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Il presente lavoro rappresenta un approfondimento monotematico di alcune parti dell’articolo Quell’emozione chiamata paura risultante da trattazioni in dibattiti televisivi consultabili nell’apposita sezione di questo Magazine. La prima pubblicazione risale al primo di aprile del 2008. Un argomento del genere, non può essere “cristallizzato” all’interno di una singola trattazione: le stesse esperienze del quotidiano, infatti, ci rendono diverso l’approccio con l’immanenza dell’imponderabile. Ecco, quindi, che si è pensato di riproporlo, arricchito e approfondito.

Non si sarebbe mai potuto scrivere senza il preziosissimo e indispensabile apporto degli studi del medico ricercatore Giovanni Russo

BUONA LETTURA.

Poi è arrivato anche il mio turno. Niente di strano, sia chiaro: ho sempre avuto problemi di cuore e già da tempo sapevo come sarebbe andata a finire. Il mio ultimo giorno fu pieno di sorprese: tutto cominciò con un forte dolore allo sterno. Subito dopo cominciai a sudare e a respirare con difficoltà. “Ecco, ci siamo!” mi dissi e, subito dopo, istintivamente, mi feci il segno della croce.

Vennero chiamati i parenti più cari, il medico di famiglia e qualche amico. Mi sedettero intorno in silenzio. Qualcuno provava a tirarmi su il morale ma traspariva la sua preoccupazione. Avevano una faccia così angosciata che mi facevano tanta tenerezza. Avrei voluto rincuorarli uno ad uno ma mi veniva difficile parlare.

Non potei fare a meno di pensare all’ultimo giorno di Socrate… quando il filosofo confortava i propri discepoli dimostrando loro che morire, tutto sommato, non è, poi, chissà che cosa: solo un breve transito tra due vite contigue. Quella del corpo e quella dell’anima.

” E se, invece, finisse tutto qui?” il dubbio lo avevo!

A ragionarci sopra, mi sembrò impossibile. Ma come… qualcuno mette in piedi un’enorme baracca fatta di miliardi di galassie, con opere d’arte come la Gioconda, con personaggi come Beethoven, Marylin Monroe e Maradona… e poi si dimentica di allestire un finale come Dio comanda?

E arrivò anche il prete (un vecchietto piccolo, con un paio di occhiali spessi come fondi di bottiglia) per l’estrema unzione. Posso assicurarvi che si tratta di una pratica… che è di una noia, ovviamente, mortale!

“Quali sono i tuoi peccati?”

“Ma, veramente, io non ho mai peccato!”

“nel corso della tua vita, avrai commesso qualche atto impuro?

“Si, ma sempre col consenso della controparte, ricordo di una signora che mi fece, addirittura, l’applauso!”

“Ma tu guarda cosa mi tocca sentire! Ma, almeno, credi in Dio?”

“Credere, è un verbo troppo impegnativo. Dubito, sperando, in cuor mio, che esista sul serio… comunque, se le va bene, confesso di essere stato un umorista…”

“Ho paura che non sia un peccato!”

Due minuti dopo stavo già in Paradiso. La cosa che mi colpì, fu l’assoluta somiglianza col pianeta Terra. La bellezza del sistema consiste nel fatto che basta pensare ad un luogo… e subito ti ci ritrovi, cioè in una sorta di realtà virtuale. Per ritrovare una persona, allo stesso modo, basta pensare alla città dove la si è vista per l’ultima volta e, se costei sta in Paradiso, subito si entra in contatto.

Ovviamente, pensai a mia madre e mio padre che, puntualmente, mi apparvero, l’uno sottobraccio all’altro.

Tra le tante cose strane che appresi quassù c’è anche il fatto che nessuno sa niente di quello che accade sulla Terra. Per anni, i miei genitori hanno chiesto notizie di me, ad ogni nuovo arrivato, rifiutando categoricamente di accettare che io fossi diventato uno scrittore. Forse per la paura che vivessi di stenti.la loro età era quella degli ultimi anni di vita senza, però, una ruga sul viso. Insomma, erano due bellisimi vecchi.

L’incontro, comunque, fu quantomai struggente: baci, abbracci, lacrime di mia madre, domande di papà che si accavallavano alle mie. Insomma, tutta una vita da raccontare.

“Come stai?

“Abbastanza bene, tenuto conto che sono morto”

raccontaci tutto quello che hai fatto in questi anni. Ma con calma: quello che no manca, quassù, è il tempo”.

Ed io ho cominciato, dalla loro scomparsa in poi: il lavoro da ingegnere, i computer, il trasferimento a Milano, quello a Roma, le dimissioni dall’IBM; i primi libri, le prime trasmissioni televisive, il libro fotografico su Napoli, La Storia della Filosofia Greca, quella medioevale, quella moderna, tutti i film che ho fatto… e via dicendo”

(Luciano de Crescenzo – Sembra ieri)

Diciamo la verità, di fronte ad un’ eventualità come quella descritta, molte delle proprie paure di fronte ad un appuntamento tanto frustrante quanto improcrastinabile, probabilmente, sarebbero da riconsiderare. Eppure, non c’è sentimento così controverso come quello di dover abbandonare “l’Orizzonte conosciuto”!

