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Vagando, nella notte del cuore.


Racconti, riflessioni ed emozioni

Sullivan:

Mi chiamo Sally, ho tredici anni e una gamba che non funziona.

Non sono molto alta, neanche bassa.

Direi.. giusta.

Porto i capelli, più o meno, all’altezza delle spalle e ho gli occhi di colore castano, non troppo chiaro, non troppo scuro, indosso gli occhiali e un tutore permanente.

La mia gamba sinistra è nata senza parte di un muscolo: il g-a-s-t-r-o-qualcosa. Cercando, però, un simile termine sull’enciclopedia medica di mia madre ho trovato spiegazioni circa lo stomaco. Perciò sono confusa.. ma non voglio chiedere chiarimenti ai miei genitori perché conosco ( e mi basta) l’essenziale: non posso correre, né saltare.. né camminare in modo disinvolto come gli altri. E cosa c’entri lo stomaco in tutto questo.. non ho idea.

Non approfondirò la faccenda perché non amo parlare di questa gamba. Né con me, né con altri.

Il profilo del mio naso, invece, è regolare, proporzionato al resto del viso, perciò, invisibile. Tutto ciò che è normale lo è. E io amo l’invisibilità.

Ho un carattere abbastanza equilibrato. Non aggressivo, non troppo mite.

Non mi ritengo bella.. però non sarebbe corretto dire che sia brutta.

Sono carina, ecco.

Sono media.

Nei limiti della norma.

Lo sarei del tutto se non fosse per la gamba.. che mi pone un po’ sotto ai riflettori.

Ma a me piace l’ombra. Da lì il mondo si osserva meglio, tutto e più chiaro e io.. ho meno paura di muovere i miei passi incerti e vacillanti.

Crescendo acquisirà un’andatura.. non corretta ma quasi. Con l’adeguata fisioterapia, come le ho più volte spiegato, anche il dolore si attenuerà lentamente e in modo costante. D’altronde.. signor De Floris.. qualche buon risultato, nel corso degli anni, l’abbiamo raggiunto. E poi, con l’odierna biomeccanica, è possibile realizzare tutori individualizzati.. di ragionevoli dimensioni. Stia tranquillo, aiutiamo sua figlia nel migliore dei modi. Non c’è bisogno di allarmarsi per una caduta. Nelle sue condizioni, cadere, è più che normale. L’importante è che abbia imparato ad ammortizzare l’impatto come l’è stato insegnato. Gli esercizi quotidiani sono fondamentali, lo sa benissimo, perciò.. cerchi di motivare la ragazza il più possibile.. perché i risultati non sono immediati”.

A me piace origliare quando arriva qualcuno a casa.

Mi piace quando si parla di me.. mentre fingo di non esserci.

E amo quando la mamma, convinta che sia di là in camera, piange per me. Perché lei piange per me, di questo sono certa.

Non mi duole per niente quando lo fa, quando si preoccupa di me insomma. A volte, attraverso il muro che separa le nostre camere da letto, la sento in preda a piccoli sussulti strozzati. Ha sempre gli occhi gonfi, la mamma. Ultimamente, poi, mi sembra più triste del solito.


Lorenzo:

Sa dottore.. il problema non è solo mia moglie. Da un po’ di tempo Sally è.. come dire.. strana, ecco. Che sia innamorata?.. Per quanto, in realtà, il significato della domanda abbia valenza alla sua età.. Sarà il caso di farle quei discorsi replicati sul primo bacio, sulla scoperta di un corpo in fase di cambiamento, sulle emozioni guidate dagli sbalzi ormonali propri della pubertà.. e su tutto il resto? Di certo sua madre è la più adatta ad accompagnare la bambina in questa nuova fase della sua vita. Lei che ne pensa? Spero solo che il tipo di cui si è invaghita non sia un piccolo delinquente..

