A proposito del tema della violenza, a 18 anni di distanza dal 2001, vengono rievocate le drammatiche giornate di Genova, segnate dalle terribili violenze della repressione poliziesca, dall’assalto alla scuola Diaz, dalle torture nel carcere di Bolzaneto, dall’assassinio di Carlo Giuliani, ecc.
Certo, bisogna citare anche le “violenze” dei black-block (e su tali vicende servirebbe ancora far luce, dato che sussistono tuttora molte zone d’ombra), violenze che sono un parto degenere di un sistema putrido ed incancrenito, capace di produrre in quantità industriale violenza, odio e distruzione, nella misura in cui ne ha bisogno come l’aria che respiriamo, per giustificare la sua esistenza.
Insomma, queste vicende sono strettamente legate da un denominatore comune: la violenza.
Sull’argomento vale la pena spendere almeno qualche parola per un ragionamento storico, critico e politico il più possibile rigoroso. Io ci provo, partendo dal mio punto di vista e avvalendomi delle mie capacità analitiche e delle esperienze.
La violenza, intesa come un comportamento individuale, ha un suo fondamento profondo e complesso, insito nella struttura sociale. Ad esempio, nella realtà capitalista, la violenza del singolo, la ribellione giovanile apparentemente senza causa, il vandalismo, il teppismo negli stadi di calcio, o durante una manifestazione, la criminalità comune, la perversione di soggetti definiti “mostri”, sono sempre il frutto marcio di una struttura sociale che ha bisogno di produrre odio e violenza.
Sono la manifestazione di un contesto sociale che, per sua natura, crea conflittualità, concorre alla depravazione dell’animo umano, che in tal modo viene ad essere condizionato dall’ambiente esterno.
Dunque, la violenza non è una questione di malvagità individuale, ma è un tema sociale, costituisce la facciata fenomenica dietro cui si camuffa la violenza organizzata e legale, o istituzionale, della società, dello Stato: è lo strato superficiale ed esteriore, sotto cui giace ed incancrenisce la corruzione, il male, il marciume dell’ordine costituito. In effetti, è difficile determinare la violenza come un comportamento di tipo etologico, immutabile, dell’essere umano, in quanto è la natura stessa dell’ordine sociale, il principio che genera i criminali, i violenti in quanto singoli individui, che sono spesso i soggetti più vulnerabili sotto il profilo psichico ed emotivo.
La visione che attribuisce alla “cattiveria umana” la causa dei mali del mondo, è un’ingenua e volgare mistificazione culturale. Il tema della violenza è talmente vasto, complesso ed enorme, da rivestire un’importanza centrale e prioritaria nell’ambito dello sviluppo storico dell’intera umanità.
Lucio Garofalo