“Se un uomo non ha scoperto nulla per cui varrebbe la pena morire, non è adatto a vivere” – (Martin Luther King)

Senza volere entrare “forzatamente” in speculazioni religiose o demagogicamente politiche ma, al contrario, volendo restare su un piano concretamente scientifico, con i piedi sulla Terra e con un occhio rivolto all’Universo, possiamo senz’altro renderci conto del fatto che esistono delle Leggi ben precise che si ripetono da miliardi di anni (pare almeno quindici) e che consentono il mantenimento di ogni forma di “vita” (animale, vegetale, minerale, etc.), possiamo brevemente concludere che, ciascuno di noi, avendo ricevuto, al momento della nascita (sotto forma di zigote), un pacchetto di energia vitale che realizzerà le reazioni necessarie alla costruzione del corpo e della mente, ha l’obbligo “naturale” di restituire al “mittente” (l’elemento creatore), al termine del percorso terreno, la “dotazione” di partenza con un plus di valore aggiunto, in termini di miglioramento delle proprie capacità globali.

L’uomo può nascere, ma per nascere deve prima morire, e per morire deve prima svegliarsi.(Georges Ivanoviè Gurdjieff)

“La vita è l’infanzia della nostra immortalità” (Johann Wolfgang von Goethe)

In tal modo, è come se noi ringraziassimo per l’opportunità che ci è stata concessa, di portare avanti questa particolare esperienza di vita. Peraltro, l’energia “migliorata” che si restituisce al sistema, crea la base per i suoi meccanismi evolutivi.

“Le supernovae, stelle molto più grandi del Sole, giunte alla fine della loro evoluzione, esplodono emettendo forti quantità di neutrini e di altre sostanze generate dalle reazioni nucleari della Stella. Questo materiale viene scagliato nello spazio e va ad arricchire le nubi interstellari, da cui si formeranno le Stelle delle successive generazioni e i loro pianeti. Con molta probabilità, quindi, tutto ciò che siste nell’Universo, trae origine da questo meccanismo. E noi stessi, potremmo essere considerati come un prodotto dell’evoluzione dell’Universo.

Mi fa piacere pensare che anche per noi funzioni così: nel momento della morte fisica, si libera energia (con la nostra scomposizione) in grado di nutrire il sistema circostante” (Margherita Hack)

“Nulla può far danno a un uomo buono, né in vita né dopo la morte” (Socrate)

Perché, quindi, la paura della morte?

“Morire è triste, ma l’idea di morire senza aver vissuto è insopportabile” (Erich Fromm).

A parte l’idea di lasciare quello di cui si è affezionati, se operiamo una ricerca sui dizionari etimologici, scopriremo che gli antichi (coloro che hanno coniato molti dei vocaboli che oggi adoperiamo), per indicare qualcosa di oscuro, austero, spiacevole, “ruvido”, utilizzavano il termine “brusco finire”“cessare”: cioè, quello che divide e segna “il” termine, nello spazio e nel tempo, senza possibilità di appello.

Ecco, è proprio l’irrevocabilità e la consapevolezza che, dopo, nulla sarà più come lo conosciamo, a renderci inquieti e per nulla propensi ad accettare il concetto tipicamente cinematografico del “buona la prima”!

È un dato di fatto che, nessuno, sia pronto e disponibile ad allentare i legami peculiari, quelli che costituiscono i riferimenti esistenziali. Un compagno di vita, un figlio, un amico, un padre. Una madre. Ma perché accade quel che accade, se “così noi viviamo, per sempre prendendo congedo?” Forse, perché si pensa di poter far meglio, un giorno o l’altro. Riuscire a dire, con più sentimento, “Ti voglio bene!”. Stringerlo forte, al punto da “sentirlo” pienamente, sotto le tue braccia…

E pensare di riprovare, e riprovare. E darsi un’altra occasione. Finché intuisci che il gioco sta finendo… e non ci sarà un’altra occasione. E un amore se ne va. Non più sostituibile. Come ogni cosa che ci riguarda, se ti ci fermi a riflettere.

Però…

Quand’è che abbiamo “trovato” veramente qualcuno che, in un modo o nell’altro, possiamo dichiarare di amare? Probabilmente, ogni volta che si è potuto contare su di lui, abbandonandoci senza bisogno di chiedere, in precisa sintonia.

E quando accade che lo perdiamo concretamente?

Nel momento in cui, tu evolvi (crescendo irrimediabilmente) e lui non è più quello di un tempo (non potendo più essere il porto sicuro che ti sarebbe servito).

Forse la vita va così, per costringerci ad ammettere che, man mano che andiamo avanti, i due punti che prima si fondevano nei momenti di bisogno, si allontanano per consunzione dei reciproci interessi. Accade giorno per giorno ma, come per le rughe, ce ne rendiamo conto solo confrontandoci con una vecchia foto. Il distacco da una persona cara aggiunge un solco, pieno di contenuti e di esperienza.

“L’uomo muore sempre prima di essere completamente nato” (Erich Fromm)

Quanto incide la paura dell’ignoto?

Effettivamente tutto ciò di cui non riusciamo bene a prendere le misure, fosse anche qualcosa di poco conto, ci crea quell’allarme chiamato paura. Proviamo ad immaginare cosa può provare un essere umano che investe su qualcosa senza sapere cosa accadrà dopo quello che ha imparato a conoscere con il termine “vita”. Da qui, per molti, la necessità di credere ad una vita ultraterrena, magari con caratteristiche simili a quella che si conduce nell’aldiqua!

Cosa possiamo pensare di quelle persone che non hanno paura della morte?

Bugiardi, irresponsabili, personaggi che non hanno nulla da perdere, individui che hanno capito il senso della propria permanenza nell’universo quantistico (in base a cui nulla si distrugge ma tutto si trasforma). Bisogna stabilire in quale settore allocarsi!

