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Alcune persone sono troppo “speciali” per essere amate. Un ossimoro che suona come una condanna alla solitudine e al non amore. Io ho sempre pensato che fosse una questione di difetto, e non di eccesso. Ho sempre creduto di essere “troppo poco” , e non di essere troppo. Ritenevo che la causa della mia impossibilità a legarmi a qualcuno fosse imputabile alle troppe carenze da colmare. Oppure un’altra spiegazione c’è. Forse quando si passa molto tempo in compagnia delle proprie riflessioni e ci si “eleva” in termini di conclusioni a cui si giunge, si rischia di fare fatica a trovare qualcuno che ci corrisponda. Eppure riflettere doveva servire a dipanare la matassa ingarbugliata e contorta dei miei sentimenti per arrivare al cuore del problema. Non doveva forse servire a comprendere ciò che non ho avuto modo di sperimentare, per poi un giorno, essere in grado di provarlo anche io?

“A modo mio avrei bisogno di carezze anche io…”

L’amore non deve servire a colmare vuoti o compensare mancanze di vario genere, ma è un bisogno a cui non si può non prestare ascolto. Reclama attenzione, e non concede di assuefarsi all’abitudine che sia qualcosa che non può far parte della propria vita. Non è una necessità indispensabile alla sopravvivenza, mi rendo conto da sola di essere comunque in grado di muovermi e di respirare, ma continuo a sentirmi fragile e ferita come una bambina per questa mancanza. Non si tratta soltanto del mancato appagamento di un desiderio, è uno squarcio profondo nell’identità. Io non mi conosco, non mi sono sperimentata come essere umano in grado di amare , e di essere amata. Non ho avuto neppure la libertà, la spontaneità e la leggerezza di assecondare le necessità che il corpo, seppure intorpidito e stanco ancora avverte. Non ho fatto esperienze che mi abbiano consentito di capire, di scegliere, di differenziare ciò che sono da ciò che non sono.

Come si fa a comprendere e a delineare in maniera definita i contorni della propria personalità senza fare esperienza, senza confrontarsi con la realtà?

Mi sono attribuita scarsa femminilità, scarsa maturità, scarsa capacità di generare empatia, e di sicuro un’eccessiva chiusura verso il mondo esterno. Ma alla fine di questo logorio interiore cosa rimane al di là di una profonda sensazione d’incompletezza e di amara solitudine? Le incertezze, le insicurezze e i dubbi, sempre gli stessi, che continuano ad insinuarsi, sul mio essere normale e sulle motivazioni di questa condizione. Non voglio più ribellarmi, non voglio più chiedermi “perché”, non voglio che le solite dolorose domande siano l’unico modo per sentirmi viva.

Ma come giungere ad una serena conciliazione?

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