Spero tu abbia trovato il calore che cercavi.
Il calore che cercavi!
Alcune situazioni sembrano già siano state vissute. Cambiano solo i tempi e le persone, ma le percezioni rimangono le stesse.
Mi sono fatta una idea e voglio provare a trasmetterla, lasciando vedere, per quanto mi è possibile, quella parte delicata che a volte nascondo sotto un velo di chiusura. Forse per proteggerla.
Partiamo dal discorso dell’accettazione, che pare sia alla base di qualunque relazione fra gli esseri umani. Ci si avvicina a volte allontanando. Cosa significa? È un discorso contorto, può sembrare l’esatto contrario dell’accettazione dell’altro, invece ne è una diretta conseguenza.
Mi fermo a pensare a quali possono essere le manifestazioni visibili che inducono a “presentarsi” per catturare l’attenzione. Ma ancor prima mi pongo una domanda: perché sentiamo questa necessità di catturare l’attenzione? È forse un bisogno ormai entrato a far parte di quel bagaglio che portiamo sempre insieme a noi?
Voglio entrare nel cuore della gente, anche quella che non conosco, attraverso la penna virtuale dei pensieri. Se tendo la mia mano, non rivestendola di rigidità e sicurezza, ma porgendola tremolante e carica, aspetto che torni indietro calda e rassicurata. Ecco, questa può essere una delle motivazioni che spingono e che c’è dietro al volersi fare accettare.
Il calore che cercavi.
Mai come in questa stagione appena trascorsa ho avvertito la “mancanza” dell’affetto. Ho navigato per le strade e nei posti più svariati, a cercare nello sguardo della gente la scintilla da cui parte il fuoco intenso che avvicina le persone. Perché mai proprio in questa estate e non in un altro momento della vita? Cosa è scattato all’interno, cosa all’improvviso ha deciso di farsi sentire così fortemente da creare un disturbo, a turbare un momento altrimenti piatto e senza, apparentemente, alcuna necessità di bisogno?
Perdutamente.
Forse a volte abbiamo la necessità di perderci dolcemente fra le pieghe dell’anima, che si volgono alla tenerezza senza interpellare la ragione. L’uomo è una macchina, inzuppata di sentimenti che hanno bisogno di essere alimentati. Il suono di una musica eleva, una sosta sotto un cielo che si prepara ad essere illuminato dalla pienezza dello splendore ci emoziona, il contatto con una mano calda trasferisce più di mille parole.
Basta sapersi guardare dentro gli occhi. Si utilizza una comunicazione antica molto più della parola, fatta di onde di calde emozioni che arrivano a destinazione senza freni. Perché non puoi fare più niente, anche se volessi bloccarle, rendendo il tutto molto più vero, autentico, umano.
Abbasso lo sguardo, ma sento di non avere addosso più niente, nessuna corazza pesante, nessuno scudo a nascondere. Anche le braccia, ormai stanche, si abbassano arrese, un po’ aperte ad accogliere.
Perdutamente.
Assorbo con attenzione, appuntando sul foglio bianco degli anni che verranno le sensazioni che mi scuotono facendomi vibrare. Proverò poi a rileggerli in un’altra fase della vita, che non è poi così lontana. Non posso fare a meno di tirare delle conclusioni, anche se non verificabili. Ma la percezione a volte è molto più intensa ad illuminare la verità della parola che si lascia, apparentemente, libera e trasparente e da interpretare con certezza.
Il bisogno dell’affetto.
Ho trovato un angolo un po’ nascosto, da dove posso entrare in sintonia con l’immensità che sovrasta. Mi piace nella sera che si appresta ad annunciare la notte, accogliermi lì, immergendomi nei miei pensieri e, senza usare troppo la fantasia, liberare il calore che accompagna ogni lacrima che scivola.
Mi perdo nella ricerca della comprensione dei meccanismi che legano i fenomeni organici alle attività di pensiero. E, per quanto possano essere innumerevoli i collegamenti e affascinanti le relazioni fra essi, mi accorgo che siamo impreparati, ancora molto lontani dal saperli vivere con naturalezza. Viene fuori una emozione vestita e che ha bisogno di trovare una calda accoglienza.
È molto più semplice di quello che immaginiamo, se riuscissimo a superare la paura di accettare la vulnerabilità dei nostri sentimenti.
Perdutamente. Si ha bisogno di perdersi, senza ricercare i confini che circoscrivono legando e reprimono inibendo.
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Lascio questo rigo. In bianco. Non voglio sistemare, questa volta, alcun punto che metta fine ad una cosa che è appena cominciata.
Fernanda 1 ottobre 2010
Biologa CNR, Counselor. Responsabile “gestione area informativa” Progetto SOS Alzheimer On Line