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Il Counseling Empowerment.


Counseling News

Sull’inserto Salute del Corriere della Sera del 23 maggio 2011, si è affrontato il tema della sofferenza e del disadattamento delle persone che girano intorno a chi ha un problema di salute, soprattutto oncologico: i cosiddetti caregivers (familiari, parenti, amici, etc. del malato)

Questi ultimi, infatti, si attivano materialmente nel supporto logistico e organizzativo ma, il loro sostegno, però, è soprattutto psicologico (affettivo, morale, di incitamento, di supporto, di rassicurazione) fatto di ascolto e incoraggiamento a proseguire le cure. Sono i veri assistenti dei malati. Il loro supporto è prezioso, ma spesso ci si dimentica di pensare alla loro salute, con conseguenze che possono essere dannose.

Uno studio pubblicato sulla rivista Cancer, ad esempio, punta l’attenzione sui pericoli per la salute mentale a cui i caregivers possono andare incontro durante la loro attività. Su oltre 20.500 uomini che prestavano assistenza alla moglie malata di tumore al seno sono stati infatti riscontrati 180 casi di disturbi affettivi. Spesso, poi, i caregivers assorbono tensioni senza, però, poterle scaricare, per paura di “appesantire” l’ambiente; si privano, in questo modo, di una “dimensione di recupero” necessaria a reintegrare le forze e la carica di positività con cui portare avanti la propria attività.

Un altro aspetto problematico è la richiesta del congedo straordinario familiare biennale retribuito che i caregivers possono presentare. Pur essendo un diritto, per queste persone può trasformarsi in una fonte di mobbing, che può andare dai controlli fiscali fino al licenziamento, come sottolineato dallo studio legale dell’Associazione italiana malati di cancro.

Occorre dunque prestare più attenzione a chi cura un malato, come ribadito nella recente Giornata del malato oncologico che, per l’appunto, si è focalizzata anche sul ruolo dei caregivers.

Se ci fermiamo a riflettere, finiamo col concludere che, in fondo, ognuno di noi è un po’ come un reduce o un profugo, comunque un soldato che obbedisce a quegli ordini che le circostanze impongono: esattamente come le foglie sugli alberi d’autunno, di ungarettiana memoria.

Per chi lavora nel settore, la via da utilizzare per il sollievo da tale “dolore sociale”, è quella del counseling, termine che deriva dal verbo inglese to counsel, che risale, a sua volta, al verbo latino consulere, traducibile in “venire in aiuto”, “agire di comune accordo” “aiutare a rialzarsi”. La pratica del Counseling si sviluppa negli Stati Uniti intorno alla fine degli anni ’40 come risultato di una doppia esigenza:

  • da una parte, il sostenere e reintegrare in un breve tempo (e a costi sostenibili), un considerevole numero di reduci di guerra;
  • dall’altra, il fronteggiare un nuovo modo di concepire la psicologia e, con essa, una diversa concezione della persona (responsabile, con una visione chiara del proprio destino, e in grado di gestire la propria esistenza attraverso apprendimenti corretti, adeguate motivazione, obiettivi concreti).

Nessun trionfalismo o autocelebrazione. Il counselor è, semplicemente, una persona che aiuta un’altra persona a salire i “gradini della vita” per raggiungere l’efficienza seguendo i principi della solidarietà umana. Si parla di efficienza e non di eccellenza, non perchè l’essere umano non abbia diritto a raggiungere vette estreme ma, piuttosto, perchè sarebbe oltremodo presuntuoso ipotizzare e immaginare di essere già all’altezza di poter esprimerci al massimo possibile.

Counseling Empowerment

Ossia la capacità di gestire le proprie capacità per agire, sia sul piano strettamente personale, che di conseguenza, nella Società, come essere umani protagonisti e non spettatori della propria vita.

Questa è la risposta.

Fonti

  • Salute del Corriere della Sera del 23 maggio 2011, pag. 59.
  • www.edott.it – 25 maggio 2011

 


Giorgio Marchese – Medico Psicoterapeuta – Membro Consiglio Direttivo FAIP (Federazione delle Associazioni Italiane di Psicoterapia e Counseling)