Antoine-Laurent de Lavoisier (nato a Parigi il 26 agosto 1743 e morto, sempre a Parigi, l’8 maggio 1794) è stato un illustre rappresentante di coloro che non hanno avuto paura della morte senza, peraltro, confidare in “dimensioni” ultraterrene. Enunciò la prima versione della legge della conservazione della massa (in una reazione chimica, la massa dei reagenti è esattamente uguale alla massa dei prodotti) in base alla quale si dimostra che, di fatto, nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto, in definitiva, si trasforma. Essendo uno dei 28 esattori francesi che non avevano lasciato precipitosamente il territorio nazionale (perché, attuando una mentalità socratica, dichiarò di non aver nulla di cui rimproverarsi), Lavoisier poté essere catturato e processato come traditore dai rivoluzionari nel 1794 e ghigliottinato con gli altri colleghi a Parigi, all’età di 51 anni. Il suo principale accusatore fu il rivoluzionario e chimico dilettante Jean Paul Marat al quale, Lavoisier, aveva in precedenza rigettato la domanda di accesso all’Accademia delle Scienze.

Di fatto, la morte, sul piano scientifico, non ha senso considerarla come elemento di caratterizzazione terminale. Esiste, semmai, unicamente, una cosa bellissima chiamata vita che si estrinseca attraverso tutto ciò che, a seguito di opportune “informazioni” si muove finalisticamente (per produrre qualcosa). Ogni cosa esistente in Natura, sul piano “animale”, “vegetale” o “minerale”, possiede una strutturazione organizzata in forma atomica che consiste in un insieme di elementi che trasportano (mediante un movimento caratterizzato da “spin”, “frequenza” e “lunghezza d’onda”) le informazioni necessarie che caratterizzano ciò che ha un senso in termini operativi. Se ci munissimo di un microscopio (che, purtroppo, al momento ancora non esiste) tanto potente da consentirci di osservare ciò che accade nel cuore della vita, cioé negli atomi del nostro DNA, ci renderemmo conto del significato vero del termine “miracolo della vita”. Infatti ci accorgeremmo che, variando elementi infinitesimali (come protoni e neutroni), cambierebbe in maniera sostanziale il risultato finale… basta poco, infatti, per trasformare un corpo solido in un gas… questa è la vita: un’informazione basale! E questo non può essere distrutto, ma solo ricombinato!

Abdus Salam (Fisico pakistano, premio Nobel 1979) parlò per primo del fatto che tutto l’Universo si regge su otto particelle fondamentali (sei tipi di quark, un elettrone e un neutrino) che si aggregano e disgregano in continuazione. Ecco cosa siamo! Flussi di particelle che, quando si aggregano in un certo modo ci danno la possibilità di essere come siamo, pensare, agire, amare.

A queste condizioni possiamo concludere che, in definitiva, di noi non muore nulla. Può cambiare l’aggregazione che ci rende possibile la strutturazione in quel tipo di corpo fatto di particelle che, a un certo punto, “rientrano” nell’ambito di un contenitore più ampio che ci “contiene” tutti. Infatti, sono in molti a pensare “laicamente” che il patrimonio delle nostre conoscenze, quello che impariamo man mano che andiamo avanti possa venire disperso con la disaggregazione cerebrale post mortem.

Come sostengono affermati scienziati, è suggestivo (e non peregrino) ipotizzare che potrebbe essere utilizzato per ricombinare la “base” di altri esseri umani. Non è tanto un concetto di metempsicosi (reincarnazione) ma qualcosa di più tecnico e scientifico. Respiriamo, mangiamo e beviamo, atomi (di aria, cibo e acqua) che, in fondo, vivendo in un sistema “chiuso” (l’atmosfera terrestre) provengono dalla disgregazione di altre forme viventi esistite prima di noi e che finiscono per far parte dei nostri atomi e influenzare la costituzione delle nostre cellule gametiche (spermatozoi e ovuli).

Quando nasciamo (sotto forma di zigote), riceviamo in “dote” un pacchetto energetico (che si genera dalle reazioni nucleari intracellulari) in leasing, da “restituire” al termine del nostro ciclo di esperienza terrena. Possiamo ipotizzare che l’obiettivo di madre Natura sia quello di “utilizzarci” nell’aspettativa di un “ritorno migliorativo”.

“Per trovare il senso della vita non c’è niente come morire” ( Enrique Jardiel Poncela)

Cioé, con le esperienze che portiamo avanti (studio, lavoro, rapporti interpersonali, etc.), “evolviamo” l’energia a disposizione (magari rendendola migliore, in termini di frequenza e lunghezza d’onda, attraverso il miglioramento delle nostre qualità mentali) e poi la restituiamo. Potrebbe essere questa, la base da cui trae spunto l’evoluzione globale dell’ambiente, per cui ogni generazione si ritrova più “avanti” della precedente.

Sarebbe questo, in fondo, il motivo per cui siamo chiamati a vivere: evolvere e condividere.

Tra l’altro, sul piano puramente “energetico”, riusciremo ad “entrare” nella mente delle persone sotto forma di ricordo di noi, tanto più difficile da cancellare quanto più siamo considerati punti di riferimento positivi o, addirittura, elementi di identificazione: Riusciamo a diventare addirittura “pulviscolo mnemonico”!Infatti, i ricordi no! Quelli, non ce li può cancellare nessuno.

Lì dentro, possiamo tornare piccoli piccoli, e inerpicarci sul crinale di un immaginario presepe per sentirci parte di un complesso di sentimenti, con cui discutere (dentro di noi) ogni qual volta ne sentiamo il piacere, la necessità.

“Una parola muore appena detta: dice qualcuno. Io dico che, solo in quel momento, comincia a vivere” (Emily Dickinson).

D’altronde, basta osservare (come ci ha suggerito prima, Margherita Hack, con l’esempio delle stelle), in Natura, la trasformazione, ad esempio, di una foresta: la pianta nasce, cresce, si sviluppa… dopo di ché comincia a rinsecchirsi ma, nel frattempo, ha disperso intorno a sé gli elementi fondamentali che daranno vita a nuove piante. In questo modo, la componentistica iniziale, consente la prosecuzione sine die, senza interruzione, senza soluzione di continuità di ciò che è stato, di ciò che rappresenta e di ciò che sarà.