Che sia già piombato nel caratteristico, rutilante, psichedelico vortice mentale (dei padri di mezz’età) capace di ottundere completamente quella ragionevolezza genitoriale.. essenziale, in particolar modo, al benessere psichico di figli in bilico tra fanciullezza e adolescenza?

La prego m’insegni la calma.

Cosa accadrà quando sarà giunto il momento di affidare la mia bambina a mani estranee? Come farò a cancellare l’idea che nessun altro possa volerle il bene che merita?


Sullivan:

La mia amica Tina dice che sono cattiva.. ma non è così, io voglio bene alla mamma e non voglio che stia male. Solo che, quando si angustia per me, provo un senso di pienezza e benessere che non riesco a spiegare. E forse, per questo, sbaglio a parlargliene.

Tina mi scruta con sguardo un po’ confuso, un po’ stizzito e ribatte dicendo che.. quando si vuole bene a qualcuno non lo si vuol vedere piangere e soffrire. Dice che non è normale. Lei, ad esempio, vuole molto bene a Tuppy, il suo gatto. E’ contenta quando se ne prende cura. Infatti, quella volta che Tuppy, ingoiando malamente un osso di pollo stette così male che i suoi dovettero portarlo, di corsa, dal veterinario dietro l’angolo, sulla ventitreesima.. la mia amica pianse, abbattuta e inconsolabile, per tre ore consecutive.

Secondo me era disperata anche perché.. il gatto.. è il suo passatempo preferito e non si accorge di torturarlo. Ma, ovviamente, non gliel’ho detto. Odio litigare con Tina perché, poi, devo essere sempre io a chiederle di far pace.. anche se, il più delle volte, ho ragione.

Però.. ripensando alle sue parole, a volte, mi sento in colpa. Non troppo, in realtà.. Mi sento in colpa come quando mangio troppo cioccolato al latte con le nocciole. So che è sbagliato.. ma non resisto. Il malessere dura pochi secondi perché, presto, sopraffatto dal soffice sapore che mi pervade il palato.

Insomma.. credo che, spesso, sentirsi in colpa sia più un dovere che un moto di coscienza spontaneo. Non si tratta, quindi, di reale, onesta e-s-p-i-a-z-i-o-n-e.

Forse non c’è un modo per rimediare ai cattivi pensieri e alle azioni malvagie. Forse bisogna accettare di essere, spesso, crudeli e disonesti senza preoccuparsi, poi, di convincere noi e gli altri che non lo si è. Cioè.. se in una data parentesi della mia vita commetto un errore (che evidentemente per me in quel momento non è errore o, se lo è, ne sono quantomeno cosciente).. devo, in un secondo tempo, pentirmi o vergognarmi d’averlo perpetrato? Che logica è questa? Quando faccio una cosa “sbagliata”.. so d’averla fatta. Perché, poi, devo fingere di dispiacermene?

Da quando abbiamo fatto la Cresima Tina si confessa tutte le domeniche. Sua madre glielo ricorda il giorno prima, in modo che carichi la sveglia alle sette e trenta. La puntualità, in quella casa, è sacra. La famiglia.. impeccabile in ogni dettaglio.

Non vado mai a casa di Tina, l’ombra del silenzio che vi aleggia sembra schiacciare, senza sforzo, l’unica nota vitale di quel paesaggio dimenticato, il miagolio di Tuppy. Ho una gran pena per quel gatto.

Don Saverio Bartoli, il sacerdote della nostra parrocchia, dopo aver celebrato messa esorta i ragazzini a confidargli le malefatte della settimana, così che.. con dieci Pater-Ave-Gloria.. possano chiedere perdono a Gesù, “pentiti e animati dal buon proposito di non offenderlo mai più”.

Gesù mi piace (cioè.. mi piacciono, soprattutto, i suoi capelli se sono come nelle immagini sacre). Però non ho il coraggio di confessare, né a Lui né a don Saverio, che adoro le lacrime di mia madre.

