cotanto scempio ed esterno tutto il malessere di cui sono impregnato. A differenza dei più giovani di me, io conto ottant’anni. Questa è una realtà, triste se vogliamo, ma è così. A differenza dei più giovani di me, io debbo registrare molte cose che mi mancano, che già mi sono venute meno e che non potrò più, giammai, recuperare!

La forza, il brio, la scioltezza, la lucidità di mente, vanno man mano scomparendo dal mio apparato ed ecco la ragione per cui sono costretto e rievocare il breve soggiorno trascorso su questa terra, dicendo ai miei amici . ai miei cari, ad ognuno, che la morte non dovrebbe essere un atto dovuto, ma che invece la vita, appunto perché è così bella, dovrebbe essere conservata per forza naturale.

Continuerò a mantenere, nel mio intimo, l’atteggiamento che non è affatto superstizioso. So che per l’aldilà esistono molte forme di credenze, le più disparate ma io, convinto così come sono, dico che la nostra essenza terrena è solo aleatoria e continuo, anche se ancora per poco, ad affondare le mie radici nella notte dei tempi.

Giuseppe Verduci – 17 gennaio 2002