Sarà un uomo, stanno già salutando quelli nati senza televisione. Sarà un uomo, stanno finendo quelli che hanno camminato senza scarpe e tutti quelli che non hanno capito cosa vuol dire HI-FI
e tutti quelli che voglion le orchestre e non si fidano dei DJ. Sarà un uomo, e il jazz che li ha fatti incontrare è già un suono lontano e c’è chi ha fatto di tutto per dargli il caldo che non fa sudare
e il freddo che non fa battere i denti un mondo così piccolo che si gira tutto in un minuto e un orizzonte che è molto più in là di tutte le stelle che… Sarà un uomo e avrà qualcosa che assomiglia a una casa un’automobile nuova. Sarà un uomo a fare il figo camminando nel cielo per farsi notare con i suoi “M’ama, non m’ama, m’ama… non m’ama più, coi suoi “Se deve partire un bacio, che sia di quelli che non scordo più…” Sarà un uomo, se non nascerà troppo tardi per essere curioso. Sarà un uomo, se avrà ancora più di mille motivi per essere invidioso con i suoi “M’ama, non m’ama, m’ama… non m’ama più”” coi suoi “Se deve partire un bacio, che sia di quelli che non scordo più…” Sarà un uomo… e la dance che ci fa adesso ballare, sarà un rumore lontano… (Luca Carboni)
Fra tutti gli esseri viventi, solo l’essere umano ha consapevolezza della morte?

Gli esperti che studiano le varie specie animali, concordano sul fatto che non siamo i soli a percepire che un ciclo sta per concludersi. Ad esempio, gli elefanti si avviano verso dei luoghi da cui non torneranno più, chiamati, appunto, “cimitero degli elefanti”. Molti animali domestici captano in anticipo rispetto a qualunque manifestazione sintomatologica percepibile da essere umano, variazioni sostanziali di stati di salute, non solo propri ma, addirittura, dei componenti del nucleo familiare in cui vivono! In ogni organismo vivente, in fondo, esiste una quota cosiddetta “morta” (cellule che dovranno essere sostituite, materiale di rifiuto intestinale, etc.) e con questa, facciamo i conti tutti i giorni, riconoscendola come tale.

Il modo di percepire la morte, da parte degli esseri umani, è corretto?

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi-
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.Per tutti, la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte, e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo, muti.

(Cesare Pavese)

Per intanto, è facile concludere che la morte sia stata avvertita come distacco, dal momento che si sono costituiti i primi nuclei “parentali”, in grado di far percepire il valore di un legame affettivo. La storia ci ha edotto in merito. Scorrendo la clessidra delle varie tappe evolutive, si è assistito ad un “andirivieni” di sensazioni altalenanti circa la posizione da assumere con la signora dalla grande falce. Abbiamo attraversato un’epoca mitologica in cui si discuteva “a tu per tu” con l’Ade (il luogo in cui vivevano i defunti) e, addirittura, si cercava una morte gloriosa in battaglia; poi, con i cristiani è cominciata l’epopea del martirio ( e con esso, della sofferenza che ci terrorizza) in nome del quale, ancora oggi, islamici estremisti, si fanno saltare, letteralmente, imbottiti di esplosivo.

Nelle cosiddette Società moderne, veniamo addestrati fin da piccolissimi a dimenticare che dobbiamo morire. Ciò naturalmente dà un certo sollievo alla paura dell’ignoto che pure abbiamo appreso, ma ci richiede il prezzo altissimo di dimenticare il rapporto strettissimo fra la vita e la morte. La negazione sociale della morte è un tratto particolare della cultura europea e degli ambiti da essa dominati. Ma non è in nessun modo universale.

I popoli precolombiani, in generale, e gli antichi Toltechi in particolare, fecero della coscienza della morte uno dei valori fondamentali della loro vita, tanto nel campo sociale come in quello individuale.

L’abitudine occidentale di comprare “assicurazioni sulla vita”, pagare a rate il costo del proprio funerale, lasciare le proprietà agli eredi prima di morire e lo stesso shock violento prodotto dal percepire da vicino la morte di qualcuno, sono alcuni esempi che mostrano fino a che punto veniamo addestrati a crederci immortali. Il ruolo delle religioni, che propongono diversi tipi di paradisi e di resurrezioni, in cui trascenderemo la morte, è fondamentale per tentare di esorcizzare la paura di quello che “sarò dopo”.

Il tentare di percepirsi come immortali ha, però, un suo rovescio della medaglia. Poiché ci sentiamo eterni ci permettiamo di rimandare a un “domani ipotetico” le decisioni e le azioni che solo nell’oggi dovremmo realizzare e, peggio, ci condanniamo a reprimere le emozioni, negandoci la possibilità di esprimerle nella maniera corretta e, al tempo stesso, dimenticando che l’unico momento per “incontrare” e “incontrarsi” è “oggi”… e sarà molto breve. Un “mortale consapevole” non si permette un tale “spreco” del suo tempo che è breve e irripetibile.

La sfida dei contemporanei è difficile: imparare a gustare la vita fino in fondo, in ogni istante. Sostenevano gli antichi romani che un mortale gode e assapora il valore di ogni attimo prezioso, perché sa con certezza che la morte lo spia e che, all’appuntamento che ha con Lei, non ci sarà modo di mancare. Poiché la morte può toccarlo in qualsiasi momento, un guerriero si dà per morto in anticipo. Considera ogni azione come “il suo ultimo atto sulla Terra”.