Per una cosa del genere finirei, di sicuro, all’inferno.

Così.. confesso solo gli sbagli perdonabili.

Mia madre è bella e triste. Nemmeno lei passa inosservata. Ha lunghi capelli neri, spesso raccolti in un elegante chignon, simmetricamente intrecciato. Usa sempre un balsamo che sa di lavanda e gelsomino (anche se io preferisco i due profumi separati).. su una folta chioma già perfettamente lucida e morbida.

Io ho meno capelli. Meno scuri, meno robusti e meno belli.

Il suo è un nome antico e importante. Non è l’abbreviazione aggraziata di uno più complicato, per giunta maschile.. e non finisce per ipsilon, come i nomi che sanno di neutro e che si danno agli animali. Quando senti il suo, non ci pensi due volte, sai che è un nome di donna.. bello, compatto e armonioso.

Mia madre contempla l’arte già nel nome.

Sulla palpebra inferiore dell’occhio destro, appena sotto le ciglia, ha un minuscolo neo, quasi nero.. e appena irregolare, che scompare tra piccole pieghe di pelle quando contrae i muscoli del viso nel pianto, nel riso.. o in qualsiasi altra espressione le “assottigli” lo sguardo.

Quando ero molto piccola, la vista o meno del neo mi ragguagliava sul suo umore. Era la prima cosa che osservavo quando lei, prossima a deformare momentaneamente i lineamenti perfetti in una reazione emotiva, corrugava un po’ la fronte.

E’ ancora la prima cosa che guardo di lei.

Una volta, nel tentativo di riprodurlo su di me con una penna nera, sono finita in ospedale con la punta conficcata nella parte bianca dell’occhio. “Distrazione” che, oltre a regalarmi una macchiolina indelebile sulla s-c-l-e-r-a, mi ha costretto a casa per tre giorni.

Quindici ore di lezione irrimediabilmente perse.

Tina non è precisa nel riferirmi i dettagli, dimentica le pagine e i titoli dei paragrafi. La cosa mi irrita terribilmente.. Ma non mi rivolgo a nessun altro. Ho confidenza solo con lei.


Artemisia:

Non ho il coraggio di annunciarti al mondo, figlio mio. Da quando esisti.. io lo faccio un po’ meno. E non per tua colpa.. piccola, amatissima creatura. A te, invece, l’unico merito di mantenermi in vita.

Sei arrivato in un momento decisamente inopportuno.

Mai momento è stato più bello.

Sentirti nel mio grembo mi regala estasi.. delirio, felicità, perdizione.

Ti porterò con me, ovunque Dio voglia.

Ti apparterrò in eterno, mia piccola anima innocente.

Scapperemo insieme, non temere.

Andremo via da qui.

Da questo inferno.


Sullivan:

Odio mio padre con tutta l’anima. Mi tratta come fossi di cristallo e, allo stesso tempo, mi ripete che non ho niente di diverso dai miei coetanei. Dice che sono perfetta. Che non ho niente che non vada. Anzi.. che sono molto meglio degli altri perché alla mia età, dice, sono particolarmente i-n-t-r-o-s-p-e-t-t-i-v-a. Cosa rara e meravigliosa, ripete luminoso. Mi fa sentire un alieno. La sua adorazione irrazionale mortifica i miei sacrosanti, meritatissimi limiti.

Il suo orgoglio, ad esempio, trabocca come un fiume obeso ogni volta che, all’incontro genitori-insegnanti, tesse lodi infinite su qualità che, francamente, solo lui vede.

A volte vorrei gridargli di smetterla. Vorrei sputargli addosso tutto l’odio che ho dentro perché non accetta la mia gamba menomata. Lui non la vede proprio. Lui.. non mi vede proprio. Vorrei dirgli che non sono affatto perfetta, che a scuola vado bene perché non so fare altro, che non ho amici non perché sia i-n-t-r-o-comecavolodicelui e, quindi, “sensibile e incompresa”..ma perché non riesco a dire ‘ciao’ a qualcuno senza quasi svenire dall’ansia.

