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Tra polemiche e critiche.


Il decreto Milleproroghe, al suo articolo 2 quater, prevede una nuova social card da destinare agli indigenti attraverso enti  attivi nel campo del contrasto alla povertà alimentare (ovvero la gestione di mense) e nell’aiuto alle persone senza fissa dimora.


La soglia ISEE sarà leggermente aumentata rispetto ai 6.235 euro della vecchia sperimentazione.

La social card, che ha preso il via dal 2008 sino al dicembre 2010, caricata dallo Stato con 40 euro al mese da usare per la spesa alimentare e per pagare le bollette e distribuita a 734mila anziani, non è stata tuttavia abolita e chi continua ad avere i requisiti potrà in ogni caso richiederla.

Un elemento di novità è, invece, introdotto nella nuova disciplina in versione 2011: la gestione dei fondi sarà destinata agli enti “caritativi” che saranno appositamente selezionati dal Governo attraverso un bando pubblico. La nuova social card sarà distribuita all’interno delle città con più di 250mila abitanti, secondo lo schema delle aree metropolitane: ci saranno dunque Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli. E probabilmente Palermo o Catania.

In ragione della grandezza delle città e del relativo costo della vita, la social card sarà di importi differenti pur riportando una soglia minima per tutti.

 L’obiettivo della nuova sperimentazione sarà quello di raggiungere anche le persone senza fissa dimora delle grandi città, tipologia di popolazione che pur essendo la più indigente, era stata esclusa dalla vecchia social card perché priva di qualsiasi tracciabilità e documentazione a causa proprio della sua condizione. Si spera che tale carta possa aiutare queste persone e che con l’occasione gli enti caritativi sopra menzionati possano avere uno stimolo nell’occuparsi di tali indigenti in maniera continua ed efficace. Ai comuni spetterà l’accreditamento a livello locale degli enti beneficiari, l’eventuale integrazione dei fondi accreditati dallo Stato sulle carte e la valutazione della presa in carico dei soggetti bisognosi da parte degli enti non profit.

Per la fase di sperimentazione è stanziata nel decreto una spesa di 50 milioni di euro, provenienti dal fondo di circa un miliardo creato nel 2008 per finanziare la social card. Da tale fondo ad oggi, è stato speso il 50% delle finanze, circa 500milioni, a beneficio di 734mila richiedenti.

Poveri, dunque, ma esclusi dalla social card. Ci riferiamo agli immigrati perché non cittadini italiani, ai i nuovi poveri giovani e precari. La social card porterà un beneficio a non più del 3-4 per cento delle famiglie, lasciando fuori la stragrande maggioranza di chi ne avrebbe avuto bisogno.

l’Italia continua è un paese con sacche di povertà superiori alla maggior parte dei nostri partner europei. Ci sono otto milioni di persone in condizione di povertà relativa e più di tre milioni in povertà assoluta. In tutto quasi quattro milioni di famiglie povere. In poco più di due anni sono stati 750 mila coloro che hanno utilizzato la carta acquisti. Più al sud che al nord. Ma in quel numero del ministero dell’Economia c’è anche chi ha comprato con la carta una sola volta. Dunque sono molto meno le persone che la usano costantemente, 4-500 mila. Perché basta che cambi uno dei requisiti (l’età, per esempio) per non averne più diritto. Eppure il governo stimava in 1,3 milioni i potenziali beneficiari della carta prepagata. Perché è andata così? Perché si è scelta la social card anziché uno strumento di sostegno diretto al reddito come accade in Europa? La social card non è stata pensata per tutti. Intanto ha tagliato fuori gli stranieri per quanto residenti e, in molti casi, poveri. La social card è solo per gli italiani, mentre la quota di stranieri che ha perso il lavoro a causa della lunga crisi globale è costantemente in crescita. Fuori come i giovani con lavoro instabile e senza figli con meno di tre anni. Perché a parte i requisiti di reddito (tra questi non superare i 6.300 euro annui circa o gli 8.300 se pensionato e tanti altri vincoli) per la social card si deve essere o over 65 oppure under 3.

Si è pensato, quindi, solo a una ristretta tipologia di famiglia, a una parte dei pensionati, ma non ai giovani. L’idea è quella di combattere solo la povertà assoluta, mentre si diffonde e cresce l’impoverimento di chi riceve pensioni medio-basse. Ma qual è l’obiettivo della modifica voluta da Sacconi? C’è l’idea di un welfare state leggero, molto privato con il suo esercito di volontari. Più società, meno Stato, per questo si vuole affidare anche agli enti “caritativi” un pezzo della gestione della social card. Saranno loro, una volta selezionati (entro trenta giorni dall’approvazione arriverà un decreto del ministero del Lavoro), a individuare i soggetti davvero bisognosi. Ma chi controllerà? Ma cosa pensano i potenziali “enti caritativi”? La Caritas con il vicedirettore Francesco Marsico è critica. ll problema della social card è che esclude una larga fetta di famiglie povere e la sperimentazione decisa dal governo non risolve questa criticità di fondo. Anzi, ne aggiunge altre. Perché pone il problema del rispetto del principio costituzionale di equità sia per ciò che riguarda i soggetti destinatari, sia sul versante dei soggetti erogatori e non è questo che vuole la Caritas.

Il modello social card, comunque, si sta diffondendo lungo la Penisola. Ci sono Regioni, Province e Comuni che hanno deciso di integrare la carta. L’ha deciso il Friuli (120 euro a bimestre), la Provincia di Latina (40 euro), i Comuni di Alessandria (80 euro), di Susegana (40 euro), di Cassola (80 euro), di Grado (80 euro solo per i bimbi sotto i tre anni). È una strada. Secondo Cristiano Gori, docente di politiche sociali alla Cattolica di Milano, serve un diverso strumento, una misura base per tutta la popolazione in condizioni di povertà assoluta. Non è più una questione di risorse perché rimangono quasi 500 milioni e per questo propone una carta prepagata per tutte le famiglie povere, che sia estesa agli stranieri, che preveda 129 euro al mese destinati a salire nelle zone dove il costo della vita è superiore, che dia accesso anche ai servizi alla persona e non solo agli acquisti alimentari, che, infine, attribuisca un ruolo ai Comuni. Un’altra strada alla social card. E per tutti i poveri.

 

Maria Cipparrone.

 


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