Celebra missam, ut primam, ut unicam, ut ultimam (Officia la tua messa come se fosse sempre la prima volta, come se fosse l’unica possibilità che ti viene concessa, come se fosse l’ultima)

Il passaggio dal Medioevo al Rinascimento segna la nascita di un nuovo concetto dell’essere umano che diviene, di fatto, la misura di tutte le cose. A quest’atteggiamento positivo fa eco la presenza, per così dire, ridondante, della Morte, che non è più avvertita come la tappa finale del destino umano che prelude alla salvezza: la peste che dissemina cadaveri ovunque in Europa, la rappresentazione nell’arte delle immagini del disfacimento fisico dei corpi, di malattie o, frequentemente di scheletri, diventano l’elemento chiave per comprendere la dimensione naturale e materiale dell’esistenza umana.

Nella letteratura “cortese” e cavalleresca, il cavaliere attende la sua morte in maniera serena poiché egli si ricongiungerà con Dio, a conclusione della sua missione di guerriero e cristiano. Nella Chanson de Roland, il protagonista della morte più esemplare, la cui vita è stata dedicata alla lotta per difendere Dio ed il proprio sovrano, è il paladino Orlando. Egli muore da solo e su uno sfondo grandioso con una solenne scansione del rituale di morte (il confessare i propri peccati, il guanto teso a Dio, l’assunzione in cielo) che evidenzia la tragica e sovrumana condizione di Orlando.

Inutile rimarcare la precisa e approfondita descrizione del mondo dell’aldilà che è base di tutta la Divina Commedia di Dante Alighieri, è utile soffermarci sulla figura di Beatrice (nella realtà, Bice di Folco Portinari, immenso amore della sua vita) che traspare ancor meglio nella raccolta delle sue liriche giovanili intitolata La Vita Nuova. Dante, in questo poema, attribuisce alla figura di Beatrice molteplici aspetti. Dapprima ella è donna gentile, conosciuta ed esaltata negli schemi stilnovistici ma diviene, poi, il simbolo di un amore che nasce nell’intimo dell’anima e trova il suo appagamento nella contemplazione e, infine, dopo la conclusione della sua breve esistenza terrena, acquista il significato di una guida verso Dio. In pratica, la figura di Beatrice è stata un evento miracoloso, la presenza divina che offre al devoto la strada della beatitudine .

Francesco Petrarca con “I Trionfi” (poema a contenuto allegorico e autobiografico) dà sfogo alla dolorosa consapevolezza della caducità delle cose umane, nel trionfo della Morte in cui è narrata la sorte di Laura ovvero la donna che egli ama che, al ritorno dalla Provenza, seguita da un corteo di fanciulle, incontra la Morte che le annuncia la sua fine imminente. Laura, tuttavia, è serena poiché è sicura di poter ricongiungere la propria anima con il Creatore dopo la morte del corpo. La morte è, qui, rappresentata dalla lugubre figura di una donna, seguita dal corteo delle sue vittime, che si limita ad esercitare con gran distacco le sue tremende funzioni diventando quasi il corrispondente di una legge superiore nel rispetto dei ritmi eterni che reggono il mondo.

Una delle più agghiaccianti e realistiche descrizioni della Morte si rinviene nella rappresentazione della peste a Firenze, nel Decameron di Boccaccio. Con un rigorismo che potremmo definire quasi medico-legale, il poeta dipinge quadri di un realismo estremo e raccapricciante. La descrizione della peste rappresenta il trionfo della Morte in cui predomina un racconto lucido e distaccato, solenne nel tono e tragico nello stile, un’impressione d’attonito stupore per lo smarrirsi delle consuetudini civili, il disperdersi degli ornati costumi, l’irrompere della volgarità in una società concreta e reale, per strutture economiche e culturali, carattere e disposizione dei singoli individui rappresentando, per concludere, l’inizio di una nuova modernità letteraria.

In seguito, la morte è stata via via osservata come un male doloroso ma necessario per reagire, ad esempio, alle angherie del dittatore di turno. Attualmente, soprattutto in Occidente, si vive una condizione dicotomica, al confine con la schizofrenia. Da una parte la pena di morte dovrebbe agire come deterrente nei confronti di azioni delittuose; dall’altra, un preciso disegno egemonico che si porta dietro, mire espansionistiche verso un Medio Oriente più che mai in fermento, “ordina” alla cinematografia di produrre materiale sempre più a sfondo violento e truculento con l’obiettivo di creare un’assuefazione alle carneficine, così da impedire reazioni popolari di fronte alle sempre più frequenti azioni terroristiche

“Le scene della nostra vita sono come rozzi mosaici. Guardate da vicino non producono nessun effetto, non ci si può vedere niente di interessante e chiaro finché non si guardano da lontano” (Arthur Schopenhauer).

Sul piano puramente scientifico, si potrebbe considerare la morte, non come la fine ma come l’inizio di qualcosa di nuovo?

In effetti, dal momento che tutto si trasforma e nulla si distrugge, come spiega la fisica con Lavoisier dal diciottesimo secolo in poi, attraverso reazioni continue di atomi che si incontrano, si scontrano, si allontanano e si avvicinano, per cui tutto è legato ad equilibri che tendono a ricompattarsi, è chiaro ed è logico che tutto determini un avvicendamento di azioni e coazioni le quali seguono un filo conduttore. Questo, non tanto perché il destino di un essere umano sia segnato su di un libro, da qualche parte, quanto perché siccome ad ogni azione corrisponde una reazione, in funzione di quello che determiniamo si creano degli effetti “domino”, a seguito dei quali riproduciamo una serie di mutamenti scenici, che portano delle deviazioni che comunque restano all’interno di un contesto relativamente “chiuso”.

“Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma!”… esiste allora l’immortalità?… volendo?

Di fatto esiste una vita fatta di movimento all’interno delle microparticelle, che durerà per un tempo immenso, fino alla fine del nostro Universo… e forse anche oltre. In funzioe di ciò, non è scorretto pensare ad un’immortalità, almeno a livello di particelle.

“Davanti a noi stanno cose migliori di quelle che ci siamo lasciati alle spalle” (Clive Staples Lewis)

Ognuno di noi crea le basi per poter determinare delle azioni di utilità e, questo, ha a che fare sia con il concetto di autoaffermazione sia con il concetto di autostima e cioè, in pratica, ognuno di noi può produrre dei risultati utili per quello che è l’obiettivo delle leggi di natura, la prosecuzione e l’evoluzione di una specie in qualcosa di meglio, che sappia adattarsi in maniera sempre più corretta nei confronti di quelli che sono i mutamenti di ciò che incontriamo sulla nostro cammino. In fondo, siccome la nostra prospettiva di vita (come sostengono esperti in materia) è direttamente proporzionale agli interessi costruttivi, piuttosto che preoccuparci di morire dovremmo occuparci ci costruire motivazioni che ci inducano a continuare e perpetrare.

La Vita e la Morte come il Padre e la Madre (mia nonna mi ha spiegato che…)

Ricordo che, da piccolo, chiesi a mia nonna materna se avesse paura della Morte. Mi stupì molto la sua risposta. Ma, ancor di più, mi stupì la spiegazione: “Vedi, caro, quando nasciamo, veniamo dallo stesso posto nel quale andremo, con la nostra morte. Possiamo immaginare, quindi, che la Morte sia una grande Mamma che ci accoglie a a cui ,tutti, ci rivolgiamo nei momenti di grande difficoltà, quando vorremmo, a volte, andar via con tutte le nostre forze. La vita la possiamo immaginare come quel Padre che, prima ti fa fare l’esperienza e, poi, ti insegna la lezione. Io attendo il cosiddetto momento supremo con curiosità e come un ritorno in quella casa da cui mi sono allontanata tanti anni fa e nella quale tuti coloro che mi hanno preceduta, mi stanno attendendo, per conoscere da me, tutte le novità di questa Terra che, loro, non avendo né televisioni né giornali, non hanno potuto seguire”.

“Spesso è da forte, più che il morire, il vivere” (Vittorio Alfieri)Visto l’impegno e il tempo che richiede una vita che si svolge con “corrette” modalità, non potrebbe essere scoraggiante sapere che tanto impegno finisca nel nulla, con la morte?

Esiste una risposta che può consentire di orientarci in una direzione diversa da questa visione perché, ogni impegno comporta un miglioramento e, dal momento che noi viviamo perché nel nostro cranio esiste un sistema nervoso e quest’ultimo è stato migliorato ed evoluto per consentirci di affrontare le difficoltà, allora non è tempo sprecato quello di applicarci verso la risoluzione delle cose difficili.

Quello che forse non si considera adeguatamente è che non abbiamo sufficiente cultura, se vogliamo, per apprezzare lo sviluppo che determiniamo dopo aver prodotto avanzamenti in senso globale, per cui si continua a procedere, a progredire, a volte a “correre” senza sapere, tutto sommato, perché!

Il “nulla”, scientificamente parlando, di fatto non esiste. Consideriamo, ad esempio, anche ciò che definiamo con il termine “vuoto”.

Il vuoto che sta intorno a noi, il vuoto che ci distacca da un’altra persona, da un oggetto cui siamo legati… Ebbene, questo spazio, in realtà, è pieno di “qualcosa” ( molecole di aria, elettroni, neutrini, fotoni, etc.). anche gli atomi che ci compongono, sono “pieni” di qualcosa: le particelle che determinano gli scambi di informazioni.

Ma, l’antimateria non è il nulla?

Nel 1905, Albert Einstein propose la teoria della relatività ristretta (basata sulle due ipotesi che la velocità della luce nel vuoto sia costante e che le leggi della fisica appaiono uguali a osservatori in moto relativo con velocità costante. La relatività ristretta prevede una nuova concezione dello spazio-tempo e la possibilità di convertire energia in massa e, viceversa, massa in energia. Ogni sistema avente velocità prossima a quella della luce va analizzato con le formule della meccanica relativistica, non con quelle della meccanica classica) e, negli anni ’20, i fisici tedeschi Erwin Schrödinger e Werner Heisenberg inventarono la teoria quantistica della fisica (che consente di stabilire l’unità più piccola di una certa quantità fisica. Ad esempio, il “quanto” di elettricità è la carica dell’elettrone, il “quanto” di luce è il fotone) ma la loro teoria non era relativistica. Nel 1928, il fisico inglese Paul Dirac risolse il problema proponendo un’equazione che combinava la teoria quantistica con la relatività speciale. Questa equazione sembrava però presentare un grave problema. Essa prevedeva un elettrone con energia positiva ed uno con energia negativa. Nella teoria classica l’energia di una particella deve essere sempre un numero positivo. Allo scopo postulò che tutti gli stati ad energia negativa fossero occupati e che, il passaggio dell’oggetto occupante, ad uno stato di energia positiva si manifestasse come la “creazione” di una coppia particella (quella emersa) – antiparticella (il “buco” nato fra gli stati ad energia negativa).

Dirac successivamente, si pose il problema di che cosa potesse essere l’antiparticella dell’elettrone, e l’idea definitiva che si fece, era che, per ogni particella dovesse esistere una corrispondente antiparticella, con la stessa massa, ma con carica elettrica opposta. In particolare, all’elettrone deve corrispondere un antielettrone, identico all’elettrone, ma con carica elettrica positiva. Nella sua lezione per il premio Nobel, Dirac speculò anche sulla possibile esistenza di un universo nuovo, un universo costituito di antimateria.