Quando dice che sono straordinaria e che nella vita farò grandi cose mi viene voglia di prenderlo a calci e di nascondermi sotto le lenzuola per rimanerci tutto il giorno.

Lo detesto quando asserisce, a testa alta, che sono bellissima e che farò sanguinare molti cuori.

Non è vero. A scuola nessuno mi guarda come vorrei. Perché non ho le tette e sono zoppa.

Tina ha un certo successo in classe, una montagna di ricci rossi e lucenti, un mare di lentiggini e le labbra rosse. E poi si vanta di riuscire nello studio senza, per questo, esser secchiona (allude, di sicuro, a me). Omette, però, di dire che.. ad ogni verifica.. copi spudoratamente.

Io glielo lascio fare, fingo di non accorgermene. Così.. per un accordo mai stretto, durante l’intervallo, mi concede di giocare col suo nuovo telefonino. Mi permette, cioè, di avere un pretesto onde evitare d’alzare lo sguardo ed affrontare il delirio chiassoso dell’aula in subbuglio.

E a me sta bene così.

Nel frattempo prego perchè l’insegnante di matematica fumi presto la sua sigaretta e rientri, ristabilendo l’ordine col suo consueto “fate silenzio, comincia la lezione”. Così nessuno più apre bocca.. ed io ho finalmente un alibi eccellente per star zitta e riservare lo sguardo esclusivamente alla clemente lavagna.

Papà insegna pianoforte al conservatorio.

Ha l’aria svagata, tipica di chi si crede un artista.. pochi capelli, perennemente spettinati, e la pelle un po’ troppo scura per essere bianco.

A volte mi pento d’aggredirlo, anche solo con lo sguardo, ma.. quelle volte, evidentemente, è inevitabile.

Adora mia madre e spesso, di fronte a lei, assume l’aria di un umile credente, in ginocchio ai piedi della statua di Maria Santissima.

Lei a volte lo ignora. Altre, invece, gli lancia sguardi di puro disprezzo e lui, immancabilmente, le da un bacio sulla fronte, allontanandosi poi dalla sacra postazione.

Non capisco se papà sia un santo o un bastardo.

Il giovedì sera, dopo il lavoro, esce sempre allo stesso orario e torna un’ora e mezza dopo. Lo fa da settimane ormai. Una volta ho provato a seguirlo ma, poco dopo, ho perso le sue tracce perché.. sebbene lui vada a piedi.. non riesco a mantenere il ritmo nervoso del suo passo. Non sono riuscita a vedere quale strada abbia imboccato all’incrocio, dopo via Brodolin.

Papà è eccessivamente magro. Un po’ lo invidio. Parla sempre dei suoi allievi prodigio e spesso salta i pasti perché preso dalla sua smodata passione per la musica. Anch’io vorrei avere una passione che mi serri lo stomaco. Correndo verso il pianoforte a coda, di là in salotto, grida che.. se gli sfugge il momento d’ispirazione poi non torna più. Come se parlasse di un imminente cataclisma ambientale. Di una tragedia, altrimenti, insanabile. Sembra quasi che lo faccia di proposito. Il suo posto, a tavola, è di fronte a quello della mamma. Il mio, di fronte alla tv.

Però..

..sono belle le musiche di papà.


Lorenzo:

Dottore.. Credo che Sally sospetti abbia, addirittura, un’amante. Non voglio che questo pensiero, minimamente, la sfiori. Sa che amo profondamente sua madre. Sa che, per me, esiste solo lei. L’altra sera ha anche tentato di seguirmi ma ho, ahimè, accelerato il passo in modo che desistesse dall’idea.

