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Da sempre, e in ogni angolo di questa nostra casa comune chiamata Terra, ci sarà qualcuno che cerca risposte concrete alla domanda “fino a che punto ha senso chiamarla vita…?” Per poter tentare di fornire una bozza di risposta, è necessario partire da un dato oggettivo e ciò che la vita rappresenta per tutti, chi per un motivo chi per un altro, una parentesi difficile di “finito” nella propria “in finitezza”. Ognuno di noi sa che non potrà mai essere “rose e fiori” e, forse, è giusto che sia così costituendo, questo, parte integrante dell’alternanza dei momenti di quel continuo divenire chiamato esistenza a cui siamo soggetti e non ci pare che siano previste eccezioni per chicchessia…E’ amaro ma purtroppo è così; Paolo Coelho in suo libro sostiene che negli occhi dei bambini non ci sia amarezza, questo è dato inconfutabile a cui noi, però, ci permettiamo di aggiungere perchè ancora non hanno conosciuto la vita! La vita è fatta anche di momenti, brevi o lunghi, intrisi di amarezza che ci permettono, però, di poter gustare pienamente la dolcezza della gioia e della felicità che ognuno di noi ha assaporato e che assaporerà ancora, non ci chiedete il perchè, sappiamo che è così e basta. Il grande Lorenzo il Magnifico scriveva ” chi vuol esser lieto sia perchè del domani non v’è certezza”, crediamo che queste parole racchiudano un mondo, anzi in queste parole è racchiuso …PER CONTINUARE LA LETTURA, CLICCARE SUL TITOLO.



…per chi lo voglia cogliere, il pieno senso della vita che traduciamo in questi termini godi dell’oggi altrimenti inseguirai “amaramente” un domani fatto di incertezza. Certo, è anche vero che costruendo il proprio domani questo sarà meno incerto ma, troppo spesso, dimentichiamo che non dipende solo da noi, l’imponderabile purtroppo, nelle vicende umane esiste sempre e a volte gioca a favore, a volte contro, per cui bisognerebbe farsi trovare pronti nel caso si dovesse verificare la seconda ipotesi…facile a dirsi ma non altrettanto facile a farsi!

La cultura islamica ritiene che l’esistenza sia come una coppa d’oro da riempire con piccole pietruzze, bianche e nere, e che quelle bianche si raccolgono con gioia mentre per quelle nere bisogna avere molto coraggio per raccoglierle: da qui il concetto di paura che l’uomo “pieno e ricco” deve avere nel proprio bagaglio in quanto l’uomo che non ha paura non è uomo.

Infatti, sempre secondo la cultura islamica, le paure vanno affrontate per far si che da paure diventino certezze accrescendo così la nostra forza, in caso contrario si accrescerebbero solo i nostri dubbi al pari delle nostre incertezze.

Quello fornito dagli islamici, in fondo, è il quadro dell’uomo ideale ma per loro non è utopia perché ci credono.. si ci credono fino in fondo; e dovrebbe essere così per ognuno di noi, crederci fino in fondo, credere in se stessi, credere nella vita, anche quando si è convinti di essere sul punto di perderla, credere, credere e ancora credere, perché è la vita in se stessa che rappresenta una vittoria che si rinnova giorno dopo giorno nelle piccole cose che poi sono le più grandi; E quella coppa bisogna cercare di riempirla fino in fondo anche se il colore nero dovesse oscurare, apparentemente, quello bianco in quanto, una volta riempita, di colpo, diventerà candida; infatti, il bene vince sempre sul male ma solo se ci credi però…è stato sempre così e sarà sempre così, ecco questo dicono gli islamici che sostengono anche che se la coppa verrà riempita a metà allora il colore prevalente sarà il nero che è il colore della sconfitta e sarà solo colpa nostra perché non ci avremo creduto.

A coloro i quali sostengono che la vita abbia un senso solo quando si può lasciare traccia di sé per poter dire “io c’ero”, rispondiamo con affetto che il mondo è fatto di cerchi concentrici dove si può essere presenti anche senza sapere di esserlo e nei quali la propria assenza provocherebbe un cataclisma così grande da turbarne l’armonia esistente generando il caos. Si può e si deve essere attori protagonisti in un mondo fatto a prevalenza di comparse rimanendo semplicemente se stessi è questa la grande lezione dell’universo che Pablo Cohelo ci propone nelle sue opere e che magistralmente rappresenta in un pastore, nell’Alchimista, che riesce nella sua vita solo dopo averla sofferta e sopportata semplicemente credendoci fino in fondo anche quando apparentemente pareva che fosse finita…lui ci ha creduto, lui ha realizzato; in fondo si trattava solo di un pastore che però ha saputo lasciare traccia di sé partendo da sé guardando dentro di sé; quel pastore ha realizzato la propria leggenda personale che ognuno di noi dovrebbe realizzare tra gioie e dolori, anche quando sembra che non sia così…



Mariano Marchese – 14 dicembre 2004