Ogni oggetto che ci circonda è fatto di materia. Ma se ogni cosa è di materia, che cosa è allora l’antimateria? Per avere la risposta bisogna tornare indietro nel tempo fino agli anni ’30. Nel 1928 Dirac formulò una teoria per il moto degli elettroni in campi elettrici e magnetici, includendo sia “effetti quantici” che “effetti relativistici”. Questa teoria, in grado di descrivere i risultati delle misure sperimentali in modo eccezionalmente preciso, portò anche ad una sorprendente previsione. L’elettrone doveva avere una “antiparticella” con stessa massa ma carica elettrica opposta a quella negativa di un normale elettrone. La previsione di Dirac trovò conferma sperimentale nel 1932.

Oggi sappiamo che tutte le particelle con momento angolare intrinseco (lo spin) semi-intero, devono avere un’antiparticella. Mentre la massa di particelle e antiparticelle è identica, altre proprietà sono caratterizzate da valori che hanno segno matematico opposto. Ad esempio, l’antiprotone ha la stessa massa del protone ma carica elettrica opposta (cioè, la carica del protone è positiva, quella dell’antiprotone è negativa).

Anche alle particelle elettricamente neutre, come il neutrone, corrispondono antiparticelle. Esse possiedono proprietà, con segno cambiato, differenti dalla carica elettrica, ad esempio il “momento magnetico intrinseco”.

L’idea dell’antimateria è un’idea così rivoluzionaria che per essere accettata dovette attendere molte verifiche sperimentali. Oggi l’antimateria è usata, ogni giorno, in medicina per analizzare lo stato del cervello, tramite la tecnica chiamata Positron Emission Tomography (PET). La PET è un metodo di indagine che permette di misurare funzioni metaboliche e reazioni biochimiche in vivo ed ha larga applicazione nelle neuroscienze, in oncologia e cardiologia.

Nella PET i positroni provengono dal decadimento di nuclei radioattivi che vengono incorporati in un fluido speciale, iniettato per via endovenosa al paziente. I positroni emessi annichilano (cioé si fondono liberando energia) con gli elettroni degli atomi vicini e danno luogo a due raggi gamma emessi in direzioni opposte. Essi vengono evidenziati tramite opportuni rivelatori, disposti in “anelli” attorno al paziente, per individuare e registrare i punti in cui si sono verificate le annichilazioni e quindi ricostruire dove si è distribuito il radiofarmaco nel corpo.

Inoltre, sempre a proposito di antimateria, raggi cosmici provengono dallo spazio esterno, da ogni direzione. Alcuni di essi passano attraverso il nostro corpo ogni secondo di ogni giorno, ovunque noi siamo. I raggi cosmici primari sono composti principalmente da protoni e nuclei di elio (e relativamente pochi nuclei più pesanti) di alta energia. Giungendo nell’alta atmosfera terrestre essi collidono con i nuclei atomici di azoto e ossigeno dell’aria. In molte collisioni l’energia ricompare come massa di nuove particelle e antiparticelle. I raggi cosmici sono così una sorgente naturale di antiparticelle e, nel 1932 , studiandoli, Carl Anderson rivelò la prima antiparticella, il positrone.

Secondo la teoria del Big Bang, l’Universo ha avuto origine circa 15 miliardi di anni fa da una grande esplosione che produsse materia ed antimateria in misura uguale. Ma dov’è, ora, la controparte della materia che conosciamo? Perché oggi l’antimateria è così rara? Scoprire le radici di questa imperfezione cosmica è uno dei compiti fondamentali della moderna astrofisica, cosmologia ed anche della fisica fondamentale.

Si pensa che nell’Universo iniziale ci fossero particelle di materia ed di antimateria in uguali proporzioni. In continuazione particelle ad antiparticelle si annichilavano (disintegravano) in radiazioni e venivano ricreate in successive collisioni delle radiazioni. Nei primi attimi dell’Universo, il tutto era così compresso in piccole dimensioni, che perfino la luce non poteva allontanarsi e l’Universo era opaco.

Circa 10-34 secondi dopo il Big Bang, avvenne una transizione alla fine della quale si creò un piccolissimo eccesso di materia sull’antimateria: per ogni miliardo di antiparticelle si aveva un miliardo più una, di particelle. Dopo questa transizione l’Universo continuava ad espandersi e la sua temperatura scendeva rapidamente. Dopo circa 10-5 s la temperatura era scesa così tanto da rendere impossibile la creazione di nuove coppie particella-antiparticella. Tutte le antiparticelle annichilavano in collisioni particella-antiparticella; restò solo quel relativamente piccolo numero di particelle in eccesso, che rese possibile lo sviluppo dell’attuale Universo; tutto il resto era scomparso in radiazione.

Il preciso meccanismo che ha permesso alla materia di sopravvivere non è ancora completamente compreso. Molti fisici delle particelle pensano che l’asimmetria fra materia e antimateria derivi da diversità nelle proprietà fisiche.

Siccome quando materia e antimateria si incontrano diventano energia, possiamo ipotizzare (senza che la cosa appaia come un azzardo!) che, morire, è un ricongiugersi alla nostra antimateria con liberazione di energia (mediante ilmeccansismo della decomposizione: in pratica un “magnifico” ritorno all’equilibrio!Qualcuno potrebbe domandarsi, a questo punto: “Ma dove finisce questa energia liberata dal meccanismo dell’annichilazione?”