Non so più come comportarmi. La mia bambina è, spesso, preda dell’ira e dello smarrimento. Lo si legge nel suo starsene da parte. Che non vuol dire stia sola. No, lei se ne sta.. in disparte come la polvere negli angoli. C’è.. ma in penombra.. ch’è il modo peggiore d’esserci. E non pronuncia sillaba. Così io mi sento stremato e impotente. Non riesco a comunicare. E’ come se tutto fosse sbagliato.

Ritmo brutalmente squilibrato.

Allo specchio nulla è cambiato, l’orologio batte sempre le sue ore.. ma niente, lo sento, è più come prima. Solo le note, dolcemente imprigionate fra cadenza e intervallo, tessono una trama musicale lieve lieve.. euritmica, modulata, assonante.. stanca.

Che sa di casa.

Mia moglie è imperscrutabile.

Rabbiosa.

Mi detesta.

Non tollera più che la mia ombra ricada nel suo campo visivo.

Com’è che si chiama? “Sindrome rancorosa del beneficiato“?.. Visto ch’è materia sua..

Forse avrebbe preferito che la sbattessi a calci fuori di casa invece di perdonarla, comprenderla e amarla più di prima.

Non riesco a decifrare il suo astio.

Forse lei, dottore, appartiene a quella schiera di benpensanti che sostengono la comoda tesi secondo cui il tradimento del partner è anche, o forse quasi del tutto, colpa nostra..

Beh, io no.

Non mi aspettavo una reazione del genere.

Non mi aspettavo, in realtà, che lei potesse uccidermi così.

Nell’arco di una squallida ora e mezza.. in un piccolo, maleodorante albergo di periferia, con un uomo dall’aria disperata.

Quella esigua parentesi temporale, quella camera trascurata.. coi muri pieni di crepe, quegli occhi affranti da un dolore forse impronunciabile.. le hanno dato attimi di felicità che, a quanto pare, non sono riuscito a regalarle in tutto questo tempo.

E’ un copione che si ripete, vero dottore? Banale anche. Quante volte avrà sentito battute simili, se non addirittura identiche, a queste? Quanti visi precocemente invecchiati avranno incrociato i suoi anni d’esperienza nel campo? Le sue risposte, dottore, sono forse le stesse date alla paziente uscita dallo studio poco prima del mio arrivo? Sono forse le stesse che darà al prossimo disgraziato, pronto a pagare per un’ora d’angosciosa rivisitazione del passato? Cosa mi aspetto da lei, dottore? Forse la benedetta formula magica che ristabilisca l’equilibrio fra cuori soli che convivono?

La smetta di fissarmi in quel modo, dannazione. Cosa diavolo vuole che dica o faccia per un minimo d’approvazione? Cosa devo fare perché mi aiuti?

Ah, no!

Non sarò la pedina di un gioco vecchio secoli.

Non il povero marito tradito e abbandonato.

Non da lei. Dal mio amore di sempre.

Saprò riprendermela, vedrà dottore..

Oh, si..

Lei tornerà.


Sullivan:

Tuppy è morto. E’ stato investito, a due isolati da qui, da una Hyundai i40 grigio metallizzato, targata XV867AZ, alle sedici e trenta di ieri pomeriggio. In quel momento avevo appena citofonato da Tina perchè si desse una mossa. Avremmo, altrimenti, fatto tardi al corso di letteratura comparata per principianti. Tuppy è stato riportato a casa dal conducente dell’auto grazie alla targhetta sul collare. Un tipo alto, con troppi capelli, nervoso e dal volto piatto e inespressivo. Blaterando innumerevoli scuse disse che il gatto, nell’attraversare fulmineamente la carreggiata, “inseguiva un suo simile”.. (forse perché non ne aveva mai visto uno se non allo specchio). Assicurava, inoltre, che non aveva sofferto perché morto sul colpo. Come se questo particolare avesse potuto delicatamente risanare i babelici lineamenti della mia amica sconvolta.

E’ nato e vissuto in casa, Tuppy. A volte.. una porta lasciata malauguratamente socchiusa.. può causare indicibili danni.

