Posted on

La memorizzazione di qualcosa avviene dopo che, una serie di informazioni provenienti dalle sollecitazioni sensoriali, attraversa le zone deputate del sistema nervoso (Ippocampo e zone limitrofe), passa per l’ufficio postale che smista la corrispondenza (il Talamo) e viene proiettata nella corteccia cerebrale.

Qui, prima di entrare nell’armadio dove diventeranno “ricordi”, le informazioni percepite, vengono confrontate con quanto, di simile, abbiamo già in memoria. Una volta riconosciute come qualcosa di noto (eventualmente da migliorare) o come elemento nuovo (da archiviare per accrescere le nostre conoscenze) vengono, prima scomposte nei loro costituenti fondamentali (un po’ come un albero di Natale spogliato dei suoi arredi) e, poi, allocate in diversi punti fra cui il cervelletto e la corteccia cerebrale definita “associativa” (perchè è capace di associare gli elementi pervenuti fin lì, attraverso varie vie sensoriali: ottiche, acustiche, olfattorie, etc.).

Quando si rievoca un ricordo, si compie, sostanzialmente, un percorso a ritroso per cui, una sollecitazione (che stimola il bisogno di ricordare) richiama dalle zone di memoria, tutti i dati inerenti a ciò che serve per ricostruire il film della storia che vogliamo riprodurre.

Siccome, però, quello che dobbiamo rievocare è composto da tante tracce mnestiche (per esempio, ne esiste una per ogni via sensoriale), un meccanismo cerebrale di controllo, permette di far emergere una singola traccia mnestica inibendo tutte quelle che potrebbero competere con essa.

Questo non deve apparire affatto strano.

Infatti, ognuno di noi, ad esempio, usa maggiormente un senso (la vista, l’olfatto. Il gusto, l’udito o il tatto) rispetto agli altri per cui, anche quando dobbiamo ripescare i dati dall’archivio prevarrà il “file” sensoriale corrispondente. Inoltre, ogni volta che ripeschiamo ricordi, abbiamo comunque, l’esigenza (consapevole o meno) di provare a percepire maggiormente la rievocazione di qualcosa rispetto ad altto (il profumo di un piatto di spaghetti, piuttosto che il sapore; la freschezza di un bicchiere d’acqua, piuttosto che la consistenza; il sapore di un dolce, la vista di un tramonto, etc.).

Lo studio di un gruppo di ricercatori dell’Università di Birmingham e dell’Università di Cambridge pubblicato su “Nature Neuroscience” ha, ora, dimostrato che il degradarsi dei ricordi è un fenomeno fisiologico, dovuto proprio al richiamare ripetutamente la memoria di un evento.

In sintesi, ricordare è uno dei meccanismi per cui si dimentica.

Generalmente, si ritiene che pensare o dimenticare siano processi passivi: la nostra ricerca rivela che le persone sono più coinvolte di quanto ritengano nel dare forma a ciò che ricordano della propria vita”, ha commentato Michael Anderson, autore senior dello studio. “L’idea che l’atto stesso di ricordare possa causare l’oblio è sorprendente, e ci può fornire utili indicazioni sui meccanismi che controllano la memoria selettiva e sui fenomeni di creazione di falsi ricordi”

Quanto scoperto potrebbe spiegare, sperimentalmente anche il perchè, nel tempo, modifichiamo il ricordo di qualcosa pur restando convinti di possederne, ancora, lo “stampo originale”.

Gli spazi lasciati liberi dal meccanismo sopra descritto, infatti, vengono gradualmente riempiti da nuove esperienze similari che, quotidianamente, viviamo.

Così, un po’ alla volta, i nostri ricordi si plasmano rispetto a quanto (impercettibilmente ma continuamente) cambia la nostra identità

Giorgio Marchese – Medico Psicoterapeuta, Docente di Psicologia Fisiologica, Psiconeuroimmunoendocrinologia ed Epigenetica c/o la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia ad Indirizzo Dinamico SFPID (Roma, Bari, Rimini)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *