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Soltanto due ore al giorno…


 

Racconti, riflessioni ed emozioni

È come se vivessi soltanto due ore al giorno ed il tempo scorresse indifferente, incurante di ciò che lascia dietro di sé, ignaro di tutto ciò che esiste al di là del limite di questo spazio ristretto, troppo piccolo per contenere una vita che voglia essere vissuta .

È come se vivessi soltanto due ore al giorno ed il resto del tempo lo trascorressi inseguendo gli attimi che inesorabili si susseguono senza riuscire ad afferrarli per custodirli tra i ricordi più belli.

È come se vivessi soltanto due ore al giorno, ed il tempo mi sembra troppo breve per essere vissuto, e troppo lungo per aspettare ancora.

È come se vivessi soltanto due ore al giorno e non riuscissi a dare un senso al tempo che rimane, e a quello già passato scivolato via così, mentre il presente sfugge e si allontana .

Mi rivedo in un’ immagine suscitata dall’ascolto di un brano musicale qualche anno fa. Sono da sola, ferma al centro di un ponte su un lago, in un luogo a me caro. C’è il sole, ma improvvisamente il cielo si oscura e incomincia a piovere. Incerta sulla direzione da scegliere, io non mi muovo, non provo nemmeno a cercare riparo dalla pioggia battente. Un vento gelido sfiora la mia pelle e sembra riuscire ad attraversarla. Ogni muscolo diventa rigido, il respiro si fa lento e pesante. Sento le lacrime salire agli occhi e premere con forza. Con la mano cerco di tamponarle, quasi ad impedirgli di venire giù. Ma mi sento esplodere e non è più possibile trattenere…

Appena prima della fine di un lungo viaggio è difficile non guardarsi indietro e non avvertire la stanchezza. Sono molti gli interrogativi che ancora rimangono irrisolti, tante le parole che restano sospese, come offuscate da una densa nebbia non consente di vedere con chiarezza, e rallenta il cammino.

Mi soffermo a ripercorrere con la mente il mio tragitto, penso a come tutto è cominciato, e a cosa resterà quando sarà terminato. Chiudo gli occhi e inspiro profondamente. Non è ancora il momento di lasciarsi andare, non è ancora l’ora per potersi abbandonare. Trattengo il fiato, come per paura che anche il più leggero soffio di vento potrebbe dare vita ad una tempesta che forse non sono ancora pronta ad affrontare, ma che so di non poter evitare.

Cerco di tenere a bada gli stati d’animo contrastanti che provo in questo delicato momento di “transizione”. Un’ insolita e nuova forza mi spinge ad andare, mentre vecchi condizionamenti mi inducono a restare. È inevitabile fare i conti con quello che è stato, ed è doveroso porsi domande su quello che sarà, per non cadere negli stessi errori e provare ad essere migliori. È tempo di consuntivi, e vorrei potermi aprire e condividere questo momento, anche se una parte di me sarebbe tentata di chiudersi per non avere distrazioni, e soprattutto per non mostrare le mie debolezze . Mi domando come fare a lasciare aperto il passaggio alle emozioni che non vogliono più frenare la loro intensità. Mi chiedo come poter permettere di entrare a chi avrà voglia di avvicinarsi, senza ferirmi e senza ferire.

Lascio che le insicurezze cadano senza far rumore e si disperdano nella quiete del silenzio. Immagino di guardarle allontanarsi da me come un velo, che scivolando via porta con sé quella patina di grigio che non consente di percepire tutti i colori nelle varie sfumature. Come accade ogni volta che attraverso simili momenti, fatico a svincolarmi da antichi legami, cessando di difendere ciò che sento appartenermi ma che allo stesso tempo mi blocca e mi logora dentro, per fare posto al nuovo.

Avverto la contraddizione del mio sentire con tutta la sua forza, consapevole che non potranno non rimanere i segni di questo lungo viaggio, fatto di giri a vuoto e di strade interrotte. Ma vorrei vivere questo momento di conclusione, aprendomi e cercando la leggerezza nei pensieri e nei movimenti. Vorrei che ogni gesto fosse più spontaneo ed ogni parola più sentita, per guardare al domani da un’altra angolazione, sotto una nuova luce, libera da vani rimpianti, pronta a ricominciare un nuovo viaggio…

All’amica V.

Liberami di me. Voglio uscire dalla mia anima.
Io sono ciò che geme, che arde, che soffre.
Io sono ciò che attacca, che ulula, che canta.
No, non voglio esser questo.
Aiutami a rompere queste porte immense.
Con le tue spalle di seta disseppellisci
queste àncore. (…)

Liberami di me. Voglio uscire dalla mia anima.
Voglio non aver limiti ed elevarmi verso quell’astro.
Il mio cuore non deve tacere oggi o domani.
Deve partecipare di ciò che tocca,
dev’essere di metalli, di radici, d’ali.
Non posso esser la pietra che s’innalza e non torna,
non posso esser l’ombra che si disfa e passa.

No, non può essere, non può essere.
Allora griderei, piangerei, gemerei.
Non può essere, non può essere.
Chi avrebbe rotto questa vibrazione delle mie ali?
Chi m’avrebbe sterminato? Quale disegno, quale parola?
Non può essere, non può essere, non può essere.
Liberami di me, voglio uscire dalla mia anima… (Pablo Neruda)