Non riesco a chiamare Tina. In circostanze simili mi si blocca l’area del linguaggio, non so mai cosa dire. Ogni parola è sicuramente banale o irritante.

Ogni azione, sbagliata.


Lorenzo:

Oh caro, carissimo dottore. Mi scusi se ripiombo da lei, quasi senza preavviso, dopo ben otto settimane. Ma sono così felice che.. Beh, sono sicuro, lei capirà. Credo che le cose stiano lentamente migliorando. Con Arte intendo.. Si, la chiamo in questo modo da sempre. Mi piacciono i doppi sensi. Giocare con le parole mi diverte terribilmente. Ma non è questo il punto. Dottore. La speranza che la serenità torni in questa casa comincia a farsi visibile, concreta. Credo che, stavolta, Dio abbia bussato alla mia porta. Sa.. ieri l’ho vista radiosa, beata.. più bella che mai. Mi ha addirittura sorriso come soleva fare quando ogni parola sarebbe risultata inutile. Niente fatui, reiterati discorsi.

Lei. Ed io. Soli in quella stanza. E finalmente insieme.

Abbiamo fatto l’amore con ferocia.

Una, due, cento volte.

L’ho sentita pienamente fra le mie braccia.

Ho percepito addosso la gioia esultante del suo benessere ritrovato.

Ch’è diventato anche il mio.

L’ho sentita dottore. Capisce?

Ho baciato ogni lembo di quella pelle bianca, liscia, profumata, accogliente.. che sembra in perenne fuga dal tempo..

Ho ascoltato, per ore, ogni suo battito.

Ho pianto sul suo seno e riso sulle sue labbra.

Respirato sul suo collo, accarezzatole i capelli in modo ritmico, cadenzato, rassicurante. Facendo attenzione a non dilatare o ridurre le pause. Come nella perfezione eufonica delle lancette.

Ho vissuto, in pochi attimi, la furia del cambiamento. Lo sbalzo rapido, istantaneo fra i processi enantiodromici della memoria e l’escalation catartico del cuore.

Ieri, dottore, ho capito la felicità.


Sullivan:

Sono passate alcune settimane dal fattaccio, Tina sembra stare meglio.. ma ancora non ha ripreso, regolarmente, a mangiare.

Così sua madre va su tutte le furie perché non tollera siano traditi gli orari dei pasti o di qualsivoglia scadenza. Ieri, per la prima volta in vita mia, l’ho vista spettinata.. la signora Strovatsky.. mentre si recava, guardinga, in un piccolo supermarket.. dal quale uscì, poco dopo, quasi di corsa. Forse anche in quella casa qualcosa si è rotto.

Forse anche lì un che d’insolito è successo.

Ma le cose avvengono di continuo.

La vita accade. E non sempre si riesce a perdonarla.

Da certe cose, poi, non si guarisce. L’amore, forse, è una di queste.

Quanto tenue e impalpabile è un equilibrio?

Quanto fragile e vago?

Cos’è che si verifica precisamente nella testa delle persone quando questo viene brutalmente, o lentamente, violato?

Quali arcani, indecifrabili passaggi si compiono?

La mamma se n’è andata. Ha lasciato un biglietto piegato.. sul tavolo, di là in cucina. Come nei film. L’ho trovato io stamani alle sei e venticinque. Avevo sete.

L’ho consegnato a papà.. prima che potessi capire che non l’avrei più vista.

L’altro giorno si è inginocchiata di fronte a me e.. stringendomi forte.. mi ha dato tanti baci sulla pancia. Ventuno, li ho contati.

Forse era il suo modo di salutarmi e io non lo sapevo.

Ha detto qualcosa a denti stretti che non ho capito bene. Poi ha alzato la testa verso di me, un’ombra sul viso e i suoi occhi.. di nuovo fulgidi.

E dentro di me, un sorriso.