Capriccioso. Come quando era piccolo, quando l’egocentrismo, guidato dal non completo sviluppo di quelle aree cerebrali deputate alla comprensione, alla capacità di compenetrare lo stato d’animo altrui, in una sola parola, dalla mancanza di quella splendida abilità che si chiama empatia, dominava la scena della sua vita.
Arrogante. Nei gesti e nelle azioni, con una sfrontatezza tale che, però, di molto si allontana dalla spontaneità, a superare in una virtuale corsa chi gli sta vicino, schiacciarlo ad un angolo nel momento esatto del sorpasso, per poi finire con quel grande atto che si chiama prevaricazione. Che lo rende visibile per quello che realmente è.
Non sarà forse mai cresciuto abbastanza? Ne ho letto tanto e tanto ne ho riflettuto, ma non ho ancora imparato a sufficienza.
Cerco a fatica una motivazione che mi sospinga in questo momento oscurato dall’incertezza del futuro. Provo a sollevarmi tirandomi su e assaporando, come un tempo, la soddisfazione volta al raggiungimento di uno degli obiettivi. Ma…
Avanza verso di me, con fare minaccioso. La immagino ingombrante nell’aspetto, dura nell’espressione, senza sguardo a lasciarsi penetrare. Pronta, al momento opportuno, per spegnere ogni entusiasmo, ogni scintilla ha deciso di riaccendersi a brillare.
Aspetto con ansia la fine di questa giornata.
Ripenso con tristezza alla povertà che ho incontrato solo ieri, nella sera più tarda e… mi si stringe il cuore. La pioggia battente ha deciso di incalzare senza smettere. Vengo investita da un’onda di malessere: un quadro a cui siamo abituati nonostante, ma che spesso sfugge ai nostri occhi. Perché troppo presi da… Ma da cosa?
Mi vergogno, a volte, di sentire impellenti i mie desideri bussare alla porta, insistentemente, senza rispetto per quello che accade nella strada della vita.
Uno sguardo innocente, che non porta richieste, avvolto nelle braccia calde ma fra le condizioni più fredde. Istintivamente mi apro per quello che posso e dono quello che porto con me. Una richiesta di aiuto. Non si può rimanere immobili a guardare.
Come è avvenuto in un passato non troppo lontano rivedo le lacrime di dolore di un uomo che, scendendo velocemente con le braccia tese, incontrava la povertà e la faceva sua.
Nello stesso identico modo frugo velocemente fra le cose che mi appartengono col desiderio di donare. Donare calore per riscaldare e mentre lo trasferisco piango, di lacrime calde e di rabbia nello stesso tempo. Non può essere che nella vita esistano degli estremi così lontani! Le assurdità che si mostrano senza imbarazzi per quello che sono.
Una notte di pioggia e di fulmini, preceduti da lampi violenti di luce a ricordarti che là fuori il mondo è ben altro.
Prepotentemente ritorna l’arroganza di chi non vuole proprio arrendersi a comprendere, di chi vive immerso nel suo unico punto di vista, di chi ancora non ha capito che si avanza ruotando su se stessi e a 360º, in modo tale da riuscire a vedere tutto e tutti, senza incorrere in errori dettati dalla insolenza.
Ancora una volta mi ritrovo di fronte i due eccessi. E mi chiedo, sforzandomi di guardare bene all’interno, quale sarà, o meglio, ci sarà una via di mezzo?
Quando lo sguardo mi sfugge provocando un sussulto, quando la realtà si avvicina di troppo alla linea di confine, quando non riesco più a contenere i pensieri e sento di dover necessariamente saltare.
Si ricomincia daccapo!
Fernanda – 29 novembre 2010
Biologa CNR, Counselor. Responsabile “gestione area informativa” Progetto SOS Alzheimer On Line