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Un giorno di ritardo. In realtà questo stato d’animo che mi ritrovo dentro avrebbe dovuto manifestarsi ieri, solo ieri e invece…

Rileggo le ultime due righe, una vertigine mi avvolge. Spengo ogni contatto con il mondo, non voglio per nessuna ragione essere distratta da questo istante e ci provo.

Una giornata difficile.

Arriva un momento in cui, per quanto ci si sforzi di riempirsi e non di riempire, bisogna fermarsi e chiedersi perché. Perché ci ritroviamo in una dimensione che diventa improvvisamente sconosciuta? Perché la tensione accumulata si proietta sul corpo cercando una via per uscire senza rispetto per se stessi? Perché gli occhi mi si chiudono senza che possa far niente se non che assecondarli?

Una domanda viene fuori liberamente e senza passare dal filtro in un momento di disperazione. Ma com’è possibile che solo in pochi sono capaci di vivere il dolore affrontando, non senza spaventarsi, ma accettandolo, perché parte della vita?

La risposta è semplice e immediata: la paura di suscitare paura. Eppure l’immagine che spesso si presenta è quella di un bambino dal volto terrorizzato. Non può spaventare, è vero, semmai alimenta tenerezza e la voglia di tendere una mano, proteggendo.

Rimango sorpresa, nonostante sono attenta su me stessa, di come sembra che le cose scivolino senza penetrare, quasi accarezzando e quindi illudendo, ma in realtà lasciano un solco leggero che finisce per bruciare. E si fa sentire nel momento che meno ti aspettavi.

Ma la mia domanda è un’altra: è possibile non accorgersi di quello che ci accade? E chi appare ignaro, vive forse meglio oppure sta solo accumulando?

Mi guardo dall’esterno e provo a parlarmi con dolcezza. Ritornano a me i versi di un canto che aiuta a soffermarsi sulla grazia in se stessi, la pace nell’interno, il sollievo che nasce dal dolore.

È uno stato d’animo ingarbugliato, ma autentico. Frammisto ad un po’ di malinconia, di delusione, anche ad un po’ di rabbia per non essere riusciti nemmeno questa volta a “controllare”.

Ripercorro, provando una fitta acuta che mi stringe. A volte vorrei non avere le risposte, a volte vorrei solo porre le domande.

La grazia in se stessi. Sarà questa la via al benessere dell’anima? Ciò che placa l’inquietudine e tranquillizza lo spirito. Colmare le ansie per donarsi e donare, ascoltarsi e comprendere, accogliere il tutto, qualsiasi cosa ci appartiene.

Una espressione di leggero sorriso sul viso affaticato da uno dei tanti percorsi. I segnali della vita. Quante cose succedono casualmente, apparentemente senza significato? Eppure guardandole dal punto giusto finiscono per incastrarsi disegnando una forma armonica. Che finisce per indicare la strada giusta.

Lascio, un po’ a fatica, nonostante ha fatto male. Porto con me la speranza. Come sempre.

Fernanda (2 gennaio 2011)

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