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Il giudice, in caso di rigetto, può aumentare la sanzione.

La contestazione di un verbale di accertamento di
violazioni del Codice della strada, mediante ricorso al Prefetto o al Giudice
di Pace, è una scelta da valutare sempre con molta oculatezza perché occorre
considerare che, nel primo caso, se il ricorso è respinto,
il Prefetto emette ordinanza di ingiunzione di pagamento di una somma pari al
doppio di quanto dovuto in partenza, mentre, nel secondo caso, oltre a doversi
accollare -senza certezza di recuperarle – le spese per l’instaurazione del
giudizio di opposizione, comprese quelle del proprio difensore – ove si decida
di agire con l’assistenza di un avvocato-, in caso di rigetto, v’è l’eventualità
di dover pagare le spese legali all’avversario e, stanti i chiarimenti forniti
dalla Corte di Cassazione Civile, a sezioni unite, con la sentenza n. 25304 del
15.12.2010, sussiste anche il rischio che il giudice adito aumenti d’ufficio
l’importo della sanzione, pur senza richiesta da parte della pubblica
amministrazione.

 

Nella citata recentissima sentenza, la Corte ha respinto un ricorso
fondato, tra gli altri motivi, sull’assunta violazione degli artt. 23 della
legge n.689/1981 e 113 c.p.c. che avrebbero precluso
al giudicante di determinare la sanzione amministrativa pecuniaria in misura
superiore a quella indicata nel verbale impugnato, anche in mancanza di una richiesta in
tal senso da parte della pubblica amministrazione opposta, ed ha affermato che
il giudice che rigetta l’opposizione, può applicare la sanzione che ritiene più
congrua, compresa tra il minimo e il massimo edittale, secondo il suo libero
convincimento.

 

Infatti, come precisato nella sentenza, nel
verbale non è determinata alcuna sanzione, ma è solo “ricordato” un meccanismo
di determinazione ex lege nel caso in cui il
trasgressore scelga l’oblazione e nel caso in cui lo stesso non proponga
ricorso nei termini e non provveda al pagamento in misura ridotta, sicché il
giudice può decidere l’entità della sanzione, anche d’ufficio, in una misura
compresa tra il minimo ed il massimo edittale, disponendo dei criteri di cui
all’art. 195, secondo comma, Codice della Strada. “…deve concludersi nel senso che la citata l. n. 689 del 1981, art.
23, commi 5 e 6, costituiscono la base normativa del potere del giudice di
quantificare una sanzione pecuniaria anche in misura superiore alla terza parte
del massimo della sanzione pecuniaria, ovvero, se più favorevole, al doppio del
minimo (massimo previsto in caso di mancata proposizione del ricorso), atteso
che è espressamente richiamato dalla legge (v. art. citato, comma 7) il libero
convincimento del giudice stesso, cosa che risulterebbe priva di significato
ove dovesse ritenersi sussistente un appiattimento sul minimo edittale.”.

 

 

 

 

 

Erminia Acri-Avvocato