Da studi relativamente recenti, si è visto che le Stelle girano intorno a “qualcosa” che si trova al centro delle loro galassie: una sorta di materia che, contrariamente a quanto sappiamo, non emette alcun tipo di radiazione. Una sorta di materia, “oscura” insomma, che non sappiamo cosa sia! Inoltre, gruppi di ricercatori americani ed australiani, si sono accorti che l’Universo continua ad espendersi per la presenza di una forma di energia che si oppone alla gravità dei vari sistemi. In sua assenza, come sotto l’influsso di un grande elastico, il Tutto, avrebbe dovuto cominciare a collassare su se stesso. Da qui, la scoperta dell’energia Oscura.

Quello che colpisce è che la materia Barionica (di cui siamo fatti noi e tutto quello che siamo in grado di percepire) costituisce il 4% dell’intero sistema. Il 23% è materia oscura e il restante 73% è energia oscura (Margherita Hack).

In pratica, non possiamo escludere che, intorno a noi, ci siano forme viventi di cui non riusciamo a captare la presenza, perché non abbiamo strumenti (naturali o tecnologici) in grado di apprezzare questo binomio “materia/energia” che sfugge alle leggi della Fisica.

Ecco, forse, potremmo finire lì!

A questo punto, prima di salutarci, proviamo a capire come potremmo avere un atteggiamento equilibrato, di fronte alla Morte.

La risposta migliore consiste nel rileggere insieme i suggerimenmti di Seneca al suo amico Lucilio: “io cerco di addestrarmi a non desiderare più, da vecchio, le cose che desideravo da ragazzo. Faccio di tutto perché, ogni giorno, possa essere modello di un’intera vita, prendendo in considerazione l’ipotesi che, tuitto potrebbe finire all’improvviso. E, proprio per questo, lo godo a fondo. Cerca di non fare qualcosa controvoglia ma, semmai, di imparare ad amare e ad accettare quello che la realtà esige. La vita è provvista, in misura sufficiente, di tutto. Ma, noi, non ci saziamo mai. Abbiamo, sempre, la sensazione che ci manchi qualcosa. Aver vissuto abbastanza, non dipende dal numero degli anni o dei giorni, ma dal modo in cui, il nostro animo, ha vissuto quegli anni e quei giorni. Per ciò che mi riguarda, carissimo Lucilio, ho vissuto quanto poteva bastarmi. Ora sono sazio e aspetto serenamente quello cha avverrà”

“Siamo tutti rassegnati alla morte; è alla vita che non arriviamo a rassegnarci!” (Graham Greene).

Dovrei avere paura?

“Buon Compleanno, Bill”
“Grazie!”
Hai detto addio?”
“Non esattamente!”
“Avrai le tue ragioni”
“Si!”
“Ora che abbiamo un momento, posso esprimerti la mia gratitudine per quello che hai fatto per Susan? Non l’ho mai sentita parlare di un uomo come ha parlato di te! Era questo che desideravo per lei! Ma ora cosa le accadrà?”
“Non me ne preoccuperei, Bill! Queste sono cose che si risolvono da sole. Posso esprimere io la mia gratitudine per te, per il tempo che mi hai dedicato e per la persona che sei?”
“Non provare a prendermi per il culo, pensa alla mia autopsia!”
“È duro staccarsene!”
“Si, Bill, lo è!”
“Questa è la vita! Che posso dirti?”
“Dovrei avere paura?”
“Non un uomo come te!”

Bibliografia

  • Aries P.H.:L’uomo e la morte dal Medioevo a oggi, Milano, Mondadori, 1980.
  • Gianni A., Balestreri M., Pasquali A.: Antologia dlla Letteratura Italiana. G. D’Anna, Firenze, 1985.
  • Huizinga J.: L’autunno del medioevo, Firenze, Sansoni, 1988.
  • Macchiarelli L., Aarbarello P., Cave Bondi G., Feola T.: Compendio di Medicina Legale, Minerva Medica Edizioni, Torino, 1998.
  • Pasquali A., Balestreri M., Terzuoli G.: La società e le lettere. Principato, Milano, 1979.
  • Tenenti A.: Il senso della morte e l’amore della vita nel Rinascimento, Torino, Einaudi, 1957.
  • Vacca Roberto – Anche tu fisico. La fisica spiegata in modo comprensibile a chi non la usa – Garzanti 2008
  • Dawkins Richard – Il gene egoista – Mondadori 1994
  • Hoffman Roald – La chimica allo specchio – Longanesi 2006
  • Bergia Silvio; Franco Alessandro – Le strutture dello spaziotempo – CLUEB Ed. 2004
  • Duncan George– Fisica per scienze biomediche – CEA Ed. 1994
  • Einstein Albert – Il significato della relatività. (Ediz. Integrale) Newton Compton Ed. 2005
  • Sigrfied Tom – L’ universo strano. Idee al confine dello spazio-tempo – Dedalo Ed. 2007
  • Dawkins Richard – L’ arcobaleno della vita. La scienza di fronte alla bellezza dell’universo – Mondadori Ed. 2002
  • Autori Vari – Biologia molecolare del gene – Zanichelli Ed. 2005
  • Ghilotti Nicoletta – L’ ultimo viaggio. Consigli per chi accompagna alla fine della vita – Effatà Ed. 2008
  • Goleman Daniel – Intelligenza emotiva – BUR Ed. 1999
  • Luciano de Crescenzo – Sembra ieri – Oscar Mondadori 2005
  • Margherita Hack – Sotto una cupola stellata – Einaudi 2012
  • Seneca – La serenità – Oscar Mondadori 2010

Si ringraziano, rispettivamente, Adelina Gentile (per la collaborazione offerta nella stesura del dattiloscritto), Eugenio Filice (per avermi regalato il libro di Seneca) e Pasquale Ciardullo (per aver suggerito la poesia di Cesare Pavese).

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